- Views 24277
- Likes 3
Quello che leggerete forse susciterà irritazione negli (ma soprattutto nelle) amanti del “politically correct”, cioè in coloro sempre pronti a sostenere i luoghi comuni, e le opinioni correnti e prevalenti, divulgate dai media, senza il minimo sforzo di pensare criticamente con la propria testa, e valutarne la fondatezza.
Uno dei luoghi comuni più diffusi è proprio quello che ha abituato moltissimi italiani a chiedere ai loro politici “una legge” ogni volta che esiste un problema, ma senza fare il benché minimo sforzo di accertare se per caso la legge non ci sia già, anzi se non ce ne siano già troppe!
Perché sotto questo aspetto l’Italia è davvero curiosa.
Abbiamo un numero spropositato di leggi in vigore, addirittura nessuno sa bene quante: c’è chi (Lubrano) scrive di 50.000, altri dicono di ben 100-150 mila leggi, quando altri Paesi europei ne hanno appena poche migliaia (Gran Bretagna 3.000, Francia 7.000, Germania 5.500) e se la cavano benissimo!
Anzi! Come noto le leggi italiane oltre ad essere spesso incomprensibili, sono anche contraddittorie, ce ne sono magari 10 su uno stesso argomento, ed è spesso impossibile capirci qualcosa.
Facciamo qualche esempio concreto…
Molti oggi invocano una legge che punisca duramente i pirati della strada, con un reato ad-hoc, “l’omicidio stradale”, quando in realtà sarebbe più che sufficiente il codice penale attuale, che sanziona l’omicidio volontario, e consentirebbe anche l’arresto immediato del criminale che travolge il pedone per strada, (spesso addirittura sulle zebre!).
E perché non lo fanno? (chiederete voi)
Semplice: perché la maggior parte dei pm e giudici non lo considera omicidio volontario con dolo eventuale: cioè se tizio guida ad alta velocità, vuol dire che ha accettato il rischio di poter travolgere qualcuno, anche se non voleva deliberatamente investire caio o sempronio, ma inquadra come omicidio colposo, dovuto a semplice “imprudenza” la guida spericolata che si traduce in uccisione di pedoni.
Sarebbe questo un modo coerente di considerare l’auto alla stregua di una possibile arma: se un soggetto si mettesse a sparare in aria a Capodanno e un proiettile vagante uccidesse un passante, i giudici lo condannerebbero sicuramente per omicidio volontario con dolo eventuale, poiché direbbero giustamente che lo sparatore ha accettato e quindi voluto il rischio di colpire qualcuno. E allora, perché non seguire lo stesso criterio per l’uso sconsiderato di un’arma come l’auto?
E’ vero che alcuni pm ultimamente arrestano i pirati della strada, e contestano loro anche l’omicidio volontario con dolo eventuale, ma non è certo un orientamento uniforme.
Quindi, le leggi ci sono, ma come al solito o non vengono applicate, oppure ciascuno le applica come vuole.
Ma veniamo all’argomento in oggetto, cioè alla nota legge del 2009, tanto cara alle femministe, e che dovrebbe prevenire e reprimere il fenomeno dello “stalking” ovvero le molestie persecutorie, soprattutto contro le donne, ed in particolare da parte di ex (coniugi, fidanzati, ecc.). Dal momento che l’isteria femminista dilagante vorrebbe farci credere sia in atto il “femminicidio”, e le donne verrebbero sterminate come formiche dai formichieri (e ho già spiegato che non è vero, i dati sono falsi, come anche ricostruito ottimamente dal prof. Tonello, dell’Università di Padova (Femminicidio, i numeri sono tutti sbagliati), ci si chiede se quella legge del 2009 fosse davvero necessaria, e soprattutto che risultati ha ottenuto.
Innanzi tutto: era davvero necessaria quella legge?
Risposta: No!
Con buona pace delle femministe, e dei loro adoratori “zerbini”, esisteva già una legge penale più che sufficiente per tutelare le donne da molestie gravi e persecutorie, e questa legge è l’art. 610 del codice penale, che esiste da 83 anni, che punisce il reato di VIOLENZA PRIVATA, e così recita:
“Chiunque, con violenza o minaccia, costringe altri a fare, tollerare od omettere qualche cosa è punito con la reclusione fino a quattro anni”.
La norma penale consente anche l’arresto in flagranza, oltre a misure cautelari personali e provvedimenti di p.s.
Quindi si poteva e si può benissimo applicare là dove una persona perseguiti un’altra con comportamenti che ne limitino la libertà, quali appostamenti, pedinamenti, continui contatti diretti ed invasivi (telefonate ad ogni ora, visite inattese e sgradite, ecc.) oltre naturalmente a violenze, ingiurie e minacce vere e proprie.
E infatti la norma penale sulla violenza privata è stata molte volte applicata in fattispecie intimidatorie in cui qualcuno aveva costretto altri a tollerare comportamenti non voluti, intemperanze, ecc. (es. impedire l’uscita/entrata da casa o dal posto di lavoro, ostruire il passaggio di un’auto, ecc.), ma anche comportamenti intimidatori in grado di influire sulla libertà di scelta della vittima.
Ecco perché non c’era affatto bisogno di una norma come quella del 2009 sullo “stalking”, erano sufficienti le norme esistenti.
Mi viene in mente una vicenda agghiacciante, di qualche anno fa, in cui in Piemonte un criminale psicopatico già condannato e incarcerato per alcuni anni per stupro nei confronti di una ragazza, uscito dal carcere continuava ad avvicinarla, a tormentarla continuamente, senza che le numerose e disperate denunce sue e dei familiari avessero alcun seguito presso le autorità, fino all’epilogo orrendo, con l’assassinio di lei e il suicidio del criminale.
Non c’era bisogno della legge sullo “stalking” per fermarlo e rispedirlo dentro come recidivo, una volta appurato che aveva ripreso a tormentarla perfino dopo l’inutile espiazione della prima pena in carcere.
Quindi la colpa non è della mancanza di leggi, ma di chi non le vuole applicare anche quando ci sono!
Ma venendo alla legge attuale sullo “stalking” del 2009, in realtà si tratta di una legge imperfetta anche a giudizio delle donne magistrato che la devono applicare, come la dr.ssa Barbara Bresci, che ha evidenziato i rischi di una sua strumentalizzazione (Un blog dedicato alle vittime di false accuse di stalking – Vittime di False Accuse di STALKING).
Il difetto più evidente della legge è nel concentrarsi sulla percezione soggettiva della molestia, anziché su condotte OGGETTIVE, ciò che ha permesso molte strumentalizzazioni della legge, da parte di furbine e furbini (paradossalmente, la legge che avrebbe dovuto difendere le donne, non di rado è stata usata proprio contro di loro!).
Per essere ancora più chiari, poiché la legge parla genericamente e imprecisamente di condotte moleste e persecutorie in grado di produrre grave ansia nella vittima, e tale da indurla a modificare le sue abitudini, non di rado si è assistito a denunce false e pretestuose per presunti episodi di “stalking”, a volte con allegazione di certificati medici compiacenti, ecc., da parte di persone animate solo dalla volontà di colpire persone con cui avevano attriti o vertenze personali, ma che nulla avevano a che fare con vere molestie persecutorie.
E infatti, proprio le statistiche del Min. degli Interni e delle Procure, documentano che oltre il 50% delle denunce per stalking è FALSO, ma di ciò si preferisce non parlare!
E ciò ancor più, proprio perché la legge del 2009 prevede anche la possibilità per la vittima di denunciare il presunto molestatore al questore, a scopo preventivo, prima di sporgere querela o denuncia, per farlo ammonire.
Proprio questa nuova possibilità è stata spesso strumentalizzata furbescamente, soprattutto nelle controversie tra ex coniugi, e per ottenere dai giudici sentenze favorevoli (assegnazione della casa, dei figli, ecc.).
In alcuni casi l’abuso delle denunce per “stalking” ha prodotto esiti addirittura grotteschi o financo ridicoli, come è il caso della madre denunciata dal figlio e ammonita dal questore (ammonizione poi annullata dal TAR), solo perché il ragazzo (che viveva da solo e non era in buoni rapporti con lei) aveva lamentato dei contatti presunti “persecutori” della madre, che in realtà l’aveva cercato solo in un’occasione, e per definire alcune questioni importanti relative all’eredità paterna.
Non commette stalking la mamma che “perseguita” il figlio
In un’altra occasione un pover’uomo affetto da tic nervoso all’occhio era stato ammonito dal questore perché ritenuto “molestatore” da una donna che aveva scambiato per ammiccamento volgare e allusivo quello che era invece un semplice tic, mentre in altre occasioni la legge è stata strumentalizzata per liti da cortile e bagatellari, come il caso del vicino denunciato per stalking perché il suo cane faceva pipì sulla porta di un altro inquilino.
Per non parlare della paradossale vicenda dell’ex on. Bocchino e della moglie, che avevano denunciato per stalking ben 40 giornalisti e un lettore, affermando che i loro articoli procuravano loro “ansia” e non li facevano dormire (nonostante fosse un politico in vista, sempre sotto l’attenzione dei media).
È Bocchino-follia: querela 36 giornalisti
Tanto che gli stessi giudici e tribunali hanno più volte messo in guardia soprattutto le forze dell’ordine, onde evitare provvedimenti ammonitori errati, sulla base di valutazioni acritiche delle denunce, ed in particolare sulla base dell’errato pregiudizio “femminista” molto diffuso, per cui se una donna sporge denuncia dovrebbe essere creduta più di un uomo.
Anche perché un concetto giustamente ribadito dai giudici (anche nella vicenda della madre denunciata dal figlio) è stato quello per cui il potere conferito al questore e ai giudici non può essere esercitato per ingerirsi in tutte le controversie tra privati (sarebbe eccesso, o sviamento di potere), ma solo limitatamente alle VERE molestie gravi e persecutorie.
Chiunque potrebbe infatti affermare di sentirsi “in ansia” a causa dei contatti con persone con cui ha rancori o cattivi rapporti.
Ma di questo passo si arriverebbe ad inondare le questure e le procure di false denunce per “stalking”, perché i debitori – ad esempio – potrebbero inventarsi stati di “ansia” e accuse nei confronti dei creditori che – come loro diritto – li cercano per essere pagati, oppure i lavoratori fannulloni potrebbero accusare di “stalking” i superiori che li incalzano o riprendono per farli lavorare meglio, e così via.
Insomma, come si vede la montagna ha partorito il classico “topolino”.
Ancora una volta, e solo per venire incontro alle mode mediatiche, si è emanata una legge che era inutile, e spesso ha prodotto abusi, strumentalizzazioni e spreco di risorse e tempo per giudici e forze dell’ordine, perché erano più che sufficienti le leggi esistenti, se solo le si fossero applicate con scrupolo.
Tanto che forse il miglior commento a questo problema è stato quello sarcastico e goliardico degli amici di “Nonciclopedia”, che alla voce “stalking” lo definiscono :
“serie di atteggiamenti tenuti da donne ansiolitiche che affliggono uno o più membri delle forze dell’ordine, perseguitandoli e generando stati di ansia e paura, che possono arrivare a compromettere il normale svolgimento della quotidianità”,
cogliendo con la massima ironia dissacrante il lato comico di queste paranoie.
Ma purtroppo l’ironia e il senso dell’humor, doti che permettono di risolvere in modo intelligente e con buon senso molte situazioni, non sembrano essere doti molto diffuse, oggi in Italia, in particolare tra le femministe.
9 Commenti
Il punto di vista della dott.ssa Carmen Pugliese:
…
Luigi Corvaglia(Quota) (Replica)
uhmmm.. forse però la legge sullo stalking potrebbe tornare utile in qualche caso…per esempio potrebbe essere collegata al fenomeno delle false accuse di stupro. Ovverosia: prima che tu mi denuncia per stupro per vendetta, prevengo e ti denuncio per stalking
http://roma.corriere.it/roma/notizie/cronaca/13_giugno_19/stalker-donna-accusa-stupro-ex-fidanzato-2221740232226.shtml
ROMA – Un giorno l’ha accusato di stupro, uno stupro in seguito al quale era rimasta incinta. La mail, inviata ai superiori dell’ex, è stata l’ultima angheria che Fabio (un nome di fantasia), 33 anni, ha subìto in ordine di tempo. Sfinito da un mese di sms intimidatori, appostamenti sotto casa, la macchina rovinata, il giovane si è rivolto ai carabinieri. E la magistratura ha vietato alla turbolenta ex di avvicinarsi all’amato.
RABBIA E GELOSIA – La storia fra Fabio e la stalker è nata, come spesso accade, su Facebook. È stata una relazione breve e tempestosa, poiché fin di primi giorni la futura vittima si è accorta che Laura (anche questo è un nome di fantasia), 32 anni, era una partner un po’ sopra le righe: gelosissima, con scatti d’ira e perfino aggressioni fisiche. Così una breve vacanza sul mar Rosso, ad aprile scorso, è stata sufficiente a convincere Fabio dell’opportunità di troncare il rapporto. Un passo indietro opportuno, ma che ha avuto dalle conseguenze fatali.
IL CUORE SULLA PORTA – L’interruzione della relazione dopo appena un mese h determinato, per il 33enne, l’inizio dell’inferno. Telefonate 24 ore su 24; ogni giorno centinaia di sms, mail e messaggi via WhatsApp; minacce del tipo: «Te la faccio pagare», «Ti voglio morto»; appostamenti continui sotto l’abitazione. Una sera Fabio ha anche trovato un cuore inciso sulla porta di casa. Disperato, pur di far perdere le sue tracce si è trasferito dai genitori, ma Laura non si è arresa: la persecuzione è continuata come prima, con la conseguenza che ha coinvolto pure i familiari del 33enne. In uno di quei giorni la stalker ha quasi distrutto un’auto – carrozzeria completamente rigata, tergicristalli e specchietti divelti – credendo che fosse di Fabio, mentre era un veicolo dello stesso modello e colore di proprietà di un ignaro residente della zona, nel quadrante ovest della città.
LO STUPRO – Una mattina di maggio infine, giunto in ufficio, il 33enne ha scoperto che Laura l’aveva additato ai suoi superiori come il «mostro» che l’aveva violentata e messa incinta. Stremato da un mese di molestie, ma anche furibondo per la gravissima calunnia, il giovane ha chiesto aiuto ai carabinieri della compagnia di Trastevere, guidata dal maggiore Massimiliano Sole. Indagini e riscontri hanno permesso di inchiodare Laura alle sue responsabilità: il pm Eugenio Albamonte ha chiesto e ottenuto dal gip la misura cautelare del divieto di avvicinamento al 33enne, provvedimento che i militari hanno notificato alla stalker nella serata di martedì.
Rita(Quota) (Replica)
Ecco, Albert, vedi, questo tuo articolo per esempio e`carino…
Pappagallus Nocturnus(Quota) (Replica)
secondo l’avvocato Keir Starmer:
… during 17 months over 2011 and 2012… there were 5.651 prosecutions for rape and 111.891 for domestic violence in England and Wales. By comparison, over the same timespan, there were only 35 prosecutions for making false allegations of rape, six for false allegations of domestic violence and three that involved false allegations of both rape and domestic violence.
Nei 17 mesi di osservazione, tra il 2011 e il 2012, in Inghilterra e Galles si sono registrati 5.651 casi di stupro e 111.891 casi di violenza domestica; nello stesso periodo, i casi in cui si sono riscontrate false accuse di stupro risultano essere 35, mentre sono solo 6 i casi di false accuse di violenza domestica e 3 i casi in cui le false accuse erano di stupro e violenza domestica insieme.
Direi che i numeri parlano da soli, ma ricaviamone delle percentuali:
5.651 casi di stupro – 35 “false accuse” (pari allo 0,6%)
111.891 casi di violenza domestica – 6 “false accuse” (pari allo 0,005%)
Emanuele(Quota) (Replica)
giovanni carducci(Quota) (Replica)
Come mai c’è questa discrepanza tra i dati di Starmer e quelli italiani sulle false accuse? https://www.uominibeta.org/wp-content/plugins/wp-monalisa/icons/wpml_bye.gif
Emanuele(Quota) (Replica)
@Emanuele
perché evidentemente sei tu che hai letto male l’articolo, o non ti è chiara la differenza tra MOLESTIE (= stalking) e stupro o violenze fisiche: un conto è lo “stalking” (= molestie persecutorie soprattutto psicologiche) e le false accuse di stalking, dove è molto più facile inventarsi che “Tizio mi molesta”, rispetto a false accuse di stupro o vera e propria violenza domestica, di cui ha parlato Starmer a proposito della Gran Bretagna.
Ovviamente è molto più difficile e pericoloso inventarsi uno stupro o un pestaggio, perché poi una sa che verrebbe sottoposta ad esami, perizie medico-forensi, domande serrate, ecc., e in breve scoprirebbero la calunnia, in assenza di segni evidenti.
Ma se una che ha litigato col marito o fidanzato, o che ha in corso una causa di divorzio, dicesse: “Ieri mio marito a casa mi ha minacciato e mi ha detto “ti ammazzo!” mentre stavamo litigando”, allora sarebbe quasi impossibile scoprire la menzogna, la sua parola contro quella del marito, in assenza di testimoni.
Oppure, se una pazza si inventa per vendetta che il datore di lavoro che non le ha concesso l’aumento negli ultimi tempi l’aveva “molestata”, ci aveva provato insistentemente, aveva tentato di baciarla, ecc., sarebbe una delirante accusa di stalking, non di stupro o violenza.
E questi ultimi sarebbero classici casi di falsa denuncia per stalking, che le “maglie larghe” della legge permettono, e che hanno riempito le scrivanie di questori e magistrati, dal 2009.
Infine, Rita dimentica che non c’è bisogno della legge sullo stalking per opporsi ad una falsa accusa di stupro: c’è già la legge penale che punisce la CALUNNIA, una falsa accusa di stupro è una calunnia grave, e si rischiano un bel po’ di annetti di galera.
Mirko(Quota) (Replica)
Stalking: bastano due episodi persecutori per far scattare la condanna
Ai fini della condanna per stalking non conta il numero di atti ed episodi persecutori ma l’effetto che questi hanno sulla libertà e lo stato emotivo della vittima.
…..
È punibile colui che abbia, anche solo in poche occasioni, adottato atteggiamenti persecutori e corteggiamenti indesiderati e insistenti, spaventando così la vittima.
È quanto affermato da una recente sentenza della Cassazione [1] che ha condannato un settantenne per aver molestato una donna con continuo, petulante e non gradito corteggiamento.
Il reato di stalking non richiede una particolare durata temporale delle condotte persecutorie; al contrario è sufficiente la semplice reiterazione delle stesse,: il che si può avere anche in due soli episodi di minaccia o molestia.
Ciò che conta è che tali condotte siano state tali da creare un turbamento emotivo nella vittima e, in particolare, abbiano:
– provocato un perdurante e grave stato d’ansia o di paura nella vittima,
– ingenerato in essa un fondato timore per l’incolumità propria o di un prossimo congiunto o di altra persona a lei legata;
– o costretto la vittima ad alterare le proprie abitudini di vita [2].
Il giudice, al fine di verificare le circostanze sopra elencate, valuta liberamente le dichiarazioni della vittima costituitasi parte civile e decide se esse debbano essere integrate con altri riscontri probatori o siano da sole sufficienti a dimostrare il reato di molestie perpetrato dall’imputato.
[1] Cass. sent. n. 46331 del 20 novembre 2013.
[2] Art. 612bis cod. pen.
Luigi Corvaglia(Quota) (Replica)
Luigi Corvaglia,
…sono alla frutta. Queste sono leggi razziali
Pappagallus sibiricus(Quota) (Replica)