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In un dibattito culturale e politico (quale quello nel quale siamo impantanati da anni ormai) dove la lettura del maschile (a sé stante o in relazione al femminile) risulta paradossalmente appannaggio totale della donna, sia a livello interpersonale che pubblico (lasciando all’uomo la mera possibilità di recriminazione già in partenza depotenziata da pregiudizi) e che, ben lungi dall’essere pura speculazione, sfocia in false certezze – con conseguenti provvedimenti, anche giuridici e legislativi- trovo di estrema urgenza proporre una diversa visione della situazione dell’uomo narrata dai diretti interessati, libera da ogni subalternità nei confronti del femminile, da qualsiasi premessa autoassolutoria timorosa di ritorsioni o esclusioni dal consenso femminile.
È un dato di fatto ormai che ci si debba conformare o genuflettere al mantra della presunta infallibilità della lettura storica della condizione femminile proposta da qualsiasi femminismo per essere autorizzati ad esprimersi, e sia praticamente impossibile uscire indenni da qualsiasi riflessione che non abbia come incipit frasi come: “bisogna ammettere che la donna nei secoli è stata vessata… non si vuole qui negare che la nostra sia una società maschilista”, “la nostra è una società patriarcale”, “siamo tutti d’accordo che la situazione della donna sia e sia stata di sottomissione”.
Rifiutare questa logica in favore di una lettura più realistica degli equilibri uomo/donna significa accendere la luce dove sì è tentato, purtroppo in larga parte riuscendoci, di fare buio. Significa avere il coraggio di raccontare un’altra storia, prendersi la responsabilità di esporsi alle accuse di revisionismo, maschilismo, delirio, al pubblico ludibrio, insomma. Significa intraprendere una strada, anche coraggiosamente accusatoria e di denuncia, ove necessario, della retorica “donna vittima oppressa /uomo carnefice/oppressore”. Nessuna interpretazione della realtà può mai prescindere dal suo ascolto complessivo, e se da una parte i toni si alzano, bisogna alzare la risposta. Risposta che deve venire dal maschile, dagli uomini, che con coraggio devono affrancarsi dalla subalternità di cui sopra in favore di una riacquistata libertà di espressione, che scavalchi i tracciati imposti dalla lettura femminista dominante, venduti come unici termini possibili di confronto: “Se ammetti la mia verità, puoi parlare”.
Se, dunque, accettiamo il dettato femminista che dice che la narrazione della donna deve avvenire da parte delle sole donne, dobbiamo per logica accettare la stessa narrazione maschile da parte degli uomini, in un certo senso denunciando e rispedendo al mittente ogni prepotente analisi del maschile fatta dall’esterno.
Del resto, chi rivendica di essere la sola titolata a parlare del femminile, dovrebbe coerentemente riconoscere il simmetrico diritto da parte maschile. Il fatto che questo non avvenga non è casuale, tanto più che gli uomini hanno abdicato in favore delle sole donne la competenza a parlare del relazionale, del sentimento, delle relazioni amorose, delle emozioni e dei desideri, del diritto al piacere e del diritto alla riproduzione, della bellezza come della delicatezza, dei sentimenti tutti, insomma, fino a definire il maschio come superficiale, insensibile, chiuso, non comunicativo, distruttivo, meschino.
Se questa divisione delle “competenze ad esprimere” ha subito questo scippo lo si deve anche ad una travisata ossequiosità dell’uomo verso la donna, che ne ha esaltato le doti e le bellezze celebrandola in tutti i campi espressivi, dall’arte all’amore (inutile elencare tutti i maggiori artisti della storia che hanno dedicato i loro talenti alla celebrazione della donna) ma tale ossequiosità ha, con una incredibile sinergia concessione/appropriazione, generato un clamoroso scippo.
Per intenderci, così come il comportamento cavalleresco ha salvato le donne dalla nave che affonda e ha condannato a morte l’uomo per discriminazione di genere (da atto di generosità a condanna presente e futura, da allora in poi addirittura ridefinito dal femminile con elucubrazioni sulla necessità di salvezza della specie, totalmente inesistenti ormai ai giorni nostri), allo stesso modo il maschile ha celebrato la donna eleggendola a depositaria del giudizio emozionale e relazionale fino al punto in cu la donna stessa si è autoeletta come unica capace di descrivere il mondo sentimentale (paradosso assai evidente, visto che ad esempio i più grandi poeti ed artisti di tutti i tempi sono tutti uomini e sono universalmente riconosciuti come i massimi narratori delle emozioni umane e relazionali).
Questa abdicazione/incoronazione, quale tributo al femminile divenuto poi escludente per chi lo ha offerto ha appunto, nello scippo, privato l’uomo della possibilità di avere ogni voce in capitolo sui propri stessi sentimenti e desideri, sulle mancanze emozionali come sulle frustrazioni e vessazioni, cedendo di fatto al femminile ogni opportunità di narrazione ed autocondannandosi all’impossibilità ad esprimersi.
Ogni tentativo di uscire dai canoni “donna-sentimento/uomo-superficialità” è stato in origine castrato dalla definizione di scarsa virilità dettata dalle stesse donne.
È infatti più che evidente che i simboli e i comportamenti validati come virili siano ancora una volta stabiliti ed autorizzati dalla donna, che a proprio piacimento elegge degno o indegno ogni comportamento maschile gratificandolo come virile o bocciandolo come codardo, debole, non attraente.
Basti pensare alle famose coccarde bianche del disonore apposte sul petto degli uomini che nell’ottocento rifiutavano di andare in guerra.
Questo scippo, inoltre, ha lasciato attonito il maschio, che si è visto frustato con le spine della rosa donata in omaggio, e ancora oggi non si è riavuto dalla sorpresa. Lascia a bocca aperta la presunzione di voler definire (da parte della donna) la visione del maschio nei suoi confronti come riduttiva ed offensiva, voler sostenere ad oltranza che l’uomo riduce la donna ad oggetto, merce, non la ascolta, non la capisce, o la considera non degna, quando tonnellate di pagine scritte, opere, poemi, sonetti, poesie, migliaia e migliaia di tele, sculture, film, secoli di corteggiamento, protezione, supporto e cura non hanno fatto altro che celebrarne le doti ed il valore.
Tutte queste definizioni di cosa sia il maschile, cosa il femminile, come l’uomo vede e tratta la donna e cosa la donna si aspetti dall’uomo sono dunque TUTTE in mano alle donne, anche tramite un’ azione preventiva di bocciatura a priori.
È ora, dunque, di riappropriarsi del nostro parere, della nostra opinione.
In questo scritto, voglio cominciare ad analizzare alcuni contesti dove questa frustrazione si tramuta in vera oppressione del femminile sul maschile, libero, come dicevo, da ogni debito nei confronti del politically correct e della narrazione dominante. Quanto poi alla lettura del passato, credo che la semplice analisi di questi contesti getterà nuova luce sulle presunte oppressioni nei confronti delle donne.
L’UOMO NEI MEDIA DI INTRATTENIMENTO, DI INFORMAZIONE E NELLA SALUTE
A partire dalla raffigurazione dell’uomo come perdigiorno (che trascorre le sue serate nei bar ad ubriacarsi ed è atteso dalla moglie col mattarello per richiamarlo ai propri doveri, violenza mostrata addirittura ai bambini su ogni giornaletto umoristico, violenza “assistita” talmente sdoganata da divenire oggetto di scherno), che non provvede ai lavoretti di casa e viene scavalcato dal fusto che ripara le tubature in tuta e a petto nudo, (finalmente un vero uomo…), continuando con le attrici umoristiche che lo descrivono come uno scimpanzé che si gratta gli attributi con la mano nei mutandoni e sporca il bagno, vero uomo solo se sa appendere mensole o cambiare gomme oppure da sostituire attraverso la seduzione nei confronti di uno più virile, uomo che non ha in mente per la serata che vedersi la partita, che fa sesso macchinalmente e brevemente solo per il proprio piacere senza attenzioni per la donna, che sfugge alle “proprie responsabilità” per correre dietro alle gonnelle delle più giovani dopo aver sfruttato la propria moglie nei lavori di casa ed averla resa poco attraente, queste sono solo alcune delle narrazioni femminili dell’uomo che si pretende vengano accettate come vere.
Le sensibilità femminili hanno dunque pieno diritto ad essere espresse e valorizzate, e di conseguenza legittimate, mentre per assunto l’uomo, di fatto raffigurato come una specie di primate, non ha possibilità di ascolto, essendo escluso a priori della possibilità di espressione.
Altro esempio sono battute quali “le donne sono multitasking e l’uomo sa fare una cosa alla volta, la donna con il tumore si occupa della casa, del lavoro e dei figli mentre l’uomo per un raffreddore fa testamento“. Questi contesti, ritenuti “leggeri” sono invece assai rappresentativi in quanto raffigurano ironicamente una visione che si ritiene veritiera anche nella quotidianità e tolgono, per il loro carattere ironico, ogni possibilità di ribellione, pena essere tacciato di mancanza di autoironia o di essere tacciato di pedanteria. Si tratta comunque di espressioni culturali assai gravi che, ancora una volta, quando pronunciate a parti invertite vengono bollate come maschiliste/oppressive/patriarcali.
La descrizione della donna come portatrice di onestà (recenti dichiarazioni sessiste della Banca d’Italia affermano che l’assunzione ai vertici di più donne garantirebbe il calo di corruzione, così come innumerevoli campagne elettorali che descrivono il genere femminile della candidata come garanzia di rettitudine e correttezza politica), di bellezza (donna è bello, ogni donna è bella), sono esempi di esaltazione escludente, dove per logica se tali qualità vengono riconosciute alle donne in quanto tali, vengono allo stesso tempo negate negli uomini. Se donna è bello, arrivare alla logica conclusione che anche uomo è bello renderebbe inutile l’affermazione; siamo tutti belli punto e basta.
In ambito sanitario, questa differenza di dignità, in questo caso nel dolore, è ancora più evidente, dove programmi nazionali e mondiali investono miliardi per i disturbi femminili e, a dispetto di ogni statistica addirittura contraria, ignorano i disturbi maschili, siano essi fisici o psicologici. Sul sito dell’ Associazione Italiana Ricerca sul Cancro, ad esempio, si trovano i seguenti dati: “Si stima che nel nostro Paese vi siano nel corso dell’anno 366.000 nuove diagnosi di tumore (esclusi i tumori della pelle, per i quali è prevista una classificazione a parte a causa della difficoltà di distinguere appieno le forme più o meno aggressive), circa 196.000 (54%) fra gli uomini e circa 169.000 (46%) fra le donne. Lo affermano i dati dell’Associazione italiana registri tumori (AIRTUM) relativi al 2014. Negli ultimi anni sono complessivamente migliorate le percentuali di guarigione: il 63% delle donne e il 57% degli uomini è vivo a cinque anni dalla diagnosi”. Appare quindi evidente che il tappezzare ogni presidio ospedaliero ed ogni luogo pubblico, nonché promuovere campagne nazionali a tappeto su tutti i media contro il tumore al seno senza che vi sia, se non lo stesso battage, quanto meno il minimo contraltare per il tumore esclusivamente maschile come quello alla prostata, vada considerato come una discriminazione di genere, che ritiene che il dolore e la morte siano più accettabili se subiti dall’uomo e gravissimi se subiti dalle donne; e questo addirittura in presenza di percentuali contrarie, tra cui quelle sulla guarigione, ossia più uomini che contraggono tumore e che ne muoiono, che donne.
Si veda, a questo proposito, una recente pubblicità televisiva di un farmaco anti prostata, dove i continui risvegli notturni di un uomo di una certa età sono visti solo come disturbo del sonno della moglie, la quale molto seccata accentra tutta l’ attenzione sul fastidio a lei provocato. L’arrivo del farmaco miracoloso è vissuto come sollievo PER LEI e viene festeggiato da entrambi con lui che LE porta la colazione a letto, come premio per la pazienza dimostrata. A parti inverse, se raffigurassimo il problema del tumore al seno attraverso il fastidio creato all’uomo ne avremmo uno scandalo internazionale. Se mi permetto di suggerire la lettura a parti inverse non è, come detto in premessa, per leggere il femminile dalla parte del maschio ma per mettere in evidenza come la narrazione degli stessi identici contesti è vista come necessaria denuncia di visione offensiva, dolorosa oppure opprimente se fatta dalle donne, ma ridicolizzata o considerata pretestuosa se fatta dall’uomo; dunque, anche qui, i due pesi e le due misure confermano lo scippo descrittivo della realtà. Ritenere o affermare, infine, che questa differenza di trattamento sia causata da uno Stato paternalistico che considera la donna come debole e da proteggere (e quindi da tutelare), come suggerito da certo femminismo tra i più retorici e subdoli, è parte dell’inganno, anzi lo smaschera appieno. Sarebbe come sostenere che la sanità sia esclusivamente in mani maschili e che ogni donna che vi lavori sia assoggettata al patriarcato ed al paternalismo maschilista. Ossia, “Io donna curo solo le donne perché ciò è voluto dal maschio; prediligo e curo il tumore al seno delle donne e lascio morire di cancro alla prostata gli uomini in accordo con l’uomo oppressore”.
Affermare a gran voce che il tumore colpisce sia gli uomini che le donne, che si vogliono campagne contro tutti i tumori e non sbilanciate per generi, diventa quindi rivoluzionario. E chi lo fa viene accusato di negare (negazionismo) la realtà della donna oppressa e discriminata.
IL PRINCIPIO DELL’UOMO FRIGORIFERO
Il frigorifero è contenitore e fornitore del nostro nutrimento e della nostra gratificazione voluttuaria. Una volta riempito lo apriamo, ci serviamo di ciò che desideriamo, lo richiudiamo per riaprirlo solo quando ci va o ci serve. Nessuna lamentela proviene da esso, il quale non recrimina, non necessita, non rompe le scatole se non lo apriamo, non pretende da noi la stessa gratificazione e soddisfazione di bisogni o voglie che noi chiediamo ad esso. Il concetto di uomo frigorifero sintetizza questa visione: uomini che devono soddisfare le necessità della donna ma sono inascoltati o denigrati se si permettono di far presente anche le proprie aspirazioni, i propri desideri. I desideri maschili sono descritti dal femminile come arbitrari e fastidiosi, quelli sessuali in quanto considerati banalmente carnali e meramente autoreferenziali, in una “meschinizzazione” umiliante che viene accettata solo per i suoi risvolti dimostrativi dell’apprezzamento della donna (se mi desidera così tanto è perché mi ritiene sexy ed attraente, non perché lui possa avere voglia o bisogno di desiderare, sono io donna che sono irresistibile e quindi ancora una volta il centro della questione sono io e non lui); quelli sensuali poiché considerati segno di debolezza ed espressione di bisogno che poco si confà alla visione femminile del maschio (il maschio ascoltatore, ad esempio, è considerato poco virile, semmai amico e confidente, per venire scavalcato da quello più intraprendente che sa coinvolgere e stupire, che passa ai fatti senza perdersi in moine); quelli consolatori ed affettivi come richiesta di ritorno a stadi infantili con conseguente presunta collocazione della donna in ruolo di madre, quelli di leggerezza e scherzosità come mancanza di assunzione di responsabilità, quelli dettati da preoccupazioni come noiosi e fastidiosi in quanto riverserebbero sulla relazione tensioni che competono al maschio e che deve sbrogliarsi da solo, quelli di condivisione come inique pretese ed infine quelli personali come egoismo.
Mentre quindi del diritto alla sessualità ed alla affettività della donna si è parlato fino allo sfinimento, riconoscendolo giustamente come oggettivo e non solo nella ripercussione sull’uomo, il diritto alla sessualità dell’uomo è sempre visto con il filtro della donna e per i risvolti che la riguardano, come se della stessa oggettività fosse tabù il parlarne. Che l’uomo abbia pari diritto alla propria sessualità è inaccettabile; tale “pretesa” viene condannata come animalesca, autoreferenziale; l’uomo che ha voglie e desideri sessuali viene definito come puttaniere, maiale, incapace di controllarsi. Inoltre, il diritto alla sessualità maschile non può mai essere considerato un valore a prescindere, ma viene subordinato alla concessione o alla negazione femminile (né con me se non mi va né con nessun’altra perché sei mio). Il problema del desiderio maschile rimane irrisolto se non rientra nei dettami femminili, dove se la donna è insoddisfatta nella coppia viene ritenuta in diritto di rivolgersi altrove per soddisfare i suoi desideri (ed anzi sostenuta, aiutata e caldeggiata da altre donne), mentre se lo fa l’uomo viene considerato un porco che non sa tenere chiusa la patta dei pantaloni.
Poco mi interessa, in questo contesto, la lettura ancora una volta femminile che racconta gli uomini come accusatori dei facili costumi della donna. Di fatto, l’intera società ha ormai riconosciuto come positivo il diritto alla sessualità femminile e bocciato come negativo quello maschile (la nostra società, vale la pena ripeterlo, NON definisce donna di facili costumi colei che afferma il proprio diritto alla sessualità. La descrizione della nostra società che bollerebbe la donna sessualmente libera con lo stigma della “donna facile” è ancora una volta strumentale, tutta femminile e fuori tempo massimo), fino ad accettare un articolo scritto da una suocera famosa che insulta, in uno dei maggiori quotidiani, il marito della figlia che la lascia per un’altra, diffamandolo come animale che non sa trattenere i propri istinti sessuali. A parti invertite, sarebbe considerata una delittuosa ingerenza nei diritti della donna.
Per tornare alla semplice quotidianità della coppia, laddove una serata trascorsa dalla donna con le amiche è da considerarsi come cosa positiva per libertà ed autodeterminazione, una serata con gli amici trascorsa dall’uomo è vista come un’orgia di birre e di fischi alle minigonne, se non tempo sprecato o peggio.
Ancora una volta, questa lettura femminile dei desideri e dei bisogni maschili è l’unica accreditata e valida socialmente, mentre è impossibile fornirne una altrettanto legittima al maschile che veda le proprie esigenze come paritarie e degne di considerazione.
L’unico veicolo legittimante di tali desideri è quello (ad esempio romantico-cinematografico) dove le emozioni maschili diventano degne se femminilizzate, cioè espresse e contestualizzate secondo i canoni del femminile.
L’uomo romantico è femminilizzato e compie azioni non già che gli appartengono ma che ritiene saranno da lei più gradite, l’uomo voglioso è macho ed irresistibile nonché impossibile da raggiungere (in quanto, una volta assorbito nell’auspicato rapporto di coppia perderebbe la qualità di frigorifero e reclamerebbe i suoi desideri in maniera incontrollabile), l’uomo timoroso è deriso o coccolato con tenerezza ma privato della sua dignità perché si rivelerà inutile, l’uomo intraprendente deve, per guadagnare il premio, adeguarsi al percorso femminile del merito e del saper ascoltare non sé stesso ma lei, la sua volubilità, le sue contraddizioni ed il suo insindacabile giudizio, nonché mostrare ossequiosità ai modi e tempi femminili.
Come si vede, i desideri maschili, le esigenze ed i bisogni del maschio vengono regolarmente ridicolizzati, banalizzati e delegittimati, così come un frigorifero che avesse fame e reclamasse andrebbe al macero. In conclusione, i desideri e i bisogni maschili sono legittimi solo se autorizzati e riconosciuti dalla donna, se a lei adeguati, ma di maschile hanno a quel punto perso la loro natura. La natura maschile è segata sul nascere, perché sbagliata, e quindi condannata. In sé, non ha diritto di essere. Viene concessa, se snaturata.
L’UOMO COME FORNITORE DI SERVIZI
Fin dalla prima infanzia, il maschio viene formato, plasmato e costruito secondo ciò che gli verrà richiesto dalla donna, Viene costretto a non piangere, a comportarsi da uomo, a non avere paura, a non essere debole, ad essere vincente, a risaltare sugli altri, poiché queste saranno le qualità che la donna gli chiederà, visto che non saprebbe che farsene di un piagnone, di un codardo, di un debole, di un perdente che non saprebbe fornirle i servizi richiesti. Verrà modellato come buon marito, inseguendo il modello del miglior fornitore di servizi a lei e alla famiglia impostata secondo lei. Con questo intendo tra l’altro che ogni futuro bene acquisito con il lavoro dovrà essere funzionale alla coppia ed alla famiglia ed approvato dalla stessa (per fare un breve esempio, lo scapolo con la bella macchina sportiva è attraente perché promette benessere, ma nel momento in cui entrerà nel matrimonio la macchina sportiva sarà un costo inutile e verrà messa in secondo piano, se non venduta, per un comodo Van. La soddisfazione personale della guida sarà quindi un di più ammesso solo ed esclusivamente se c’è esubero di risorse o se rientra in una immagine sociale voluta e riconosciuta dalla donna; il monolocale pied-a-terre tanto intrigante nei primi incontri verrà venduto per essere inglobato nella casa familiare, al di là di qualsiasi possibile riutilizzo personale, anche del più rispettoso della fedeltà coniugale).
Tornando all’infanzia, al bambino viene insegnato a difendersi anche fisicamente dagli altri maschi ma non dalle femmine, gli viene intimato di non farlo verso di loro in quanto donne, instillando fin nei piccoli il concetto di sessismo. Lei non si tocca perché è una bambina, è colei che dovrai riverire e che amministrerà la tua vita. In seguito, i successi scolastici verranno sempre incentivati non già come soddisfazione personale o intellettuale, ma in quanto premesse di successo economico e quindi di capacità di provvedere alle necessità della donna e della famiglia.
Chi perderà anni nella ricerca di sé stesso attraverso la formazione e lo studio sarà considerato irresponsabile, inetto, mentre chi brillerà negli studi verrà indirizzato verso materie adatte al guadagno, non già per ricchezza personale ma come patrimonio da mettere al servizio del matrimonio. Una solida posizione non viene prospettata all’uomo come conveniente per sé ma come necessaria ai suoi futuri doveri coniugali e come unica strada per la conquista di una persona che lo ami.
Nessuno ti amerà e metterà su famiglia con te se non ti saprai realizzare economicamente. Il miglior partito per la migliore donna è quello realizzato e di successo.
Questo instilla, al di là delle chiacchiere su una supposta competitività primordiale del maschio, una inevitabile ansia da prestazione esistenziale, che riconosce l’uomo valido se realizzato economicamente in funzione delle esigenze della donna. Qualsiasi battaglia per l’emancipazione della donna e la sua autonomia economica non ha mai risolto questo punto, giacché ancora oggi, socialmente, viene condannato l’uomo che si regge sui denari della donna, a meno che non sia ricchissima e quindi il provvedere all’uomo economicamente non sia un peso ma una voluttà.
In nessun modo, socialmente, viene ammesso che un uomo possa essere apprezzato ed economicamente perdente. Sensi di colpa, frustrazioni, senso di inutilità, fino al suicidio per incapacità di provvedere ai bisogni della donna e della famiglia sono germi che vengono instillati già ai bambini, in una interminabile corsa al successo del perfetto fornitore di servizi e beni.
Per continuare con qualche esempio, il cosiddetto “buon partito”, o il fidanzato presentato in famiglia, viene valutato in quanto futuro fornitore di beni e servizi (è un fannullone, un poco di buono che non riuscirà nella vita, oppure è un buono studente, un buon lavoratore, non ha vizi), insomma viene accettato o rifiutato socialmente in base alla sua produttività ed in base alla sua capacità di sostenere la donna. Anche questo meccanismo è rimasto irrisolto; nonostante le battaglie femminili, della quale si esalta giustamente l’emancipazione, l’uomo non è mai apprezzato se non è in grado di provvedere alla famiglia.
Come in una fiera di cavalli a cui si guarda in bocca, nel ragazzo si guarda la capacità reddituale e di ossequio verso la donna. A nulla vale la retorica politically correct imperante che finge di apprezzare le qualità umane; un imprenditore di futuro successo sarà sempre preferito ad uno studente di filosofia, a meno che non sia rampollo di buona famiglia e il sostentamento sia comunque garantito in altro modo. Questo è l’approccio alle capacità maschili della nostra epoca, questi sono i requisiti che ancora oggi sono richiesti al maschio. Capacità di provvedere, di fornire, di eccellere.
Questo esame di adeguatezza alle esigenze della donna è talmente interiorizzato da essere, tra i maschi stessi, ormai nascosto, ma sempre attivo; l’essere riconosciuto nei propri successi viene falsamente inteso come vero successo personale, e non già in funzione di altri, e la competitività viene esacerbata come se fosse cosa da uomo a uomo. I due guerrieri che si sfidano a duello per la Principessa credono di ottenere nella vittoria un successo personale, mentre in realtà il riconoscimento viene dalla attestata superiorità in vista dell’eccellere nel provvedere a lei. La retorica vera sta nel descrivere la Principessa come oggetto mercificato, come oggetto di conquista, mentre a dover guadagnarsi i diritti a suon di colpi mortali è proprio l’uomo, il vero mercificato. Che poi si voglia credere che nella vita coniugale, nelle mura del castello, la Regina sia sottomessa al Re, beh, questo avviene appunto nel mondo delle favole.
MEGLIO GUADAGNARE O SPENDERE?
Una delle mistificazioni più diffuse riguardo al potere in famiglia esercitato dal proprio stipendio racconta che l’uomo, in quanto possessore appunto in origine di quei soldi se ne avvalga usandoli a suo piacimento. Su questo punto, conviene riflettere a fondo dal punto di vista maschile, poiché anni ed anni di indottrinamento hanno convinto un po’ tutti che chi guadagna i soldi detenga automaticamente il “potere”.
Così come i padroni delle fabbriche non producono un bel niente ma godono dei proventi ottenuti grazie al lavoro di altri, allo stesso modo possiamo far entrare nelle case qualsiasi stipendio per tramite di chiunque, ma alla fine dobbiamo vedere chi è che gestisce e spende quei soldi.
Nel racconto dominante oggi si intende la persona libera nel momento in cui gode dei mezzi di sostentamento; porre in luce il ruolo maschile nella sua accezione di fornitore di beni capovolge anche questo luogo comune. In fondo, comandare il “capo”, anche se in maniera nascosta o diplomatica, è assai meglio che essere il capo stesso.
In effetti, preferirei poter disporre dei soldi di Bill Gates piuttosto che esserlo. Sposandolo, ad esempio. Perché doversi impegnare nella riuscita sociale ed economica se posso ottenere lo stesso risultato mettendomici accanto? Soddisfazione personale e professionale? Certo, ben venga; ma dopo essermi assicurata il pane.
Se il grande manager, come il semplice lavoratore, portano a casa i proventi e questi vengono messi a disposizione della famiglia, perché dovrei sporcarmi le mani a guadagnarli? L’unica barriera frenante (che guarda caso è stato il cavallo di battaglia femminista finora) è che il poter guadagnare il proprio stipendio rappresenti libertà ed emancipazione.
Barriera che ormai non regge più, altrimenti ogni uomo che lavora sarebbe da ritenere libero, visto che, così come l’industriale non si preoccupa certo di emanciparsi dal suo ruolo di utilizzatore dei beni prodotti da altri, allo stesso modo basta sentirsi emancipate potendo godere della libertà procacciata da altri, della quale possiamo disporre appieno e che socialmente ci elegge libere, per spazzare via con un soffio ogni scomodo percorso di fatica reale.
Ciò diventa fortemente evidente in caso di separazione, dove con la pretesa del mantenimento si afferma che si avrebbe proprietà passata, presente e futura sulle rendite e sulla carriera dell’ (ex) marito. E non dimostra forse questo ciò che stiamo sostenendo?
Se il marito avesse esercitato un qualsiasi diritto di proprietà esclusiva sul proprio stipendio in regime di convivenza, chi potrebbe rivendicarne a posteriori qualsiasi diritto?
Se si prende a parametro per l’assegno divorzile il tenore di vita goduto nell’unione, non si afferma dunque proprio questo, e cioè che quello stipendio era goduto ed utilizzato da tutti? Delle due, una. O ne godeva anche la donna o no. Non a caso lo stipendio della donna non viene mai preso d’assalto per un mantenimento all’ex marito, per il semplice motivo che in casa, ciò che portava lui era una DOVUTA FORNITURA DI SERVIZI SOCIALMENTE IMPOSTI, mentre l’eventuale stipendio di lei era una giusta emancipazione e quindi rappresenta non già un contributo dovuto alla cura di altri ma una semplice proprietà privata.
Anche, del resto, il concetto di reversibilità della pensione solleva vari interrogativi: se in caso di morte della moglie non lavoratrice la pensione del vedovo rimane invariata, nel caso di morte del lavoratore la moglie si avvale del frutto delle fatiche del marito. Il paradosso che salta all’occhio è quindi ancora una volta lo stesso: o si afferma che il lavoro casalingo non è retribuito e l’avere una casa, i soldi dello stipendio del marito di cui poter disporre paritariamente e la di lui pensione quando muore lo smentiscono, oppure si DEVE ammettere che in una famiglia si lavora tutti e due, chi in casa chi fuori e si campa con i soldi che entrano. A questo punto tutti e due retribuiti.
Il vero discrimine di questa realtà, che potrebbe renderla impositiva o una libera scelta, sta quindi nel quanto sia una imposizione maschile l’occuparsi della casa e dei figli o non sia piuttosto una scelta egoistica e ben ragionata. Paradosso che diviene ancor più evidente nel caso di alti stipendi, dove di certo non è richiesto alla donna di sacrificarsi per le pulizie domestiche o la cura dei figli, potendosi permettere (e NON potendo sottrarvisi) aiuti casalinghi, e quindi il concetto di moglie che sacrifica la propria carriera per sostenere quella del marito va a farsi benedire. Casomai, è l’uomo che con il proprio alto stipendio ha permesso alla donna una vita che lei non si sta guadagnando.
Per quanto questa lettura estrema possa apparire desolante, l’attuale concezione dei doveri maschili nei confronti dell’unione e della famiglia non trova altra possibile spiegazione. Di fatto, l’uomo che impone l’utilizzo tra le mura domestiche dei soldi provenienti dal proprio lavoro e ne decide la destinazione, non esiste se non in termini residuali e minimi.
Il livello di benessere economico familiare proveniente dall’uomo viene condiviso tra tutti i componenti. A meno che voi abbiate visto da qualche parte una donna vestita di stracci camminare accanto ad un uomo in giacca e cravatta, o che lo segue su una piccola utilitaria mentre lui va al bar con la BMW, o che pernotta in un misero affittacamere mentre lui va al mare in un hotel a quattro stelle. Anzi, per dirla tutta, la destinazione di quei proventi è TOTALMENTE influenzata o decisa dalla donna, che sceglie cosa serve o non serve alla famiglia e determina, con vari tipi di pressione, da quella di status sociale a quella della famiglia di origine, o quella psicologica e ricattatoria, (anche ma non solo in tema sessuale), cosa la famiglia comprerà con quei soldi. Si, decisamente preferirei essere chi decide cosa fare di ventimila euro al mese piuttosto che dover essere quello che si espone per guadagnarli e che subirà il peso del non poterli o non saperli guadagnare. Basta voler interpretare correttamente il dato sui suicidi maschili tra i lavoratori e i piccoli e medi imprenditori in tempo di crisi (più del 90%), che di fatto si sentono falliti nei loro doveri e viene messa in crisi di fatto la loro riuscita COME UOMINI, per renderci conto che questa lettura non è affatto campata in aria.
PATERNITA’ IMPOSTA, CONCESSA O NEGATA
Per quanto questo capitolo sia talmente vitale da meritare di essere trattato a parte, pare utilissimo tracciarne una breve sintesi, a rappresentazione della parabola discendente dell’uomo addestrato, spremuto, masticato e sputato quando non più necessario, quando cioè si può ottenere la stessa fornitura di servizi senza ritrovarselo tra i piedi, o meglio ancora potendolo massacrare ed uscirne vittime.
Partendo dal dato di fatto che i figli sono il (nuovo) presupposto per potersi ritenere vittime e bisognose di fornitura di servizi anche nel divorzio, giacché vengono usati per mascherare il paradosso di una società che incentiva l’emancipazione ed il lavoro femminile, fornisce mezzi privilegiati di ammortizzazione sociale e di accesso ai lavori per le donne, ma al contempo ne impone il mantenimento in quanto sfavorite, sarebbe troppo evidente che la giusta soluzione una volta sole sia di andare a lavorare. In caso di figli, ecco che l’uomo frigorifero, scomodo ed ingombrante dentro casa, viene facilmente trasformato in un più moderno e luccicante Bancomat, in barba ad ogni legge (presente da noi da ormai quasi dieci anni) che afferma la parità genitoriale ed elimina l’assegno di mantenimento ai figli in favore del mantenimento diretto (tempi paritari e ognuno paga quando ha i figli con se). Legge antisessista disapplicata con sessismo nei confronti degli uomini.
Fatta questa dovuta premessa, passiamo ad analizzare il diritto alla paternità maschile o il suo legittimo rifiuto.
Retorica vuole, innanzitutto, che solo tre modalità elencate siano oggi possibili. Imposta, concessa o negata, o una fusione di esse. In ogni caso, quale che sia la modalità, l’uomo deve “assumersi le proprie responsabilità”, pena il massacro. Vediamole.
IMPOSTA: sfido ogni lettore o lettrice a citarmi una unione che possa reggere felicemente alla pressione del desiderio di maternità della donna se non accontentato dall’uomo. Orologio biologico, voglia di maternità, ovvio obiettivo e scopo del matrimonio, pressioni familiari ed amicali, fanno si che ogni uomo che volesse ascoltare ANCHE se stesso, capire se e quando voglia o meno, se si senta preparato, se sia giusto o meno diventare padre, sarebbe oggetto di enormi pressioni. Vivere accanto ad una donna alla quale si nega il sacrosanto diritto ad essere madre? Rendersi reo di aver fatto perdere granelli preziosi nella clessidra del tempo della donna? Macchiarsi di irresponsabilità e senso di colpa e inadeguatezza per non assumersi le proprie responsabilità di marito e quindi di padre? Eterno Peter Pan incapace di crescere? Sfido chiunque a reggere la pressione psicologica di far perdere per sempre alla propria compagna la possibilità di diventare madre e continuare a vivere felice. E se l’uomo volesse continuare a vivere con quella donna, la amasse, ma non si sentisse in grado di essere padre? Onta e vergogna anteporre le proprie debolezze o esigenze davanti a quelle della donna. Spostati e naufraga. O accetti o subisci. Si sprecano i siti internet e i suggerimenti caserecci per rimanere incinta anche senza il consenso dell’uomo, che se poi non accettasse e si ribellasse verrebbe comunque costretto al mantenimento e bollato per abbandono della moglie incinta o della prole.
In questa eventualità, più che in ogni altra, appare folle parlare di “assumere le proprie responsabilità”. Proprie? Di chi? Imposte, casomai. Vale la pena accennare anche alla altissima percentuale di figli ritenuti propri ma provenienti da altre relazioni, dato in crescita esponenziale evidenziato dalle nuove tecniche di test DNA. Non solo quindi imposta palesemente, ma addirittura a volte nascostamente o indebitamente. Da tenere conto anche che, mentre nel caso della donna esistono strumenti, dall’aborto alla possibilità di non riconoscere il figlio e lasciarlo in maniera anonima in strutture ospedaliere, o nel caso di abbandono al padre nessun obbligo di mantenimento o cura, (suona strano pensare ad una madre che non vuole il figlio e lo lascia al marito senza assumersi “le proprie responsabilità? Non lo è, specialmente nel caso di figli disabili), nel caso dell’uomo non è prevista nessuna possibilità di scelta nel caso si tratti di paternità non voluta. Anche un semplice test del DNA obbliga il padre al mantenimento economico. Le proprie responsabilità?
CONCESSA: la massima opzione per il padre è la concessione. Se voluto, il figlio viene considerato una concessione, sempre filtrata nei modi e nei tempi dalla donna. Il carattere di concessione verrà rivelato nel tempo, dove l’aver “accontentato” il desiderio di paternità maschile troverà mille veicoli per venir fatto pesare. A partire da una autovittimizzazione assai frequente, dove la donna assume un atteggiamento di recriminazione per aver “dedicato la vita a crescere i TUOI figli” ed essersi sacrificata. Il desiderio maschile di paternità viene svilito quindi al rango di imposizione. Nel caso poi sempre più frequente di padri separati con prole, quest’ultima viene spesso vista come limite ed ostacolo alla nuova coppia, con condanne più o meno velate del passato, in sostanza l’uomo porta non già il frutto del suo diritto alla paternità o la propria gioia, ma un impiccio.
NEGATA: nella coppia, dove nessuna imposizione sarebbe giustamente possibile, e quindi il rifiuto ad essere padre è ovviamente attuabile dalla donna. Come motivo di separazione, dove l’intromissione “inaccettabile” dell’uomo nella cura e nelle decisioni sui figli vengono vissuti dalla donna come impropri o come sottrazione di potere o prestigio, intaccando quindi il nuovo status di Mater Dei e di unica capace di capire le esigenze dei figli. Incredibilmente, nella nostra cultura ed in questi anni, il padre è considerato inetto alla cura ed alla educazione dei figli. Chi riesce ad essere riconosciuto adeguato viene accettato come “aiuto o collaboratore” nella cura. Dopo la separazione, la negazione della paternità è la storia di milioni di italiani padri esclusi e massacrati.
Per concludere questa agghiacciante carrellata, se è vero che dietro ad ogni grande uomo (in senso lato) c’è una grande donna, ci si dimentica di dire che dietro ad ogni vantaggio dell’essere “grande” c’è sempre quella stessa donna che anziché esporsi nella propria supposta grandezza e misurarcisi, se ne avvale. Se poi quell’uomo è un essere spregevole, il peggior criminale, a quanto pare dietro di esso non c’è nessuna donna che lo sprona o lo assiste. Dietro al bello c’è sempre una donna, ma il pessimo lo è da solo. Che società maschilista.
49 Commenti
Per quanto ne so, Francesco si è sempre astenuto dallo scrivere articoli o post.
Perdindindina ha recuperato tutto in un colpo solo.
Luigi Corvaglia(Quota) (Replica)
Ottima disamina, ben poco da aggiungere, se non che la rappresentazione del maschile in tv è anche peggiore di quella descritta nell’articolo.
Sasha(Quota) (Replica)
Proprio ieri sera, ascoltando la radio, ripensavo all’immagine del maschile e del femminile offerta dagli spot pubblicitari, dove lui è sempre ed immancabilmente lo stupido inetto, il pigro, l’eterno fanciullo, l’irresponsabile, destinato a soprendersi di quanto invece la moglie sia brava, aggiornata, saggia, responsabile, bella, multuskating, madre e moglie perfetta. Occorrerebbe istituire un centro d’ascolto sistematico sulla pubblicità ed elaborare una statistica.
Quindi leggo con grande piacere il tuo eccellente articolo, caro Francesco.
Riprende in gran parte alcune, fra le altre, tematiche che furono alla base della fondazione dei Maschi Selvatici (di cui sono stato presidente) ma ormai purtroppo abbandonate e scansate in nome del nulla, a riprova di quanto sia difficile porsi in contrasto col mainstream e di quanto la falsa narrazione femminista (ma direi femminile in genere) riesce a penetrare nella ben morbida corazza maschile così tanto disprezzata come manifestazione di insensibilità etc. etc. Il pensiero mi va subito al nostro grande Cesare Brivio, col quale abbiamo discusso tante volte di queste cose, e che era il più fiero sostenitore della necessità della separatezza maschile, per far si che gli uomini raccontessero se stessi e gli altri uomini senza sentirsi in colpa per farlo, senza la spada di damocle della condanna sociale. Permettetimi allora una disgressione personale. I primi incontri annuali dei MS, dal 1998/9 e per oltre 10 anni, erano proprio questo. Uno spazio fisico e psichico maschile che rigenerava, che creava grande tensione comunicativa e affettiva, grande riconoscimento reciproco, e permetteva quella narrazione di sè come maschi di cui si sente tanto, o meglio noi sentiamo tanto, la mancanza.
A questo clima corrispondevano, ed era ovvio, i contenuti del sito, ricchissimi ma ora colpevolmente inagibili.
Tutto nasce, si trasforma e muore, naturalmente. Ma non certe istanze, più che mai all’ordine del giorno. Ben venga chi le riprende e continua una battaglia che val la pena combattere, quale che sia il suo esito.
armando(Quota) (Replica)
“Che ciascuno stia dalla propria parte, ciò fonda quella pulizia interiore di cui vi è assoluta necessità” diceva l’immenso Cesare.
Stiamo dalla nostra parte, costruiamo cioè il nostro racconto di rinascita, di rigenerazione e di salvezza.
Le pagine di Francesco sono parte di quel racconto in via di costruzione da tempo e che stiamo ogni giorno tessendo.
Un racconto del presente e del passato la cui parte maggiore deve ovviamente essere ancora scritta, cioè, anzitutto, percepita e pensata.
Quando sarà completato nulla sarà più come prima.
Rino DV(Quota) (Replica)
…
Ho visto. Hanno tolto il vecchio sito. E’ un vero peccato. Non pensavo potesse succedere, altrimenti me lo sarei scaricato.
Luigii Corvaglia(Quota) (Replica)
Sono passato a firefox e il pc funziona meglio,per cui ripeto il mio commento:E’ talmente tutto giusto e angosciante che l’unica cosa che mi viene in mente è che forse dovremmo riportare indietro di 50 anni l’orologio della storia umana e sociale.Come fare?Forse basterebbe ricominciare,spudoratamente,pervicacemente e con forza,a chiamare “bottane” tutte le donne che scopano a destra e a manca,se è vero come è vero che l’unica libertà che a loro importa è quella sessuale che gli dà la pillola,ma che purtroppo si è portata a rimorchio tutte le altre alle quali corrisponde specularmente l’attuale schiavitù maschile.
andrea(Quota) (Replica)
andrea,
.
Un appunto amichevole. Evitiamo certe espressioni. Per carità non è per perbenismo, ma ci sono sempre le “rugiade rosse” di turno che ci monitorano, estrapolano dei passaggi e li strumentalizzano nelle loro catapecchie virtuali.
E poi scusami, non è questione di tornare indietro, semmai di andare avanti riequilibrando diritti e doveri.
Luigi Corvaglia(Quota) (Replica)
andrea,
Lo scopare a destra e a manca non fa di una donna una puttana.
IL problema non è il linguaggio, ma il contenuto.
Po prendono una commento fra i tanti e vanno in giro a dire:”Guardate che cosa pensano veramente gli Uomini Beta?”
E invece no, noi certe cose non le pensiamo proprio. A me piace scopare a destra e a sinistra e non per questo sono una puttana…
Fabrizio Marchi(Quota) (Replica)
Il mondo capovolto… da Boeri
http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2015-09-24/pensioni-boeri-requisito-flessibilita-sia-eta-non-contributi–152842.shtml?uuid=AC7vcx3&refresh_ce=1
romano(Quota) (Replica)
Mi spiace che non abbiate colto la provocazione.Mi stupite,non me l’aspettavo.
andrea(Quota) (Replica)
andrea,
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Non si tratta di questo. Che fosse una provocazione l’avevo capito. Solo che, come ha detto Fabrizio, prendono un commento, anzi no, una parte di commento, travisandone così il senso e lo usano a modo loro.
Ti faccio un esempio:
https://www.uominibeta.org/lettere/la-storia-capovolta-il-dono-maschile-trasformato-in-oppressione/comment-page-1/#comment-232412
Purtroppo stiamo giocando una partita molto delicata. Siamo un Movimento Maschile di Sinistra che combatte contro un ideologia che ha colonizzato la sinistra (minuscolo obbligatorio) odierna, ed è meglio non prestare il fianco alle loro strumentalizzazioni.
Luigi Corvaglia(Quota) (Replica)
Scusa Luigi,ma questo è bigottismo.Da due anni vi seguo e non mi pare che quando esprimete i vostri pareri vi preoccupiate molto del giudizio altrui,men che meno di quello dell’universo femminile.Io non me ne preoccupo,anzi penso che nella posizione subordinata in cui è finito l’universo maschile questa debba essere proprio la preoccupazione minore e che la miglior difesa sia l’attacco.D’altronde dove mi rigiro quotidianamente(televisione e vulgata)non sento che attacchi all’uomo in quanto tale e non mi pare che nessuno(donne)si preoccupi dei loro contenuti offensivi.Ora,che ve ne preoccupiate voi mi sembra un po’ una sorprendente contraddizione e ne prendo atto.D’altronde io non cambio le mie idee per nessuno,e se non vi piacciono i miei commenti potete pure non pubblicarli.Me ne farò una ragione.Una cosa per Fabrizio:Io non ho mai pensato che un uomo che scopa a destra e a manca sia migliore di una donna che fa la stessa cosa,per me il comportamento è comunque censurabile se non tiene conto della sensibilità altrui,forse perchè sono un irrimediabile romantico e ho sempre cercato non di fare sesso ma di fare l’amore.
andrea(Quota) (Replica)
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E questo, invece, si chiama “apertura mentale”->”riportare indietro di 50 anni l’orologio …a chiamare “bottane” tutte le donne che scopano a destra e a manca”
Animus(Quota) (Replica)
andrea,
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Che ci azzecca il bigottismo Andrea. Credevo di essermi spiegato.
Se vai in alto a destra su questa pagina, come su tutte le altre, ad eccezione della home, trovi un “Avviso ai naviganti“.
Leggitelo. Per che cosa credi stia lì, se non per quello che ti ho detto in precedenza.
Non è questione di tenere al giudizio altrui (di quelle poi … ) ma di evitare speculazioni.
Poi se permetti il fatto che altrove offendano impunemente gli uomini non mi sembra un buon motivo per agire specularmente a loro.
…
ps. Nella pulizia dello spam forse ho cancellato inavvertitamente un commento buono finito li dentro. Commento che ha un alta probabilità di essere tuo. Se è cosi scusami e se puoi ripostalo.
Luigi Corvaglia(Quota) (Replica)
Luigi,per bigottismo non intendevo quello religioso;forse ho usato un termine improprio,ma intendevo dire piaggeria,conformismo,contraddizione e anche predicare bene ma razzolare male se,alla fine,vedete in me un pericolo per il blog invece di continuare ad attaccare,come da due anni mi sembrava di aver recepito,le nostre comuni antagoniste.Non posso che ripetere che io ho le mie posizioni,che qui ho letto anche di peggio in questi due anni e non mi sono mai scandalizzato-anzi,ho condiviso-così come nessun altro e che l’avviso ai naviganti mi sembra superfluo dato che il gestore del blog può sempre oscurarmi(sennò a che serve l’ “attesa di moderazione”?).Eppoi scusa,ma se quello che scrivo presta il fianco a strumentalizzazioni,se qualcuno si prende la briga di fare ciò,significa che ho dato fastidio.Sempre meglio che essere ignorati.Con ciò chiudo la polemica che mi dispiace di aver causato perchè anche se intervengo poco,vi seguo con molto interesse e condivisione.Ma come ho già detto io mi tengo le mie opinioni,diciamo che sono un cane sciolto(qualcuno di un’arcaica sinistra direbbe un qualunquista)e non è un caso che non mi sono mai iscritto al blog,così come non sono mai stato iscritto a niente.Non è disimpegno,è autonomia.Comunque,senza rancore e un saluto a tutti.
andrea(Quota) (Replica)
andrea,
“basterebbe ricominciare,spudoratamente,pervicacemente e con forza,a chiamare “bottane” tutte le donne che scopano a destra e a manca…”
Andrea, Luigi è stato già molto chiaro. In ogni caso repetita iuvant.
Non si tratta né di curarsi del parere degli altri né tanto meno di “bigottismo” (figuriamoci) ma solo di avere un minimo di senso della politica. I nostri avversari e le nostre avversarie non sono n buona fede, e non aspettano altro che noi si scivoli su una buccia di banana per attaccarci pretestuosamente. Cosa fanno e cosa hanno già ripetutamente fatto? Estrapolano uno stralcio di un commento (di qualcuno che non fa neanche parte del nostro movimento) e lo mandano in giro per la rete per sputtanarci.
Ora dire, come hai detto tu che “basterebbe ricominciare,spudoratamente,pervicacemente e con forza,a chiamare “bottane” tutte le donne che scopano a destra e a manca…” oltre ad essere una boutade, ci espone agli attacchi di cui sopra. Ora, è già molto difficile per noi spiegare le nostre ragioni, perché servirgli le pallottole per spararci su un piatto d’argento?
Guarda che abbiamo capito lo spirito con cui facevi quell’affermazione, e secondo me lo capiscono anche i nostri avversari, ma loro se ne sbattono della tua buona fede, per la semplice ragione che loro non lo sono.
Quindi, un conto è esprimere le nostre opinioni senza sconti e apertamente, e un altro offrire il fianco all’avversario con delle battute gratuite che c arrecano solo danni.
Comunque, l’abbiamo fatta fin troppo lunga. Cosa fatta, capo a. Serva per il prosieguo del dibattito.
Fabrizio Marchi(Quota) (Replica)
romano,
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Sul FQ, a quest’articolo: Pensioni, Boeri: “Quelle degli uomini in media più alte del 41% rispetto a donne”
il mio commento:
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Noto con estremo dispiacere il diffondersi di comunicazioni istituzionali, articoli e quant’altro che affrontano determinate tematiche, quelle di genere, con una leggerezza agghiacciante. Nell’otttica del donne contro uomini o viceversa. Scomparse del tutto le analisi e le motivazioni che portano (sempre che i conti li abbiano fatti bene) a determinati risultati ovvero pensioni maschili maggiori delle pensioni femminili si gioca tutto sullo scontro intergenere.
Che si voglia andare dietro a stantie ideologie alla SeNonOraQuando lo dimostra il ventilato abbassamento dei limiti pensionistici per le donne. Che è una contraddizione in termini rispetto ad una presunta perequazione tra i due sessi. Come faccio a ridurre quel divario se sottraggo anni?
In ogni caso vorrei che qualcuno mi spiegasse questo passaggio del seguente articolo:
http://www.repubblica.it/economia/2013/11/26/news/ocse_pensioni_italia-71978343/?ref=HRER2-1
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A livello armonizzato, la ricchezza pensionistica in Italia, ovvero il valore corrente dei trasferimenti complessivi promessi a un singolo pensionato in base all’attuale sistema, ponderato sulla base delle attese di vita e delle indicizzazioni, ammonta in media a 454mila
dollari per gli uomini (circa 335mila euro al cambio attuale) e a 518mila dollari per le donne (382mila euro), contro 423mila e 483mila Ocse.
Luigi Corvaglia(Quota) (Replica)
Finalmente qualcuno che parla senza paura facendo un analisi attenta della realtà.Comunque sicuramente più verittiera dei dogmi femministi.
Bisogna fare di più e riuscire a farsi ascoltare al di fuori.
Coinvolgere personaggi in una civile manifestazione dove si argomenta e far capire che non si vuole un mondo ostile alle donne ma lavorare insieme,rompendo questa logica fortemente razzista dell’ideologia femminista.Sono sicuro che questo si sarebbe un passo avanti e ne beneficerebbero tutti….sopratutto la famiglia.
Facciamo qualche cosa .
stefano(Quota) (Replica)
Luigi, il tuo commento non fa una piega… comunque, tramite twitter ho segnalato a Boeri questo articolo di Fabrizio Napoleoni: https://www.uominibeta.org/articoli/a-proposito-di-parita-parliamo-di-pensione/
Spero lo legga.
romano(Quota) (Replica)
romano,
Sono pessimista. No, magari l’articolo lo legge. Ma sono arciconvinto che lui queste cose le sappia già.
Però le direttive (d’accordo sarò ultra-dietrologo, ma finora su queste questioni ci ho quasi sempre azzeccato, purtroppo .. ) secondo me sono altre: ridurre il monte-pensioni.
E il discorso “di genere” è un ottimo grimaldello. Troveranno il modo di fregarci, vedrai, e passerà anche per una “misura verso l’equità di genere”. E noi (in senso lato) li applaudiremo pure!
Un pò come il commento del nick antonio_latrippa nell’articolo:
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Immagino la soluzione: si taglieranno del 10% le pensioni dei maschi; il 3 andrà sulle pensioni delle femmine e il 7 all’erario GENIALE !!!
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Basta che poi non ci vengano a dire che il femminismo non è organico a questo sistema. Mai come in questo caso la sua funzione è evidentissima. Comunque spero vivamente di sbagliare.
Luigi Corvaglia(Quota) (Replica)
Boeri sa benissimo quello che dice. Dice, ammesso che quel differenziale del 41% sia vero, solo una parte di verità e tace l’altra. Fatto gravissimo per un tecnocrate e economista che guarda (dovrebbe guardare) alle nude cifre a prescindere da considerazioni di altro tipo, che pertengono alla politica.
le cifre su cui ragionare sono:
a)quanto hanno accantonato mediamente donne e uomini durante la vita lavorativa?
b)la loro pensione è mediamente in linea con gli accantonamenti?
c) i punti che precedono prescindono dalle aspettative di vita, che pure nei calcoli attuariali sono fondamentali. Da qui le cifre riportate sui “trasferimenti promessi”, molto più alti per le donne che per gli uomini perchè le donne vivono più a lungo.
d)Alla fin fine, quindi, chi riceve di più durante la vita post lavoro rispetto a quanto pagato durante quella lavorativa?
Un calcolo attuariale completo e oggettivo dovrebbe comprendere la totalità delle questioni in gioco e dirci se nei primi due punti esistono o no sperequazioni.
Se non esistono, come di fatto risulterebbe perchè nel sistema pensionistico italiano non sono possibili discriminazioni in base al sesso e perchè la pensione è calcolata a prescindere dalle aspettative di vita, ci si dovrebbe allora concentrare sul punto c) e d), e chiedersi se per caso non fosse proprio questa una discriminazione a sfavore dei maschi. I quali si trovano nella situazione di usufruire di redditi post lavorativi complessivamente inferiori a quelli delle femmine. Ancora una volta, cioè, la verità è che i maschi pagano di più per avere di meno.
Da questo punto di vista era attuarialmente più corretto il sistema in vigore nelle assicurazioni private. In queste, se si stipulava una polizza contro il rischio morte, a parità di età gli uomini pagavano un premio superiore per lo stesso capitale assicurato in ragione del fatto che la loro probabilità statistica di morire in corso di contratto era superiore a quella delle donne.
Al contrario, se si stipulava una polizza di rendita vitalizia o pensionistica, a parità di capitale accumulato, questo si traduceva in una rendita superiore per un maschio che per una femmina, in quanto statisticamente il maschio ne avrebbe usufruito per un minor numero di anni. Ho parlato al passato perchè oggi le nuove regole europee hanno imposto la perequazione.
Allora, si possono fare molte valutazioni di tipo politico, si possono fare scelte diverse, si può discutere di tutto ma onestà vuole che lo si faccia a partire dalle cifre reali e le si dichiarino per quello che sono. Fare diversamente, dire mezze verità e gridare alla discriminazione esibendo solo i numeri che si vogliono esibire senza neanche spiegarli , è un’operazione ideologica, di depistaggio interessato, un’operazione di altissima disonestà intellettuale. Vittime inconsapevoli della quale, ancora una volta, sono gli uomini spinti a sentirsi privilegiati, quasi che rubassero qualcosa alle donne, che le deprivassero del loro, quando, semmai, è vero il contrario come dimostrano le cifre sui trasferimenti “promessi”.
armando(Quota) (Replica)
…..
E non penso che aspetteremo nemmeno tanto:
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Sul tema delle pensioni è poi intervenuto anche il ministro dell’Economia Padoan: “L’idea che la flessibilità sia a costo zero è semplicemente inesatta”, ha detto intervenendo alla festa di Scelta Civica. Rispondendo a chi gli chiedeva quale sarebbe stato il peso per le casse dello Stato, Padoan ha risposto: “L’operazione di flessibilità costa, bisogna vedere come viene attribuito questo costo e a chi“.
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Luigi Corvaglia(Quota) (Replica)
Piccolo inciso sulle pensioni. In un libro di storia sul mio territorio si legge un’interessante nota dedicata alle società di mutuo soccorso che fiorirono nel 1800 con la rivoluzione industriale che mi colpì parecchio. Le società erano maschili o miste. Si tentò di istituire delle società di mutuo soccorso solo femminili, ma queste soccombettero presto per mancanza di contribuzione delle aderentii. Il problema non è nuovo, contrariamente alla vulgata che vuole le donne grandi contributrici del benessere e dello sviluppo sociale dimenticate e non ricompensate, già allora si notò come a fronte di una scarsa contribuzione vi era un’incidenza maggiore di sussidi dovuti al puerperio essenzialmente. Non so se riesco a ritrovare il testo, in ogni caso, lo storico non lasciava affatto trapelare una discriminazione, casomai la volontà (già presente nel 1800) di superare e risolvere l’inconveniente “naturale”. Le società di mutuo soccorso femminili difatti vennero assorbite da quelle maschili. Perché solo quelle miste potevano garantire il sussidio femminile, alla faccia delle donne che da sole, senza il peso dell’oppressione maschile, avrebbero potuto fare un mondo migliore.
Rita(Quota) (Replica)
Rita,
E’ lo stesso motivo per il quale l’impegno sindacale e politico è sempre stato molto più maschile che femminile. E invece di ringraziare per le conquiste ottenute dagli uomini anche per le donne, il femminismo parla di discriminazioni, oppressioni, esige quote rosa dappertutto (oops, scusate. Quasi dappertutto….) e via farneticando.
Ma questo si può anche arrivare a capirlo, poverette.
le cose gravi sono invece che a sostenere le stesse tesi siano la generalità delle donne o quasi, ed anche la quasi generalità degli uomini (almeno in pubblico, in privato è il contrario ma ai Don Abbondio la natura non ha fornito la virtù del coraggio)
armando(Quota) (Replica)
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Non capisco se è Cristo o Zarathustra…
Animus(Quota) (Replica)
lo segnalo quì, mi sembra appropriato.
Se teniamo presente che l’articolo appare su un sito cattolico tradizionalista, mi sembra un bel segnale.
D’altra parte certe cose sono ormai così evidenti che non è possibile ignorarle in buona fede. Quote rosa, guerra azzurra, rischi sul lavoro etc. C’è molto di quello che sostengono i movimenti maschili.
http://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=3921
armando(Quota) (Replica)
andrea,
In merito all’articolo di Francesco Toesca, posso dire di aver letto raramente un “condensato”, una sorta di Bignami della Questione Maschile, altrettanto esaustivo: i miei complimenti più sinceri.
Come chiosa a una simile mini-enciclopedia della QM, segnalo la mia modesta riflessione posta in fondo (caratteri blu) a questa pagina: http://violenza-donne.blogspot.it/2012/06/due-millenni-di-violenza-delle-donne-su.html.
In merito al commento di Andrea – commentatore che leggo per la prima volta – trovo che abbia un merito impareggiabile: pone una questione sistematicamente trascurata/ignorata nella QM vista da “Sinistra” (ci siamo capiti…): il controllo quasi egemone sulla riproduzione accordato alla donna tramite la “pillola”. La QM non può essere compresa, alle sue radici, se non ci si sofferma sulle conseguenze esiziali della spoliazione maschile dell’aspirazione – ontologica, ma culturalmente dimenticata – alla progenie, alla stirpe.
Spoliazione che, celebrata come emancipativa della donna, non può che essere regressiva sul piano sociale, perché riporta le sorti dell’umanità alla competizione per la riproduzione (maschioAlpha vs UominiBeta): una logica da branco, lasciata alla selezione femminile.
Ritengo che la sottovalutazione della Famiglia e della Paternità (a favore di un’ottica più centrata sull’individuo e sui suoi bisogni a breve termine, nella QM di “Sinistra”) abbia parecchie “responsabilità culturali” nel determinare la questione dell’OltreUmano monadico, isolato, senza passato né futuro, senza radici né progetti di discendenza, di Genere quasi indeterminato, senza tradizioni identitarie ma piuttosto multiculturale e apolide: il perfetto consumatore compulsivo.
A margine di questo intervento, propongo una riscoperta della posizione jüngheriana, quale opzione salvifica – o almeno di resistenza – dell’Uomo immerso nel contesto sociale, politico, economico, culturale di marca femminil-modernista:
[…] Gli Dèi sono anche qui – questo il motto dell’Anarca. Esso carica l’hic et nunc del Waldgänger di presenze archetipiche atemporali, dalle quali egli trae la linfa vitale della propria (r)esistenza: fulcro fondamentale della sua condotta eversiva è la domanda su come “l’essere umano, affidato soltanto a se stesso, possa resistere allo strapotere sia dello Stato che della società, o degli elementi, servendosi delle loro regole di gioco, senza esser costretto a sottomettersi”. Condizione necessaria di ciò è il mantenimento, secondo la lezione stoica, di una signoria interiore che permetta di mantenere una certa stabilità anche in periodi di decadenza. Solo attraverso essa egli potrà, come d’altra parte fece il Waldgänger [colui che va nel bosco], servirsi della Modernità per trascenderla, rimanendone illeso. Il veleno, allora, diverrà farmaco. La sua apolìtia, lungi dall’essere un atteggiamento passivo, è il trasferimento di una guerra esterna al proprio interno: “l’autodisciplina è l’unica forma di dominio che gli si attagli”.
[…]La sentinella in questione temporeggia, sul proscenio del teatro della storia, per attendere il ritorno di quelle potenze mitiche che abitano ogni tempo, sebbene nel presente risultino perlopiù celate. La condotta dell’Anarca sarà pertanto poco appariscente. Egli cercherà di farsi notare il meno possibile, muovendosi di soppiatto accanto alle spire dei Leviatani e alle tirannie da panem et circenses: “lo stato sarà, in linea generale, soddisfatto di lui: egli si farà notare pochissimo”. Rimanendo in agguato nei domini del potere totalitario, attenderà il proprio kairòs, il momento per agire eversivamente e far definitivamente crollare un potere che già vacilla pericolosamente. Per mischiarsi e confondersi tra le pletore della Modernità, potrà persino partecipare, mantenendo tuttavia un perenne distacco, di modo da poter abbandonare la nave in caso di naufragio. Potrà associarsi, portando tuttavia avanti unicamente la propria causa, senza legarsi eccessivamente a quegli ambiti di cui si è dichiarato acerrimo nemico: “l’Anarca esplica le proprie guerre anche quando marcia allineato nei ranghi con gli altri”.
Claudio Manzari(Quota) (Replica)
http://www.iodonna.it/attualita/famiglie/2015/10/03/come-fare-di-un-figlio-maschio-un-vero-uomo/?cmpid=SF0201R03COR&refresh_ce-cp
e anche questo
http://www.la7.it/otto-e-mezzo/rivedila7 dal titolo molto eloquente “ciao maschio”
Mi viene da fare una considerazione, in Cina le primogenite femmine erano viste come una sciagura ( da quello che ho sentito ) e venivano uccise, in questo caso invece ,sembra che anche nascere di sesso maschile sia una sciagura e allora ,in modo “democratico” si tenta di “aggiustarlo”
mauro recher(Quota) (Replica)
Armando(Quota) (Replica)
Buongiorno,
sono una donna di 46 anni un po’ atipica (principalmente perché ho vissuto in 5 paesi diversi e quindi non ho una visione delle cose solamente attinente alla nostra cultura),
non ho particolari studi formali e mi definisco una casalinga pensante, persa, purtroppo, in un mondo prevalentemente composto da automi che non pensano, bensì fanno il tifo per la squadra di appartenenza.
Sono molto contenta di aver letto questo post. E’ molto ben scritto e descrive una visione dei fatti riguardanti il sessismo che è molto importante, in quanto complementare a quella che ci si propina di solito in questo periodo storico.
E’ importante, secondo me, sia che venga spiegato come si vive nei panni di un uomo la condizione sociale attuale, sia che ciò venga fatto da persone che non sono chiuse nella visione cattolica (non lo dico per criticare, io sono per la libertà religiosa ma ho notato che se tutti i pareri contrari al femminismo classico vengono da lì, non si ottiene un’idea completa del quadro ma solo un angolo di dissenso che si rifà a concetti non universalmente condivisi).
Detto ciò, devo fare un piccolo appunto: in una parte di questo post si dice che il femminismo (e qui alludo a quello che va per la maggiore, anche se non mi dichiaro femminista di nessuna corrente) ha invaso la politica della sinistra (mi scuso se non ricordo i termini esatti, il post è lungo e anzi, sperando di non essere tediosa risponderei in vari commenti a varie parti dello stesso, dopo) e ciò mi fa pensare… perché io, da esterna (non appartenendo a correnti politiche maggioritarie, né a correnti politiche attualmente presenti in Parlamento) ho sempre creduto il contrario, cioè che il femminismo abbia assimilato i difetti della sinistra. Per esempio la mania di far finta di essere sempre all’opposizione anche in periodi o paesi in cui si sta governando, per attirare consenso ed esimersi dalle responsabilità, inventando un nemico anche fosse all’estero, o alludendo agli errori del passato le cui conseguenze sarebbero l’unica causa dei mali di oggi. Infatti in un momento come questo, in cui determinate leggi sono discriminatorie per l’uomo, si continua a dire che l’uomo ha legiferato a proprio favore.
Tolte queste evidenti strategie degne di campagne pubblicitarie commerciali, io ho sempre sostenuto che si debbano correggere degli errori alla base del linguaggio con cui si descrivono i fatti. E quindi, fermo restando che mi trovo d’accordo con ciò che afferma questo post, e che lo trovo necessario come pubblicazione per le ragioni che ho descritto sopra, per dire come la penso devo partire da più in basso.
Principalmente mi trovo a contestare un po’ tutto quel che viene scritto e trasmesso (specialmente dai mass media), perché, seppure a volte volutamente ed altre volte senza volere, si generalizza. Quando si dice ‘uomo’ o ‘donna’ (gli uomini, le donne) si generalizza almeno in due modi:
1) se parliamo di politiche tipo quelle rivolte alla cosiddetta questione femminile, non dobbiamo (secondo me) cadere nel tranello principale che ci pongono i burattinai del mondo, padroni dei mezzi di informazione, che è quello di spaccare in due la popolazione per farsi i loro comodi mentre i cittadini si distraggono litigando tra loro. E nell’argomento femminismo/maschilismo, ammettendo che esistano queste due correnti (che indubbiamente esistono ma poi chiaramente ci sono sfumature infinite se si considera che ogni individuo è diverso), SI DOVREBBE (sempre secondo me) puntualizzare che le leggi ‘a favore della donna’ non sono a favore della donna ma, piuttosto, della corrente che si riconosce come femminista (quindi possono essere contro di me, che non sostengo le loro cause pur essendo donna, e a favore di uomini femministi che spesso mi contrastano aspramente se dico la mia, insieme alle loro compagne di ideologia). E lo stesso vale al rovescio.
Ora mi tocca puntualizzare che non sono nemmeno maschilista, penso a modo mio. Spero di riuscire a sintetizzare. Dicevo delle generalizzazioni, ecco il punto 2): si generalizza anche perché ci si dimentica di mettere all’inizio del discorso un piccolo avviso che dica ‘stiamo parlando della cultura italiana, europea, occidentale, industrializzata, rurale, x o y’. Dato molto importante. Per esempio quando qui parlate di come viene visto l’uomo (un individuo debole che non sopporta una banale influenza mentre la moglie è attiva con malanni più gravi) sia nella società che nella pubblicità, è verissimo, ma non è l’UOMO, che è tendenzialmente così o che viene descritto come tale, è l’uomo della nostra cultura. Nessuno vede così un africano e lui non si vede così. Difatti se vi capita di leggere commenti in inglese su giornali africani online, vedrete che loro descrivono questi come ‘capricci dei bianchi’, e se leggete su siti arabi saranno ‘capricci o debolezze degli occidentali’ e finché la globalizzazione mediatica non avrà raggiunto il suo obiettivo di appiattimento culturale, sarà così diversificato il vissuto delle masse (per non parlare delle differenze tra individuo e individuo).
Stesso discorso per quanto riguarda il peso che sentite nel dover sostenere la famiglia e la partner, questo è un fatto culturale (in altri ambienti può essere completamente rovesciato, sia in ambienti matriarcali che in una coppia in cui lei ha vantaggi in quanto appartenente all’etnia più avvantaggiata dall’economia e dai diritti imperanti in un pianeta che si divide in primo, secondo e terzo mondo, e tale rovesciamento della situazione vi assicuro per esperienza personale che si presenta sia a livello materiale che culturale. E questo comunque è un argomento che meriterebbe un approfondimento in un capitolo a parte, oltre ad essere un perno della mia critica al femminismo perché ho vissuto quello che vive la persona caricata di responsabilità e non invidio l’uomo della nostra cultura). Quindi, per farla breve, se si dice ‘uomo’ o ‘donna’, si da un’informazione non precisa.
E questa è l’unica cosa che aggiungerei al post di cui stiamo parlando. Post che mi è piaciuto e che ho condiviso nelle reti sociali.
Le leggi attuali che discriminano apparentemente il genere maschile, e quelle antiche che discriminavano apparentemente il genere femminile (sul nostro territorio) IN REALTA’ discriminano e discriminavano chi non sostiene (o sosteneva) quella determinata politica, a favore di chi la sostiene, a prescindere dal genere di appartenenza.
Se poi andiamo a vedere chi vuole la parità (concetto comunque non universalmente condivisibile), costui viene discriminato da entrambe le politiche.
Come giustamente si accenna anche qui, se stiamo lottando, per esempio, contro la violenza familiare, è chiaro che veniamo penalizzati sia che essa venga focalizzata come violenza esclusivamente maschilista (famoso calcolo delle donne picchiate da uomini esclusivamente) che come violenza femminista (vedi il caso della paternità) perché si perde il concetto di non-violenza e perché si discriminano un certo numero di vittime. E non si fa un passo avanti per capire le dinamiche di base della violenza. Per comprendere le quali, spesso faccio notare che la donna non è meno violenta ma semplicemente meno criminalizzata per diverse ragioni, prima fra tutte il fatto che chi è più debole di lei, e quindi più facile da aggredire, nella maggior parte dei casi non è considerato un soggetto con dei diritti, si pensi ad esempio agli animali torturati o uccisi per testare cosmetici o confezionare pellicce.
Ecco, ora vi spiego un momento qual è la mia critica personale al femminismo (che porto avanti in un blog di cui non ho inserito il link perché è in spagnolo). La mia critica si basa sul concetto di responsabilità.
Intanto partiamo dal nome: chi sostiene di creare un movimento per l’uguaglianza non lo può chiamare ‘femminismo’, si dovrebbe chiamare ‘ugualitarismo’ o sinonimi vari. Qual è il problema se tale movimento si chiama femminismo: prima di tutto non credo che sia un movimento per la parità, ma tralasciamo questo discorso e sottintendiamo che lo sia, per spiegare comunque in che problema si incorre… il problema principale (che sia occasionato da una strategia studiata a tavolino o che sia provocato da un errore involontario, o entrambe le cose) è il seguente:
io come donna mi sento coinvolta e mi ci sento tirata per i capelli. Risulta (da come si ascoltano le notizie e da ciò che si deduce dal nome in questione del movimento) che ‘la donna’ o ‘le donne’ stanno ragionando in tal modo e chiedono tali riforme. Ragion per cui, se non ragioni in quel modo o non chiederesti esattamente quelle riforme (e cosiddetti ‘diritti della donna’), non sei una donna. O non esisti, o sei evidentemente una sorta di trans (con tutto il rispetto) non a livello fisico ma mentale. O una razza ‘innominabile’, come succede con i criminali (estrapolati dal contesto quando si dice in maniera generale che si sta ‘combattendo il crimine’).
E se vediamo come viene descritta la storia del nostro paese e di altri, si deduce (o almeno chi usa il cervello lo deduce) che tutto il discorso è manipolato. Si dice che ‘la donna ha lottato per il diritto al voto e l’ha ottenuto in tale data’, e questo esclude (cancella letteralmente dalla storia) sia le donne anarchiche che quelle che non volevano il diritto al voto. E se per le prime si può considerare una svista della persona che scrive il capitolo di storia (e pensare che le femministe han criticato chi scriveva la storia precedentemente, per assurdo) dato che si tratta di un esiguo gruppetto (le anarchiche, dico), per le seconde si deve per forza parlare di manipolazione mediatica perché erano la maggioranza. Non vi dico come vengo insultata quando scrivo queste cose, ma non sono opinioni, sono fatti. Le seconde, le donne che non volevano il diritto al voto per la donna, potevano essere sia maschiliste che semplicemente persone che, per ragioni diverse e impossibili da elencare esaustivamente, non chiedessero quel tipo di politica, comprese le indifferenti, le distratte, ecc. Guardatevi le vecchie foto delle suffragette e vedrete di che esiguo gruppetto si trattasse, all’inizio della campagna per il diritto al voto femminile, prima che qualcuno (probabilmente politici interessati a quella frangia di voti) assecondasse il loro movimento e magari pagasse i giornali per diffonderlo come ‘giusto’, come unico percorso verso l’emancipazione (che è una e una sola, secondo quanto ci viene detto).
Se mi legge qualche persona in cattiva fede dirà che sono contraria al voto, ma non è questo che sto dicendo. E, siccome non ho ancora perso la memoria, ricordo anche benissimo che quando ho detto che volevo votare con la mia testa, a 18 anni, mia nonna (non mio nonno) ha minacciato di buttarsi dalla finestra. E ricordo anche le sue motivazioni (riteneva che una famiglia dovesse esprimere un solo voto, e in mancanza della possibilità di far votare un solo membro della famiglia come un tempo, pretendeva che tutti votassimo per un solo partito). Mia nonna, come potrete immaginare, non figura nei libri di storia e nei documentari in TV. Se io non scrivessi queste cose e non le trasmettessi ai miei figli, lei verrebbe cancellata. Non stavo e non sto dalla sua parte, ma mi scoccia lo stesso che venga censurata la sua immagine, che venga assimilata come un numero a quelle che chiedevano l’opposto. Spero di essermi spiegata.
Poi mi oppongo al vittimismo che è tipico del nostro femminismo, del femminismo occidentale (non di quello africano, non di quello arabo, forse nemmeno di altri che non conosco, mi sa che solo da noi ha attecchito questa malattia degenerante) perché mi indigna. Mi offende profondamente il venire descritta come una bambola inerme a cui tutto viene fatto, viene imposto, viene inculcato, viene suggerito, viene proibito. Anche dopo il grande avvicinamento spontaneo della nostra gente al pensiero orientale (concetto di karma, causa ed effetto, o anche senza orientalismi la fisica quantistica, o l’americanissima legge dell’attrazione) che viene considerato da molti come base certa del funzionamento dell’intero universo o della vita in sé… cadiamo completamente fuori dal concetto di responsabilità quando si parla di donne. Allora non puoi dire pubblicamente (nemmeno in casi estremi per iniziare un percorso che ti salverebbe la vita!!! E qui mi riferisco al superare la codipendenza) che ti senti parzialmente responsabile del tuo ‘destino’ e delle avversità che trovi come ostacoli, perché secondo la maggioranza stai avvallando il famigerato concetto di COLPA della donna e lì ci si impantana senza via d’uscita. Diventi una pazza che (secondo loro) giustifica gli aggressori, seppure tu non lo sia e sia invece una persona molto più libera di quanto lo siano le persone che ti stanno accusando.
Perché, ed è un dato di fatto, attraverso l’assunzione di responsabilità si diventa liberi. Si cambia la situazione, attuando dove ci è possibile e non aspettando esclusivamente che altri cambino. Non dipendendo, in effetti, da loro.
Responsabilità è mantenere il proprio potere su se stessi/e attuando in prima persona, allontanando o denunciando le persone aggressive ma soprattutto chiedendosi come poter migliorare la propria situazione in prima persona. E questo non è un percorso riservato ad un genere, è aperto a tutti/e. Così, almeno, io mi sento e così ho portato avanti la mia vita ‘a modo mio’, come dice quella bella canzone, venendo ostacolata spessissimo dalle altre donne e qualche volta da uomini, ma sempre da persone. Persone che chiedono di poter stare sul divano e che tutto lo metta a posto il governo, che dovrebbe obbligarci a diventare felici a suon di multe, come minimo.
Ringrazio e saluto chi sia arrivato a leggere fin qui.
Manuela Garreffa(Quota) (Replica)
Manuela Garreffa: complimenti per le coraggiose e acute considerazioni. Va sempre apprezzato colui-colei che riesce a sganciarsi dalla visione comune, generalmente quella che viene diffusa perchè torna a vantaggio delle elite al potere, per esprimerne un’altra più veritiera e approfondita. E’ ancora assai raro imbattersi nell’analisi di questi fenomeni in maniera non banale e superficiale.
Le femministe occidentali, sottolineo adesso TRANNE ECCEZIONi e poi ritornerò su queste eccezioni, oggi si arrogano il diritto di parlare a nome di tutte le donne perchè questo rende più autorevole, più incisivo il loro messaggio. E’ un escamatage dialettico, certamente scorretto, ma da quelle parti non si va molto per il sottile pur di raggiungere l’obiettivo.
Giustissima la considerazione sul femminismo attuale come risposta ai “bisogni” di poche. Un esempio è la posizione femminista nei confronti del lavoro domestico: alle femministe non interessa garantire migliori condizioni di vita alle casalinghe, per esempio attraverso un sussidio, sia perchè, secondo loro, questo allontanerebbe le donne dal lavoro in competizione con il maschio o per la ricerca del potere, il non detto che emerge, sia perchè non viene concepito come un lavoro dignitoso, questo esplicitamente dichiarato, quindi non da sostenere ma da rifuggire, come tipica espressione del lavoro femminile di epoca “patriarcale”. A loro non interessa che la donna possa scegliere volontariamente di dedicarsi a questa attività, dal momento che esprimono una visione autoritaria della società. Altra battaglia che portano avanti con le medesime giustificazioni è quella contro la prostituzione regolarizzata.
A conti fatti il femminismo occidentale è oggi una fortissima lobby che esprime revanscismo nei confronti dell’uomo, ossia quel genere che fino a ora, secondo la visione femminista, ha prevalso ma che ora dovrà essere sconfitto, nonchè volontà di potenza e autoritarismo, ossia ricerca del potere da occupare in tutti i modi e da utilizzare per la realizzazione di una società “giusta”, dove le donne e gli uomini pensano e operano in un determinato modo, pena il loro isolamento.
Rimane assai minoritario un femminismo “libertario”, le eccezioni a cui facevo sopra riferimento, che sia pure in maniera contraddittoria, pone ancora al centro l’autodeterminazione femminile da sostenere e non da combattere, come nei fatti attua il femminismo “autoritario”, che oggi risulta appunto di gran lunga dominante.
Alessandro(Quota) (Replica)
Grazie Alessandro.
Mi vengono in mente varie cose leggendo il tuo commento, e tutte partono dall’esclamazione ‘Non a caso!’. Come si può credere che una corrente che arriva a certi livelli mediatici o di potere ci arrivi per caso? O perché è ‘giusta’? In un mondo corrotto come il nostro, dovremmo diffidare soprattutto dei movimenti che raggiungono una certa popolarità, a prescindere dal fatto di sentirci rappresentati o meno dagli stessi. Dovremmo chiederci cosa ci sia dietro, a quali compromessi si sia scesi (siano scesi i dirigenti del movimento) per arrivare lì. Ma con la questione femminile è difficilissimo perché un vantaggio assoluto che ha la donna (e che la politica di qualunque genere sa ritorcere contro di lei come cittadina, se lei personalmente non se ne accorge) è quello di ispirare tendenzialmente fiducia in quanto potenziale madre (se il bebè non avesse fiducia e non si abbandonasse tra le sue braccia non sopravviverebbe). Quindi, per esempio, si è sempre usata una giovane donna per ‘convertire’ il popolo che si vuole conquistare (dalla India Catalina alla moderna Malala e compagnia bella) e il femminismo autoritario di cui parli è composto da gente senza scupoli che ha fiutato il business (specialmente nei confronti del cosiddetto terzo mondo, dove ora vanno le femministe occidentali a dettare legge con lo stesso atteggiamento che avevano i preti missionari all’epoca delle conquiste). Dico ‘composto da’ perché se ad alti livelli il disegno può essere chiaro e consapevole, tra le masse al seguito di queste operazioni albergano comunque sentimenti non proprio libertari, sentimenti di superiorità e speranze di poter imporre un sistema.
Manuela Garreffa(Quota) (Replica)
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In effetti sarebbe anche ora che qualcuno aprisse un nuovo gruppo facebook, “movimento maschile anti-cattolico (o anti-cristiano)”, uno, per dimostrare quello che il vecchio momas non ha mai dimostrato (che “la causa maschile” non sia altro che un mezzo per tirare acqua ad “un altro mulino”, quello principale), due, perché, grazie all’analisi svolta in questi anni da “alcuni” in questa direzione, le prove sulla misandria (la misoginia l’ha già fatto il femm.ismo) della Chiesa e della religione cristiana in genere, si sprecano…ce n’è a volontà.
Animus(Quota) (Replica)
Intanto complimenti a Manuela per il suo commento complessivo, del quale voglio sottolineare un concetto importantissimo: quello di responsabilità. In effetti centra un punto focale. La pretesa di gettare ogni colpa sui maschi e di vittimizzare le femmine le rende innocenti e supporta certe rivendicazioni, Ma cià solo in apparenza. In realtà imprime alle donne lo stigma della minorità intelletuale e psichica. Perchè se fosse vero che le donne sono sempre state schiavizzate a causa della sete di dominio e di potere maschili, e se fosse vero che non si sono mai ribellate per debolezza fisica (scemenza!) o per aver introiettato i canoni maschili, vorrebbe dire che le donne sarebbero davvero “inferiori”, il che ovviamente non è. E si badi bene che ancor oggi il femminismo fa leva, per i cambiamenti come le quote rosa, sullo Stato che, dicono, è dominatio dagli uomini. Vuole quindi che il cambiamento prodonne venga dagli odiati maschi, con ciò ammettendo che le donne, da sole, non sarebbero capaci (magari, chessò, iscirvendosi in massa ai partiti, facendo politica in prima persona, diventando candidate per merito e non per quote etc,etc,). Questa è la verità che ci indica una cosa. Tutto il rumor rivendicazionista del femminismo non è spontaneo ma manovrato da poteri forti, perchè fa giuoco per i loro progetti dissolutori di ogni identità e di ogni forma al fine di lasciare ogni terreno sgmbro e liscio per la circolazione sempre più accelerata delle merci.
Poi vorrei fare un invito a Manuela: raccontaci di quei paesi dove i rapporti appaiono rovesciati. Sarebbe di grande interesse capire il perch+ e il come.
Infine un accenno a quanto scrivi a proposito delle diverse percezioni nelle culture diverse dalla nostra, che, correggimi se sbaglio, mi sembrano quelle più legate ai canoni tradizonali. Trovo indicativo che dicano “Sono cose da bianchi” , ossia occidentali o locuzioni simili. Sono frasi che ci raccontano quanto il capitale voglia. esiga, necessiti di distruggere ogni identità, di omologare culturalmente prima anciora che economicamente il mondo intero affinchè si perda ogni percezione di alterità a questo stato di cose,
armando(Quota) (Replica)
Ringrazio Animus e Armando,
e giusto la frase che finisce con
– vorrebbe dire che le donne sarebbero davvero “inferiori” –
riassume benissimo quel che volevo dire.
Inoltre, purtroppo, le nostre ONG nel terzo mondo stanno inculcando questa versione dei ‘fatti’ anche a popolazioni che originariamente avevano un gran rispetto per la donna e il minestrone che ne viene fuori è desolante.
Complimenti a chi gestisce questo blog, non mi sembra neanche vero di poter dialogare così, senza che qualcuno salti fuori con le solite frasi fatte e cominci ad insultare le persone che si sforzano di crearsi un’opinione personale.
Rispondo all’invito che mi fa Armando di raccontare qualcosa delle etnie che ho conosciuto, ma siccome ora non ho molto tempo mi ripropongo di commentare domani a proposito dell’area dei Caraibi, dove ho vissuto dodici anni, e brevemente dire qualcosa sul caso dell’Andalusia, dove son stata 6 anni.
Intanto si possono già leggere due interviste cliccando qui sul mio nome, perché si viene ridiretti nel blog di WordPress dove ho tradotto qualcosa in italiano,
una sulla manipolazione mediatica della questione femminile in Congo (raccontata da un cittadino congolese) ed una sulla cultura matriarcale berbera, che comprende tutto il nord Africa e che ho conosciuto personalmente per un periodo di tempo limitato ma illuminante.
Quest’ultima esperienza mi ha dato molto da pensare, perché continuavo a chiedere a me stessa come mai le nostre correnti femministe menzionassero solo quello cinese di popolo matriarcale (Mosuo) che è molto più difficile da andare a visitare… tralasciando di andare a fare un salto di fronte alle nostre coste, con tre traghetti al giorno disponibili!
E forse la risposta è quella che (penso) viene più logica, tristemente, cioè che sia stato studiato a tavolino il riferimento a un’etnia lontanissima per poter dire ed omettere cose senza venire magari smentite… ma può invece esserci della buona fede in tutto questo,
e allora il quadro è ancora più inquietante (e qui mi riferisco all’animo umano, a prescindere dal genere) in quanto, letteralmente, la maggioranza delle persone non sa vedere sotto il proprio naso. Non è un giudizio espresso dall’alto, il mio, è una constatazione, appunto, che mi inquieta. Ho visto le cose che descrive l’intervista sui berberi (in cui non parlo io, ho cercato una persona disponibile) solo perché, per puro caso, ci sono capitata in mezzo.
Non ho mai fatto turismo, solo mi è capitato di risiedere in diversi posti.
Manuela Garreffa(Quota) (Replica)
Ciao Manuela, mi fa piacere ritrovarti qui, forse ci siamo già incontrate sulla bacheca di un comune amico di Facebook all’epoca del caso Fortezza da Basso, mi fa piacere leggerti e andrò sicuramente a leggere il tuo blog: mi sembra una conferma sul “campo” per così dire, di una teoria già formulata molti anni fa in ambito amo ad dal fondatore del primo Forum sulla Qm (nick Reduan) sull’uso strumentale del femminismo per il controllo demografico. Tutti i segnali ci sarebbero inclusa l’allenamento della stretta misandrica in occidente dove il calo demografico si sta facendo allarmante ( vedi i gruppi cattolici tradizionalisti sempre più organizzati’ e sull’altro fronte le numerose femministe che invertono la marcia o almeno danno segnali in tal senso e la diffusione nei paesi dove invece il livello demografico è’ preoccupante, In fondo, il femminismo percome lo conosco io si è’ rivelato essere il metodo più efficace per la “decrescita dolce” non c’è spargimento di sangue e la sofferenza o i disagi che provoca sono molto più occultabili. Quel che non si riesce a fare sul posto lo si può anche fare (integrando i metodi) con le ondate migratorie per cui le questioni sono in qualche modo legate. Controllando e riuscendo in qualche modo a manipolare i flussi migratori e demografici va da se che si gestisce anche l’andamento economico e il capitale
Rita(Quota) (Replica)
E intanto, in tutti i paesi cattolici….
http://www.clarin.com/tema/femicidio.html
“El duro relato de una chica abusada por su padre: estuvo preso, lo liberaron y la violó otra vez”
http://www.clarin.com/
Eggià, è proprio un mondo capovolto….
Animus(Quota) (Replica)
http://www.listindiario.com/la-republica/2014/11/16/345581/Hay-poca-coordinacion-en-contra-de-violencia-de-genero-en-el-pais
http://www.listindiario.com/la-republica/2015/2/16/356579/Van-ocho-feminicidios-en-2015
Che non salva nemmeno piccole isole sperdute nei caraibi (Rep. Dominicana), che non hanno mai conosciuto né ’68, né femm.inismi, né comunismi, né suffragette, né , né, né….
Ma che coordinazione,e che pervasività!
Occorrerebbe un’entità in grado di “comandare” e far “eseguire” senza , troppi intoppi burocratici ,in tutti i luoghi in cui è presente (e detta legge).
Quale sarà?
http://www.listindiario.com/la-republica/2012/7/21/240556/Fernandez-y-el-Cardenal-deploran-los-feminicidios
Qualche “suggerimento”, Rino, Armando?
Animus(Quota) (Replica)
Chiedo venia. Ho scritto dal fon e non mi sono accorta degli erroria “ambito amo ad” sta per ambito Momas” e “allenamento della stretta misandrica” è da intendersi “allentamento della stretta misandrica”. Mi sembrano gli errori del “contrordine compagni” di guareschiana memoria
Rita(Quota) (Replica)
Animus,
Quell’autorità ci sarà, e sarà una specie di ONU che coinvolgerà tutti, paesi cattolici e di altre religioni nonchè quelli così detti laici. Punto.
armando(Quota) (Replica)
C’è un gioco, o forse è più corretto chiamarla una fantasia, che spesso praticano i ragazzini: quella di chiedersi come sarebbe stata la loro vita in un altro luogo, in un altro tempo. Poi, chissà, forse i ragazzini di oggi hanno una quantità tale di informazioni, interazioni, intrattenimenti reali e virtuali che non indulgono più a certi pensieri, presi come sono dal tecnologicissimo “qui e ora”; ma, almeno fino a qualche tempo fa, capitava.
“In che epoca avresti voluto vivere?”, era la domanda che scoperchiava un barile di possibilità: “al tempo degli Antichi Romani!”, risposta gettonatissima; “quando i pirati solcavano i mari”, assai frequente; “nel Far West con indiani e cow-boy”, “in un castello medievale”, eccetera, eccetera, eccetera.
Risposte da ragazzini, diamine. Risposte che, per vederle prendere forma e rappresentazione, bastava aspettare il periodo di Carnevale, quando zorri e fatine, damine e pellerossa invadevano il corso cittadino.
Quel che avevano in comune, tutte le risposte possibili, era la concomitanza puntuale con l’immaginario infantile, e soprattutto il ruolo da protagonista che, inevitabilmente e giustamente, ogn i bambino si riservava: l’impero romano, certo; ma per farci l’imperatore, mica lo schiavo. Il castello medievale, come no; ma per sedersi sul trono e indossare l’armatura, non certo per spezzarsi la schiena come servo della gleba. E ci mancherebbe altro: che razza di sogni sarebbero, sennò?
Se si volesse ripetere lo stesso gioco in età adulta, sarebbe opportuno mettere qualche regola in più, dettata solo dalle più ovvie leggi della statistica.
Se si potesse scegliere un’esistenza alternativa, quale sarebbe la scelta migliore, assumendo però che non sia possibile scegliere nient’altro che un luogo e un’epoca storica? Che si debba, insomma, nascere a caso, e non in un comodo e nobile ruolo ben definito?
Visto che i ricchi e potenti sono sempre stati davvero pochi, rispetto alle moltitudini di poveri disgraziati, la prudenza suggerirebbe allora di scegliere una società in cui la probabilità di condurre una vita decente come normale individuo è più alta.
E questo riduce davvero molto il campo delle scelte: poi, forti della conoscenza di quanto ogni guerra sia un impietoso coacervo di dolore e crudeltà, sarebbe bene cercare nei meandri della storia un periodo privo di guerre. Ma questa è una scelta quasi impossibile: trovare quei settanta od ottanta anni che delimitano una vita (una vita lunghissima, per quasi tutte le epoche storiche) privi di bellici massacri è davvero un’impresa epica. Basta sfogliare una cronologia, per accorgersene. Per quel che ci è dato sapere, è verosimile che una tale meraviglia si ritrovi solo proprio in questa nostra epoca, in qualche angolo del mondo occidentale. Forse c’è qualche villaggio tropicale sperduto nell’Oceania o in qualche angolo remoto dell’Asia che può vantare altrettanto, ma ne dubitiamo; piccole comunità producono piccole – ma sanguinose – guerre, che i manuali di storia non si peritano di registrare: e a lungo andare, a forza di vivere in capanne e pescare tutto il giorno, anche le spiaggie tropicali perdono di fascino. Per quanto ci è dato sapere, un essere umano medio, durante tutta la storia dell’Uomo, ha la maggior probabilità di felicità proprio in quel periodo che va dalla seconda metà del XX secolo ad oggi. E il luogo? Beh, c’è da scegliere, tutto sommato: il Canada, o la vicina Francia, la calda Spagna, la più ricca Germania. Ma l’Italia è bella, davvero tanto bella: con paesaggi diversi e meravigliosi addensati in un solo Paese, e con tante di quelle ricchezze culturali che persino l’Unesco non fa quasi in tempo a registrarle tutte.
L’Italia di adesso, insomma: forse non per tutti, certo, che i gusti sono belli perché sono diversi… ma c’è davvero un po’ di oggettività nel concludere che il nostro “qui e ora” sia un gran bel candidato al titolo di Migliore dei Mondi Possibili, almeno tra quelli che la Storia ha prodotto fino ad ora.
Senza voler scimmiottare indebitamente Leibniz, che concionò davvero sul miglior mondo possibile; senza dimenticare che, anche se fosse vera la conclusione della fantasia, che “il migliore dei mondi possibili” può comunque restare un mondo brutto, povero, insoddisfacente; e anche se qualsiasi conclusione di ordine generale non serve a consolare neanche nel più piccolo mal di pancia personale, forse non fa male, ogni tanto, ricordarsi di quanto siamo fortunati.
E ricordarsi, soprattutto, di quanti non condividono la nostra stessa sorte: uomini e donne che hanno condotto un’intera vita di sofferenza, per essere nati nel momento sbagliato. O quelli, più vicini, che come noi vivono in questi giorni, ma in posti infinitamente più disgraziati di questo.
>
“Sono là, giusto al di là del mare, o dietro le frontiere. E non hanno meno diritto di noi alla felicità: quel che ci differenzia da loro, in ultima analisi, è solo la fortuna.”
Piero(Quota) (Replica)
Piero,
Non capisco, in tutta onestà, caro Piero, il senso del tuo intervento, e nell’ambito di questo specifico articolo. Si, è vero in questo nostro angolo di mondo stiamo molto meglio di tanti altri in tante altre parti del mondo e soprattutto senza guerra (in Europa) da una settantina di anni (perché, lo ricordo, la storia europea è costellata di guerre, forse più che rispetto ad altri continenti, ma non ha nessun senso star qui col bilancino…). E con questo?
A parte il fatto che bisognerebbe a questo punto aprire una riflessione interminabile sul fatto che la grandissima parte delle guerre nel mondo sono state provocate proprio dalla civilissima Europa e dai suoi derivati, cioè gli USA (siamo da sempre abilissimi a portare o ad esportare la guerra ovunque), mi chiedo ancora che senso vuole avere il tuo intervento.
L’unica cosa che riesco a pensare è che siccome abbiamo il culo di vivere nell’angolo più vivibile del mondo (sempre volendo per ora bypassare la riflessione su quanto del nostro benessere derivi dal malessere di altri…), dovremmo accontentarci e fare buon viso. E’ questa la filosofia?
E perché proprio nell’ambito di questo articolo? Casuale? Boh…In caso ci farai sapere…
Ciò detto, le punte più avanzate del pensiero, critico e non, caro Piero, sono sempre state prodotte nei contesti più avanzati, o comunque in quei contesti che avevano determinate peculiarità storiche, culturali e anche spirituali, ed è del tutto evidente. Ad esempio (ma è solo un esempio) io sono convinto che non sia affatto casuale che la prima rivoluzione socialista sia avvenuta in Russia, e non solo per cause economiche e sociali (anzi, Gramsci ha parlato addirittura di “rivoluzione contro il Capitale”, intendendo quello di Marx, appunto per significare quanto distante fosse quel processo rivoluzionario da quello previsto o concepito da Marx…), ma per ragioni profonde di ordine culturale e spirituale, aggiungo io. Senza (anche) queste ultime non sarebbe stata possibile la rivoluzione, che affonda le sue radici molto più lontano nel tempo (una volta un grande professore di storia mi disse che non si può concepire la rivoluzione russa senza Tolstoj e Dostojewskj, e aveva ragione…).
Siamo nella parte di mondo più “fortunata” (anche e soprattutto, ripeto, alla “sfortuna” degli altri…). E allora? Era così anche nei secoli scorsi se è per questo, anche se sicuramente i pescatori delle isole del Pacifico vivevano molto meglio degli operai inglesi o tedeschi (secondo me vale anche per l’oggi…). E allora?
Continua a sfuggirmi il senso del tuo commento. Dovremmo starci zitti perché siamo più fortunati di altri, magari di quelle masse di immigrati e disgraziati che vediamo in televisione accalcarsi addosso ai fili spinati sulle frontiere con i fagotti e i ragazzini in braccio che cercano di varcare le frontere?
Boh…
Fabrizio Marchi(Quota) (Replica)
Continuo qui la discussione con Armando visto che l’articolo sul “7 novembe” non mi sembra proprio quello adatto (scusandomi ancora con Fabrizio)
Armando
>ma chi trattiene (ho kathekon) trattenga precisamente fino a quando non venga tolto di mezzo (de medio fiat, ek mesou genetai).
Non significa forse proprio la necessità che …la Chiesa … venga tolto di mezzo?
Armando, “santo iddio” … “genetai”, ha a che fare con la generazione, significa più nascere,divenire, non togliere di mezzo (che è il contrario)!
il problema vostro è che basate le vostre “argomentazioni” su traduzioni atte a falsificare il messaggio originale del cristianesimo (per “edulcorarlo” e non mostrarlo per quello che è, un pensiero criminale), allo stesso modo di monogenos nell’inno al logos ->unigenito??, ma quale”figlio unico”!!
C’è da sorprendersi come uno come Cacciari,data la sua fama e visto che non è l’ultimo degli ignoranti, si presti a questo sporco gioco…
Cmq, tutto nel nuovo testamento ruota intorno alla nascita dell’uomo nuovo, quindi certo che anche l’oltreuomo nicciano è inserito all’interno dell’escatologia e del senso del tempo/storia) cristiana.
Cosa che del resto io ho precisato subito…non è mica un mistero per me.
E del resto, se non fosse così, avrebbero davvero ragioni i marxisti a cavarsela con “struttura e sovrastruttura , ignorando completamente (o quasi) il “ruolo guida” degli archetipi/psiche collettiva, nel tracciare il solco, sia materiale, (le creazioni) sia immateriali (l’ideologia/falsa coscienza, o psiche di second’ordine rispetto alla principale) interni alla civiltà e prodotti da questi.
Invece, dato che hanno torto…
Armando
Detto questo, per chi, almeno nelle intenzioni, pensa che il mondo vada cambiato e voglia operare in tal senso, rimane un grande interrogativo. Se non è possibile avere la più pallida idea dei “valori” …. ne discende che non possiamo, anzi non dobbiamo, fare nulla. Solo attendere che il disfacimento si manifesti in tutta la sua intensità. Intendiamoci, non escludo affatto che questo sia ciò che accadrà; molto segnali lo indicano
Non lo so, io che la vivo così, non vi vedo (e non vi sento) nessun problema.
Bisogna prendere atto che le cose stanno così, il fatto che noi non siamo in grado di vedere ancora la terra, ossia non siamo in grado di fornire una soluzione, questo non significa che bisogna negarla, o continuare a raccontare favole, o peggio, rimanere ancorati ad una terra, dicendo che è l’unica possibile, che si sbricciola, giorno dopo giorno, sempre più sotto i piedi.
E’ queto secondo me il danno maggiore che si possa fare.
Poi, non tutti sono in grado di accettare questa verità?
C’è anche chi non ce la fa?
Chi ce la fa (che ha una psiche abbastanza forte) bene, e chi non ce la fa …caxxi sua.
.
Animus(Quota) (Replica)
chi trattiene (ho kathekon) , (sei te..) trattenga precisamente fino a quando (non venga alla luce)
Questo è il senso giusto.
Io non devo trattenere nulla, non ho bisogno di falsificazioni per andare nella direzione giusta. 😉
Concludo con una confessione.
Quando scrivevo sul vecchio blog, ad un certo punto, volevo scrivere qualcosa circa il significato del tempo, no quello fisico, ma quello che regola questa dinamica, che è un tempo che ha a che fare col fatto di poter “onsumare i contrari”: finchè ci sono contrari da consumare, c’è tempo….
Non non l’ho più fatto, in fondo, a parte pochissimi, chi l’avrebbe capito?
Cmq è lo stesso di “ho katheko”.
Almeno su questo, forse, siamo d’accordo
Animus(Quota) (Replica)
http://www.pvnmtt.it/pages/complottisti.html
Il sito uomini beta e’ stato etichettato ufficialmente come sito complottista. Insieme a tutta la categoria dei movimenti maschili
Enrico(Quota) (Replica)
Enrico,
…
Il divertissement è sbarcato anche su Focus (il sito).
Qui la mappa interattiva.
Luigi Corvaglia(Quota) (Replica)
https://aldiladelbenedelmale.wordpress.com/2015/12/23/due-meta-dis-eguali/
Animus(Quota) (Replica)
https://aldiladelbenedelmale.wordpress.com/2016/01/28/il-male-supremo/
Personalmente ritengo che il delitto supremo della cristianità non sia il furto, la spiccata tendenza verso i genocidi, la cupidigia del clero (questà sì indiscutibilmente meritevole di attributi “divini”, infinita e onnipresente), l’intolleranza verso tutto ciò che è diverso, l’odio per i sessi (misoginia e misandria), e dunque per il Figlio (appunto messo in croce “ad usufrutto dell’umanità”), per la famiglia, etc etc etc.
Certo sono mali, ma quando sento i detrattori femarsi a questi mali, rimango ancora disatteso, mi aspetteri di più, quando poi li vedo contrappore, nemmeno fosse una soluzione, “il male alternativo”, qualcosa che è soltanto “diversamente male” (per essere polically correct), o peggio, “il suo naturale proseguimento”, credendo di andare contro la Chiesa, fanno ciò che la Chiesa vuole, (la strategia della Chiesa di “non far fare X”, è quello di fare odiare X a tal punto da scatenare un rifiuto, solo falsamente ritenuto “proprio” – perché la reazione in realtà è già stata pianificata a tavolino e da tempo – per questo nicce li chiamava “gli avvelenatori” e non attribuiva loro “il benché minimo difetto d’intelligenza… in confronto alla genialità sacerdotale, ogni altra genialità può a stento essere presa in considerazione” ) allora mi cascano le palle (per quello che ormai le uso non sarebbe nemmeno così grave)…
Mi spiace soprattutto perché mi danno la conferma, che un certo tipo di pessimismo – “lasciate ogni speranza o voi che ancora credete nell’uomo (o nella donna), nell’ “etero” o nel “gaio”, nella dx o nella sx – è in realtà la forma più estrema che ci sia … di realismo.
Cmq, quale sarebbe questo “male supremo” della cristianità, il “male dei mali” di cui si macchiano i cristiani (tutti)?
Semplicemente la falsa coscienza, manichea, di porre il male cristiano … al di fuori di ciò che è cristiano!
Principio che in effetti, poi non applicano con gli altri..
Animus(Quota) (Replica)
I robot sono lo specchio dello sfruttamento delle donne
http://www.internazionale.it/opinione/laurie-penny/2016/04/26/robot-donne-intelligenza-artificiale
romano(Quota) (Replica)