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Premessa. E’ un articolo tecnico, ma è fondamentale parlare di dati in un periodo pervaso di demagogia e di misandria.
La pensione è quell’istituto che eroga una retribuzione ai lavoratori e lavoratrici che abbiano maturato requisiti di contribuzione e di età. Parliamo ovviamente della forma tipica di pensione, la pensione di vecchiaia, che dal 2012 è lo standard e retribuita secondo il sistema contributivo. Esistono anche altre forme di trattamento previdenziale, minoritarie in termini di persone coinvolte e in termini di esborso economico. L’attore pubblico principale di tale istituto è l’INPS.
Come sappiamo la recente crisi economica ci ha costretto a rivedere tale istituto, e il motivo è semplice; l’esborso annuale per le pensioni nel 2011 è stato di circa 241 miliardi, e quindi la sostenibilità di lungo termine del sistema pensionistico è essenziale, perché ogni inefficienza tra contributi versati e contributi erogati si traduce in enormi disavanzi e quindi in trasferimenti dalle casse del tesoro e quindi in debito pubblico (un’inefficienza del 1% si traduce in 2,4 miliardi di titoli pubblici, e non è un mistero che il crack Greco è fondamentalmente dovuto al sistema delle pensioni con cui i partiti politici hanno comprato consenso elettorale). Di questi 247 miliardi di euro, circa il 56% è fruito dagli uomini e il 44% dalle donne; tale differenza è di fatto piccola se raffrontata con i contributi maschili notevolmente maggiori (in virtù di retribuzioni mediamente maggiori, di un numero maggiore di occupati, e maggiori anni di contribuzione), e questo per il combinato composto di due elementi: la maggiore aspettativa di vita femminile (il 65% delle persone che fruisce di pensione oltre gli 80 anni di età è di sesso femminile) e la possibilità per le donne di andare in pensione prima.
Quando la Fornero ha messo mano a tale riforma avrete sicuramente notato la levata di scudi di “autorevoli” esponenti di sindacati e partiti politici, che hanno tirato fuori la storia che “ il sistema INPS è già in equilibrio”. Parzialmente vero. Il sistema è più o meno in equilibrio perché oggi gli uomini versano molto più di quanto ricevono e viceversa le donne ricevono di più di quanto versano. E non è un problema solo di “parità” ma anche di sostenibilità perché al crescere dell’occupazione femminile (e decrescere di quella maschile…) tale sistema sarebbe crollato nel giro di un decennio. Nessuno lo ha detto perché a nessuno interessa responsabilizzare il genere femminile, quando basta demonizzare e vessare quello maschile. Bisogna dare atto alla Fornero, di aver costruito, tutto sommato, una riforma pensionistica un po’ più equa (non completamente equa ovviamente) e sicuramente più sostenibile della precedente.
Uno sguardo al recente passato. Il sistema pensionistico contributivo di vecchiaia prima della riforma del 2012. Faccio riferimento al privato; per il pubblico valgono ragionamenti simili e anche più paradossali in termini di equità di “genere” e di sostenibilità economica.
Quanto segue può essere fatto da chiunque abbia un po’ di conoscenze attuariali e di statistica; i conti fanno riferimento ad un’ipotesi di entrata “stabile” nel mondo del lavoro a 25 anni e di aspettativa di vita di 84 anni per gli uomini e di 89 per le donne. Ipotizzo uno stipendio uguale per semplicità di raffronto; le valutazioni sono fatte in termini relativi e quindi ipotizzare stipendi differenti non cambierebbe nulla. Per completezza ipotizziamo (ma ipotesi differenti sono invarianti in termini di conclusioni) uno stipendio iniziale di 24,000€ lordi, un tasso di inflazione medio annuo del 2,5%, un tasso di rivalutazione medio dello stipendio del 2,5% e di rivalutazione dello 0,5% della pensione. I valori economici esposti di seguito sono attualizzati, cioè sono i valori a regime rapportati al potere di acquisto di oggi.
Chiamiamo Marta e Matteo i due lavoratori/e “tipo”; per Marta il sistema pensionistico prevedeva la possibilità di andare in pensione a 60 anni con un’aspettativa di vita di 89 anni, mentre per Matteo la possibilità di andare in pensione a 65 anni con un’aspettativa di vita di 84 anni. In altri termini 29 anni di pensione per Marta e 19 anni di pensione per Matteo. Matteo avrebbe goduto della pensione per circa il 23% della propria aspettativa di vita, mentre Marta per il 33% della propria aspettativa di vita.
In termini economici Marta andando in pensione a 60 anni avrebbe contribuito con circa 308,000 € (in soldi di oggi) sarebbe andata in pensione con circa 14,000€ annui e avrebbe ricevuto dall’INPS dal giorno dalla pensione alla morte circa 341,000€; in pratica la pensione di Marta è paragonabile ad un investimento con una resa del’11%. Per Matteo la pensione a 65 anni avrebbe significato una pensione iniziale di circa 19,700€ e quindi ricevere dall’INPS complessivamente circa 344,000€ avendone versati circa 358,000€ (sempre in soldi di oggi); in pratica la pensione di Matteo è un investimento in perdita di circa il 4%.
E’ evidente anche che per Marta andare in pensione prima significa esporsi a maggiore rischio povertà rispetto a Matteo, perché percepisce uno stipendio più basso, e quindi il sistema era rischioso per il genere femminile.
Da ciò dovrebbe essere chiaro che il sistema INPS era in pareggio sostanzialmente perché il genere maschile compensava quello di cui mancava il genere femminile in termini di contributi. In teoria un approccio equo avrebbe potuto essere quello di arrivare ad innalzare l’età pensionabile delle sole donne, che avrebbe permesso di tutelare le donne stesse dal rischio povertà (pensione precoce troppo bassa) ma le avrebbe costrette ad andare in pensione più tardi degli uomini. Una soluzione sensata, ma politicamente scorretta, sarebbe stata quella di garantire a entrambi i generi una durata della pensione rapportata all’aspettativa di vita; in pratica gli uomini in pensione a 65 anni avrebbero goduto della pensione per circa il 22% della propria vita (19 anni di pensione) e adottando tale quota per il “gentil sesso” avrebbe significato portare l’età pensionabile delle donne a 69 anni (20 anni di pensione).
Ovviamente le cose non sono andate così.
Uno sguardo al prossimo futuro. Il sistema pensionistico contributivo di vecchiaia dopo la riforma del 2012. Con la riforma Fornero, uomini e donne vanno in pensione alla stessa età, 66 anni, o meglio gli uomini ci vanno da subito, le donne a partire dal 2018. Ciò significa 18 anni (21% dell’aspettativa di vita) di pensione per gli uomini e 23 anni (26% dell’aspettativa di vita) per le donne. E’ prevista la pensione anticipata; stranamente per le donne il requisito è di almeno 41 anni e 1 mese di contributi mentre per gli uomini, che vivono 5 anni di meno e molti dei quali hanno fatto il servizio militare, il requisito è di 42 anni e 1 mese. Tali requisiti si sposteranno in avanti di ulteriori 4 mesi a partire dal 2014. Il senso di ciò? Nessuno, se non in termini di saldo economico e di una visione del maschio sacrificabile. Tale riforma ha sicuramente il merito della sostenibilità economica ma non ha nessuna accezione di parità. Non c’era nessuna necessità di alzare l’età pensionabile degli uomini, sia in termini di equità per la minore aspettativa di vita, sia in termini economici perché gli uomini già contribuivano per più di quanto percepiscono. E tanto meno ha nessun senso aver anticipato l’innalzamento dell’età pensionabile degli uomini, semmai avrebbe avuto senso accelerare quella femminile. La Fornero si è poi guardata bene dal differenziare i coefficienti di conversione della pensione, che traducono i contributi versati in retribuzione della pensione in considerazione dell’aspettativa di vita (chi ha una pensione privata sa bene che sono differenti tra uomini e donne); una differenziazione avrebbe quantomeno permesso agli uomini di riavere dall’INPS quanto versato in una misura più equa rispetto a quanto ricevuto dalle donne.
E’ molto comodo parlare di parità di genere e poi protrarre, per legge, discriminazioni contro il genere maschile. Questi conti forse non sono alla portata di tutti, ma i politici dovrebbero sapere come stanno le cose e assumersi una responsabilità sociale non discriminatoria. Non mi aspetto dal femminismo nessuno slancio in tal senso, perché è noto il concetto femminista di parità. Mi domando però come si pongano le donne verso un tale sistema così palesemente discriminatorio verso i loro mariti, figli e padri e non si domandino l’equità non solo economica ma esistenziale di tale istituto pensionistico. Fra pochi anni inizieremo a vedere gli esiti di tale sistema e aumentare il conflitto di genere. Si accettano scommesse.
39 Commenti
Bell’articolo Fabrizio. Politicamente scorrettissimo. Bravo.
Luigi Corvaglia(Quota) (Replica)
grazie Luigi, il motivo fondamentale per cui ero entrato in politica era proprio questo…essere scorretto ma giusto….
ciao
Fabriziaccio(Quota) (Replica)
Articolo molto interessante. Il fatto che le donne siano sempre andate in anticipo in pensione rispetto agli uomini veniva motivato dal fatto che esse svolgevano una sorta di doppio lavoro, in casa e fuori. Devo dire che anche io per tanti anni ho ritenuto che fosse giusto pensarla così, nonostante fosse una conclusione molto opinabile, soprattutto da un po’ di tempo a questa parte, da quando i lavori domestici in senso lato sono spesso affidati a donna straniere. Poi, però, quando ho preso atto, attraverso le esternazioni delle varie Zanardo, Fornero, tanto per citare due nomi noti, e femministe varie, che di questa agevolazione non si teneva conto, ma anzi si continuava a recitare furbescamente la parte delle discriminate e delle oppresse, allora ho pensato che occorresse chiedere davvero la parità anche in quest’ambito, mettendo fine alle agevolazioni femminili.
Certo, poi si pone come fondamentale un discorso di natura tecnica, contabile, sulla sostenibilità del sistema pensionistico e sicuramente la Riforma Fornero da questo punto di vista opera dei progressi, sebbene dimenticandosi i casi di migliaia di lavoratori e lavoratrici, “gli esodati”, che ancora oggi non hanno avuto risposte alla loro situazione. Di conseguenza, se la Fornero auspica una maggior libertà di licenziamento anche nel settore pubblico, forse sarebbe il caso, ed è una battuta fino a un certo punto, di iniziare da lei.
Ovviamente una buona riforma delle pensioni sarebbe intervenuta anche sulle pensioni d’oro, alla Dini-Amato per intenderci, ma abitualmente nessuno si dà la zappa sui piedi e così è accaduto anche stavolta.
Alessandro(Quota) (Replica)
Molto bene.
Da qualche parte qui abbiamo parlato a suo tempo delle baby-pensioni, che sarebbero oggi (trascinamento dal passato) 537mila per un costo annuo tot. di 9,1 miliardi.
Si tratta per la quasi totalità di donne, donne delle classi medio alte, ovviamente, che beneficiano del vitalizio mediamente da 20 anni e ciò per i prossimi 30.
Insomma, donne andate in pensione all’età di circa 40 anni (20 anni di lavoro) e che ci restano per 50.
Il costo totale è dunque di circa 450 miliardi.
Depurato di quel (poco) che avevano accantonato, quest’altro regalo dei maschi alle femmine ammonta a non meno di 250 miliardi (10 volte la manovra-Monti).
Per essere più precisi: posto che i maschi delle classi medio-basse sono quelli che reggono il sistema, e muoiono prima, e che le beneficiarie appartengono alle classi alte e medio-alte il panorama è chiaro.
Puoi confermare questi numeri?
RDV
Rino(Quota) (Replica)
Eccellente articolo che mette finalmente la questione pensioni sui piedi, dimostrando che, come sempre, le lamentele femminili non hanno ragione d’essere, almeno sul piano concreto delle cifre e dei dati economici e finanziari. Su quel piano, se c’è una discriminazione è quella verso gli uomini e non verso le donne.
Quanto all’argomento principe delle lamentele, sempre sottolineato quando si affronta l’argomento ed al quale fa riferimento anche Alessandro, c’è una cosa fondamentale da dire.
Ammettiamo senza concedere (dopo mi spiegherò) che le donne facciano il doppio lavoro fuori casa e in casa. Ebbene, in tal caso si tratterebbe comunque di una questione di ordine culturale legate a usi e costumi antichi, ma mai generalizzabile alla totalità degli uomini e delle donne. Si dovrebbe quindi, semmai, agire sul piano culturale, di convincimento a mutare i costumi. Agire invece sul piano legislativo per “compensare” un discrimine culturale ha un doppio effetto negativo. 1) Discrimina immediatamente e pesantemente quegli uomini che invece contribuiscono paritariamente o quasi ai lavori domestici (e sono sempre di più), i quali si troverebbero ad essere svantaggiati senza alcun motivo a loro personalmente attribuibile. Si farebbe cioè far pagare ai “giusti” una colpa degli “ingiusti” (chiaro, spero, l’uso delle virgolette). E’ una cosa inaudita in uno stato che si definisce “di diritto”, fondato sulla non discriminazione per legge in base al sesso, alla razza, etc. Questa conseguenza è una portata ineliminabile delle c.d. “discriminazioni positive”, che tali non sono mai. Quando una legge codifica un trattamento diverso fra sesso e sesso, per qualsiasi motivo lo si faccia, è immediatamente una discriminazione negativa verso l’altro, o meglio verso alcuni suoi esponenti del tutto incolpevoli. E’ un principio liberale semplice e fondamentale di cui si fa continuamente strame. 2) Finisce per consolidare proprio quei comportamenti che si vuole “punire” perchè giudicati discriminatori. Un uomo avrebbe infatti buon gioco a dire a sua moglie: “Ma che vuoi? Campi 5 anni di più, vai 5 anni in pensione prima di me, allora fai tu le faccende domestiche”.
Quindi, anche ammesso che quella dei lavori domestici al 50% sia parità, non è la via legislativa delle discriminazioni “positive”, la strada giusta per ottenerla. Si agisca invece sul piano culturale, se se ne è capaci. E se su questo piano non ci fossero effetti tangibili, ci si dovrebbe chiedere il perchè. Solo per la solita “prepotenza” maschile o perchè esiste qualcosa nella “natura” femminile e maschile che indirizza uomini e donne verso un sentire diverso e verso diversi interessi?
Ma è poi vero che le donne fanno il doppio lavoro in casa e fuori come vuole un luogo comune che fa apparire gli uomini come parassiti che se la godono mentre la moglie sgobba?
– Intanto gli uomini lavorano fuori casa un numero di ore maggiore delle donne, il che 1) riduce immediatamente il supposto gap. 2) Consente anche alle donne di fruire di un maggior reddito familiare. 3) E’ il motivo fondamentale di un’altra supposta discriminazione, quella salariale. Perchè in base alla legge ed ai CCNL non esiste in alcun settore che a parità di qualifica si abbiano salari diversi. Se questo differenziale esiste (ma uno studio della Bocconi che nessuno cita perchè, politicamente scorretto, lo smentisce con chiarezza), non può che essere dovuto al fatto che gli uomini lavorano più ore (disponibilità agli straordinari etc). Eppure si continua a battere la grancassa su questo.
– In secondo luogo tutti i lavori più pesanti e faticosi sono “privilegio” maschile, il che ovviamente riduce l’energia da dedicare alle faccende domestiche. O si pretende forse che la fatica di un muratore sia uguale a quella di una impiegata? Ce lo si dica, e si accomodino le discriminate su ponteggi e impalcature, please.
armando
armando(Quota) (Replica)
Alessandro ,quel doppio lavoro di cui parli ,viene “quantificato” in 2 ore giornaliere come surplus …
Adesso non tutte le donne hanno la straniera che gli fa le faccende ,ma noto ,spesso e volentieri, che sono gli uomini a dare una mano in casa (e giustamente aggiungo io) …quindi ,anche in questo caso si va verso una parità ..ovviamente la cosa varia da caso a caso ,ma posso portare il mio esempio ,mio padre aiuta mia madre ,lo stesso facciamo noi , se ricordate ,tempo addietro abbiamo postato un video di un italia lontana ,oggi quell’ Italia ,è profondamente cambiata …
I miei amici ,chi sposato e chi no ,ma qualcosa in casa la sanno fare ,tutti !!!
mauro recher(Quota) (Replica)
Armando:Perchè in base alla legge ed ai CCNL non esiste in alcun settore che a parità di qualifica si abbiano salari diversi. Se questo differenziale esiste (ma uno studio della Bocconi che nessuno cita perchè, politicamente scorretto, lo smentisce con chiarezza), non può che essere dovuto al fatto che gli uomini lavorano più ore (disponibilità agli straordinari etc). Eppure si continua a battere la grancassa su questo.
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Proprio questi giorni grande risonanza mediatica al fatto che i nostri parlamentari hanno approvato un emendamento IDV che stabilisce per legge parità di salario tra uomini e donne a partire dal 2016. Sul televideo RAI si sottolineava ancora il solito gap del 20%. Ovviamente per chi conosce la realtà dei fatti tutto questo appare surreale, ma il messaggio che arriva all’ignaro fruitore di queste notizie ribadisce la solita tiritera dell’uomo privilegiato e della donna oppressa, e se la bevono in tanti.
Alessandro(Quota) (Replica)
Lavori in casa: alle osservazioni di Armando se ne possono/devono aggiungere altre in grado di scardinare alla radice quel racconto unilaterale vittimistico/crimininalizzatore (maschi=ladri / privilegi F come “parziale compensazione”). Mistificazione che addirittura precede l’avvento del femminismo.
(Giacché se ne lamentavano anche le “povere vittime del patriarcato, relegate in casa” delle aree semicontadine all’inizio degli anni ’60…).
Sul tema mi prudono le mani ma al momento non ho tempo/energie.
Rino(Quota) (Replica)
D’accordo, il link seguente non parla di pensioni, ma sempre di soldi si tratta…..
http://www.repubblica.it/economia/2012/06/04/news/stipendi_donne-36503746/?ref=HRER1-1
Luigi Corvaglia(Quota) (Replica)
Uno legge l’articolo postato e pensa … mah…. vabbè … siamo arrivati al fondo.
E invece no, si può andare ancora più giù:
http://www.ilfattoquotidiano.it/2012/06/05/lavoro-lo-spread-della-discriminazione/252292/
Luigi Corvaglia(Quota) (Replica)
Non so se sotto quel nick (Groucho) si nasconde qualcuno che si occupa attivamente di QM. comunque fa sempre piacere leggerlo.
http://www.ilfattoquotidiano.it/2012/06/05/lavoro-lo-spread-della-discriminazione/252292/#comment-547784376
Luigi Corvaglia(Quota) (Replica)
Strano … stranissimo. Su questo link …
Può darsi che sia tutto un casino del sistema dei commenti, però ….
Dopo un mio primo commento, pubblicato, rispondevo all’utente con nick Lettrice. Bene, anzi male. Non solo a tuttora il mio commento risulta You have 1 unapproved comment, ma è scomparso anche il commento della fantomatica Lettrice.
Cosa ne penso?
Che a meno di imbrogli del sistema di commenti, sotto quel nick si nascondesse la stessa Gandus. E che, non volendo o non potendo replicare, ha cancellato anche il suo di commento. Certo che intervenire in incognito ai propri post non è che sia proprio il massimo.
Non ho pensato di salvare anche il suo di commento, per cui riporto solamente la mia risposta.
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Cara lettrice
Ok, l’operazione di dileggio dei commenti altrui è andata a buon fine.
Ad ogni buon conto ogni post ha i commenti che si merita.
Comunque, me lo spieghi, questo problema della condizione della donna. Me lo riporti, se lo ha già fatto ed a me è sfuggito.
Io non conosco “la condizione della donna” e non conosco “la condizione dell’uomo”. Conosco le condizioni di chi non sta bene, per salute, lavoro o altro. Per quelle posso attivarmi ed anche combattere. Non certo per per ideologismi dati a priori.
Gliela rendo più facile.
Mi troverà tranquillamente dalla parte di chi, realmente, donna o uomo, subisce un torto lavorativo o di altro tipo.
Non mi troverà altrettanto tranquillamente ad avvallare chi corre dietro ai propri steccati ideologici, senza fornire razionali ed oggettivi argomenti.
A proposito, cambiando ma non troppo discorso. Visto che ne la Gandus, ne altri/altre, spiegano operativamente perché solo la maggiore presenza di donne sarebbe benefica per la crescita, ci vuole provare lei?
Vede, ormai sono un po vecchiarello, e alla favole non ci credo da tempo. Occorrerebbe prima individuare un modello di sviluppo, quello che vuole lei, turbo-capitalistico, sostenibile, etc., …ma che garantisca un adeguata impiego di forza lavoro. Allora e solo allora si può pensare di aumentare la quota di chi, in questo caso le donne, sono sotto rappresentate. Altrimenti è solo guerra tra poveri (in soldoni: dove prima bastava uno stipendio, adesso ne occorrono necessariamente due, domani forse di più). E chi la propugna o è stupido/a o in malafede. E non so quale delle due cose sia la peggiore.
Luigi Corvaglia(Quota) (Replica)
Luigi, bisognerebbe cercare di contattarlo (Groucho)…I suoi commenti sono estremamente intelligenti e caustici. Sarebbe un ottimo “acquisto”…(qui siamo tutti “acquistati”… )
Fabrizio Marchi(Quota) (Replica)
Incredibile show della Fornero subito dopo alcune contestazioni a lei rivolte da parte di alcuni operai-artigiani. Parlando poi in non so quale convegno ha attribuito queste contestazioni al fatto che lei è donna, aggiungendo tutta una serie di perle femministe della peggiore specie, tra cui spicca l’affermazione” i maschi adulti sono stati troppo protetti fino a ora”. Immaginiamoci cosa sarebbe accaduto se un ministro uomo avvesse affermato per le “femmine” la stessa cosa: sarebbe stato costretto alle dimissioni immediate, invece nei suoi confronti non una parola di critica si è levata, se non da qualche privato cittadino.
Alessandro(Quota) (Replica)
Verissimo, Alessandro, avevo già letto, semplicemente allucinante.
La ministra, evidente in difficoltà e sotto stress, si difende penosamente con la solita minestrina femministoide (“mi criticano perché sono una donna”).
Desolante. Non aggiungo altro…
Fabrizio Marchi(Quota) (Replica)
quoto sia Fabrizio che Alessandro. Certo che usare il sesso di appartenenza come “appiglio” per “sviare “le critiche ,denota che si hanno poche idee e quelle poche sono confuse …
mauro recher(Quota) (Replica)
http://giulia.globalist.it/Detail_News_Display?ID=31703&typeb=0&Pensioni-agli-uomini-il-65-in-piu-delle-donne
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Pensioni: agli uomini il 65% in più delle donne
Studio Istat e Inps per una analisi di genere su dati del 2010: 8,8 milioni di pensionate, oltre la metà ha più di 70 anni e prende meno di mille euro al mese.
Adriana Terzo
giovedì 2 agosto 2012 09:06
Roma, 2 ago – Donne, anziane e a rischio poverta’. Un esercito di signore emerge dallo studio di Istat e Inps ”Trattamenti pensionistici e beneficiari. Un’analisi di genere” sui dati del 2010: 8,8 milioni di pensionate, 93 ogni 100 donne lavoratrici. Oltre la meta’ ha piu’ di 70 anni e prende meno di mille euro al mese (54,8%). Solo un terzo degli uomini in pensione (34,9%) riceve assegni cosi’ bassi. La situazione e’ opposta se guardiamo ai trattamenti piu’ ricchi, sopra i 3 mila euro, in questo caso gli uomini (597 mila) sono oltre tre volte piu’ delle donne (180 mila). Le donne rappresentano il 53% dei pensionati, ma percepiscono solo il 44% degli oltre 258 miliardi di euro erogati. La loro pensione media non raggiunge gli 8.500 euro l’anno, mentre quella degli uomini supera i 14 mila, il 65,3% in piu’. Se si considera l’insieme dei trattamenti percepiti, tra pensioni di invalidita’, vecchiaia, ai superstiti e altre, il divario diminuisce al 43,6% con 18.435 euro per gli uomini e 12.840 per le donne. In entrambi i casi, pero’, la disuguaglianza continua a crescere e aumenta, tra il 2000 e il 2010, di 5,4 punti per la singola pensione e di 2,3 punti per il reddito pensionistico complessivo.
La distanza tra uomini e donne si fa sentire di piu’ al Nord Italia che al Sud e vede i suoi picchi in Liguria dove il reddito pensionistico degli uomini e’ ”una volta e mezza quello delle donne, del 55,3% piu’ elevato”, secondo l’Istat, nel Lazio (53,8%) e nel Friuli-Venezia Giulia (52,3%). Pesano i diversi profili professionali e i divari nelle retribuzioni. Ancora oggi il tasso di occupazione delle donne e’ inferiore al 50% (47,2%). ”Le donne sono sicuramente le piu’ penalizzate dalla crisi – osserva il segretario generale della Spi-Cgil, Carla Canone – Ma ad essere penalizzate ormai sono tutte le fasce piu’ deboli del paese ovvero i pensionati, i lavoratori che vengono espulsi dal mondo del lavoro e tutti quei giovani che ad oggi non hanno alcuna prospettiva occupazionale. Non e’ solo una questione di genere” ma occorre modificare ”nel profondo” la politica del rigore. Il segretario confederale della Uil, Domenico Proietti, chiede di ”rimuovere l’odioso blocco dell’indicizzazione” e abbassare le tasse. ”Solo in questo modo – spiega – i pensionati potranno recuperare il potere d’acquisto perso in questi anni e contribuire a sostenere la domanda interna e i consumi”.
Luigi Corvaglia(Quota) (Replica)
Soliti numeri sparati per dimostrare una discriminazione che non esiste.
1)Gli uomini hanno pensioni più alte perchè hanno versato di più nelle casse dell’Inps. Di più e più a lungo.
2)Le donne, vivendo di più, continueranno per più tempo a percepire la pensione.
Nessuno scandalo, nessuna discriminazione ne sul punto 1 nè sul 2.
Oppure si dica che qualsiasi siano i versamenti e per qualsiasi tempo vengano fatti, le pensioni devono essere identiche per tutti.
Ovvio che sarebbe irrealistico e per me, fatti salvi livelli minimi accettabili di pensione sociale, anche ingiusto, ma almeno sarebbe una presa di posizione e una richiesta onesta e chiara.
Invece quell’articolo insinua subdolamente che il sistema pensionistico sia discriminatorio verso le donne. Un’altra menzogna, l’ennesima, di una stampa prona e asservita ai dogmi del mainstream.
armando
armando(Quota) (Replica)
Per il nostro thread pensionistico…
A rischio la pensione di invalidità civile per migliaia di donne
Intendiamoci, quanto riportato dall’articolo (i livelli di reddito massimo da individuali diventano coniugali) è una vigliaccata. Un continuare ad accanirsi contro i più deboli ed indifesi.
E figuriamoci se io posso anche lontanamente concepire questo!!
No. La mia obiezione è un altra. Perché presentarlo come una misura che colpisce soprattutto le donne?
La questione è semplice. Se non si è una famiglia il problema non sussiste. Che si tratti di uomini o di donne soli.
La porcata riguarda invece le famiglie. E in questo caso, se mi sbaglio correggetemi, il taglio riguarda per l’appunto il nucleo famigliare.
Ma è mai possibile che si arrivi ad instillare odio di genere anche in queste questioni!!
Ma l’umanità queste/i dove se la sono messa? Sotto i tacchi?
Luigi Corvaglia(Quota) (Replica)
Pensionati, Istat: “Quasi uno su due riceve meno di mille euro, donne svantaggiate”
Luigi Corvaglia(Quota) (Replica)
Le ultime news sull’argomento: Riforma pensioni, il PD: no alla parificazione dell’età tra uomini e donne
……
13-07-2013 – Irene Canziani
Epifani e Carmassi (PD): parificazione dell’età pensionabile è un’ingiustizia, le donne sono discriminate sul lavoro.
No alla parificazione dell’età pensionabile tra uomini e donne: anche Guglielmo Epifani dice la sua sull’argomento, caldissimo, delle pensioni. E lo fa sollevando la questione delle differenze di genere, a suo dire di fatto ignorate dall’ultima riforma del sistema previdenziale.
“Non mi va proprio giù l’innalzamento dell’età pensionabile uguale per uomini e donne” ha affermato il segretario del PD in occasione della conferenza nazionale delle donne Democratiche. Per Epifani si tratta di “un oltraggio alla differenza sostanziale che c’è tra il lavoro femminile e quello maschile“.
Il riferimento, ovviamente, è all’ultima manovra operata dal governo Monti, che ha innalzato i requisiti di età indifferentemente dal sesso: a regime, nel 2018 la soglia dovrebbe salire a 66 anni sia per gli uomini che per le donne.
Un’ingiustizia a cui, ora, va posto rimedio: “Non è vero che non ci siamo battuti per questo – ha affermato Epifani nell’intervento riportato dalle maggiori agenzie di stampa nazionali – e, anche se non ci siamo riusciti allora, io dico che se rimetteremo mano alla flessibilità dell’eta pensionabile servirà una maggiore attenzione alla condizione della donna”.
Una posizione, la sua, ripresa e condivisa apertamente da Cecilia Carmassi, responsabile Politiche sociali e Lavoro della Segreteria nazionale del PD. “Con la scusa dell’uguaglianza si è operata una profonda ingiustizia – afferma la Carmassi in un intervento sul sito ufficiale del partito -. Si è fatto finta di non sapere che le donne sono discriminate in Italia per il carico di cura, per la maternità, che invece di essere una funzione sociale riconosciuta e sostenuta sono stabilmente un fattore di discriminazione, dal ritardo nell’ingresso nel mondo del lavoro, alle interruzioni o sospensioni nella carriera e nella retribuzione, all’abbandono per ‘necessità familiari’ che spesso condanna le donne a retribuzioni e pensioni più basse”.
“Per questo – conclude la Carmassi – le affermazioni di Epifani oggi rappresentano un profondo e diffuso sentire ed un impegno che il Partito Democratico porterà avanti come una priorità”.
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Luigi Corvaglia(Quota) (Replica)
Dopo c’è pure chi si stupisce del fatto che molti abbandonino la sinistra e non votino più. Uno sono io.
Marco(Quota) (Replica)
Da quando, maggiorenne, ho avuto possibilità di esprimere il voto ho sempre votato a sinistra (P.C.I. e via di seguito). Tuttora avrei in tasca la tessera di quel disgraziato partito noto come PD. L’ho ancora per una serie di motivi:
– come ultimo segretario-tesoriere locale dei DS rappresento tutt’ora il tramite legale della locale sezione. Sezione comprata con il sangue ed il sudore di umili contadini, artigiani e muratori dell’allora Partito Comunista. Siccome tutt’ora la situazione è intricata (le sezioni del PD in max parte, non sono di proprietà del PD ma dei DS) preferisco mantenere questo legame per evitare porcate;
– anche se ritiratomi dalla politica attiva, averla potrebbe servire per intervenire, con titolo, nelle tematiche di cui ci occupiamo;
– se poi, magari proprio causa il mio interesse per la QM, sarò ritenuto di troppo voglio che siano loro a cacciarmi. La soddisfazione di togliere il disturbo in silenzio non gliela lascio.
Tuttavia, questo non mi ha impedito alle ultime politiche di restarmene a casa (era la prima volta). E devo dire, in special modo a posteriori, mai decisione (per quanto dolorosa) è stata più azzeccata. E a casa rimarrò fino a che non potrò votare un partito di sinistra vera o quantomeno fino a quando non saranno ristabilite un minimo di garanzie democratiche (vedi Porcellum).
Come dicevo sopra, mi sono sempre pensato ed ho sempre votato a sinistra per un unico e fondamentale motivo.
Credevo nella sua ragione storica: includere e non dividere (almeno come principio), aggregare e non disgregare, per dare forza e potere contrattuale a quelle che una volta si sarebbero chiamate “classi subalterne” inserendo in questa ottica la parte più illuminata delle élite. Vera o no, fanciullesca o stupida, questa era la mia visione. Ed in fondo lo è ancora (sigh ….).
Alla luce di tutte le stronzate di cui sopra, leggere le derive femmi-naziste di Epifani mi ha provocato un attorcigliamento di stomaco e una sensazione di solitudine politica immensa. Se PD, sta per PARTITO DONNISTA (nell’accezione che gli conferisce una nostra non convenzionale amica), che si fotta.
..
ps. Lo so che l’argomento è complesso e andrebbe affrontato in ben altra maniera, non fosse altro per confutare queste tesi divisive e disgreganti. E magari lo farò. Ma adesso questo mi sento di dire.
Luigi Corvaglia(Quota) (Replica)
Siccome sono noto per la mia ineleganza, mi assumo la responsabilita`di scrivere qui quello che altri non possono. Epifani e Carmassi NON possono ignorare quanto piu`DURA sia la condizione dei maschi al lavoro, che in confronto alle donne sputano sangue e muoiono come mosche. QUINDI:
GUGLIELMO EPIFANI
CECILIA CARMASSI
PER IL VOSTRO SESSISTA ODIO VERSO GLI UOMINI
VERGOGNATEVI
SPROFONDATE
E SIATE MALEDETTI
IL SANGUE DEI MORTI SUL LAVORO
RICADA SU DI VOI
VERGOGNA
Pappagallulus iudaicus complottans(Quota) (Replica)
“per Epifani si tratta di “un oltraggio alla differenza sostanziale che c’è tra il lavoro femminile e quello maschile“.
Hai ragione, Epifani. Solo il 3-5% delle femmine crepa sul lavoro come invece capita ai maschi. E proprio TU
Epifani NON puoi NON SAPERE.
CHE TU SIA MALEDETTO
CHE TU SIA MALEDETTO
CHE TU SIA MALEDETTO
E che questa maledizione ti arrivi quanto prima.
VERGOGNA
Pappagallulus iudaicus complottans(Quota) (Replica)
Pensioni in Italia: uomini e donne a confronto
Luigi Corvaglia(Quota) (Replica)
Pensioni in Italia: uomini e donne a confronto.
Le pensioni di anzianità vanno per l’81% ad uomini, con un importo medio mensile di 1.610 euro. Alle donne vanno invece per lo più le pensioni di vecchiaia (63%) con una media mensile di 578 euro e le pensioni ai superstiti (88%) con una media di 589 euro mensili.
Il che, se 2 + 2 fa sempre 4 significa che i versamenti contributivi sono fatti in maggior parte da uomini (pensioni d’anzianità, in maggioranza maschili che poi continuano ad essere erogate alla superstite che non ha versato).
Le pensioni di vecchiaia in molti casi sono “integrate” vale a dire che viene aggiunta la cifra per arrivare alla pensione minima in mancanza dei contributi necessari versati.
Rita(Quota) (Replica)
Rita,
Tutto giusto. Ma a me la cosa che fa più imbufalire è che mentre questa gente disquisisce di equiparazioni le pensioni ce le stanno sfilando da sotto il naso ….
In un futuro manco tanto remoto il cosiddetto assegno pensionistico servirà tuttalpiù a garantirti solamente una vecchiaia di m…a.
Pensassero invece a sollevare dall’indigenza pensionati e pensionate attuali. Quelli/e che rovistano nei bidoni della spazzatura. O quelli/e che vanno alle mense della Caritas.
Luigi Corvaglia(Quota) (Replica)
Luigi Corvaglia,
“In un futuro manco tanto remoto il cosiddetto assegno pensionistico servirà tuttalpiù a garantirti solamente una vecchiaia di m…a”
“Dai diamanti non nasce niente, dal letame nascono i fior…” (de Andre`)
Capisca chi vuol capire…
Pappapiantus(Quota) (Replica)
sì sono d’accordo.. ma visto che qui si adombra una differenza o ingiustizia di “genere” ricorderei pure che nel 2011 è stata varata una norma detta “anti-badanti” per arginare il fenomeno dei matrimoni di convenienze fra giovani badanti pochi anni prima della morte del vegliardo.
Ed infatti dal 1 gennaio 2012, la pensione di reversibilità «è ridotta, nei casi in cui il matrimonio con il dante causa sia stato contratto ad età del medesimo superiori a settanta anni e la differenza di età tra i coniugi sia superiore a venti anni, del 10% in ragione di ogni anno di matrimonio con il dante causa mancante rispetto al numero di 10».
Rita(Quota) (Replica)
1- Rita, grazie dell’info. Mi era sfuggita. Limitare le rapine delle badanti (e non badanti) ai danni dei vecchi, degli eredi e della cassa pensioni, è stata cosa buona e giusta. Ovviamente io avrei fatto di più…
2-Epifani: un’infamia. Leggo oggi in cronaca locale del 32enne morto sotto il trattore.
3-Luigi: resisti nel conservare il lascito degli operai e dei braccianti, traditi a Est e scomparsi ad Ovest? Bene. Che la loro memoria resti viva almeno finché siamo vivi noi.
RDV
Rino DV(Quota) (Replica)
Luigi Corvaglia(Quota) (Replica)
Leggete quà: http://www.camera.it/leg17/126?leg=17&idDocumento=1503
…..
Atto Camera: 1503
Proposta di legge: DI SALVO: “Anticipo dell’età dell’accesso alla pensione di vecchiaia in favore delle lavoratrici madri” (1503)
Luigi Corvaglia(Quota) (Replica)
Pensioni, Ue contro l’Italia per differenze uomo-donna
…….
BRUXELLES – La Commissione europea sta per aprire una procedura d’infrazione contro l’Italia a causa della norma che fissa una differenza tra uomini e donne negli di anni di contributi necessari per ottenere il pensionamento anticipato. Nell’anticipare la notizia, l’ANSA precisa che domani sarà decisa la messa in mora del nostro Paese.
Nel mirino della Commissione sono finite le disposizioni contenute nella legge 214 del 2011 in base alle quali gli anni minimi di contribuzione – validi sia per il settore pubblico che per quello privato – per ottenere la pensione prima di arrivare all’età massima sono stati fissati in 41 e 3 mesi per le donne e 42 e 3 mesi per gli uomini.
Secondo i servizi che fanno capo al commissario Ue alla Giustizia Viviane Reding – titolare del dossier – la norma italiana (che dovrebbe entrare in vigore a partire dal gennaio prossimo) è in contrasto con l’articolo 157 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea che stabilisce la parità di trattamento tra uomini e donne. E va anche al di là dei margini di manovra lasciati ai Paesi dalla direttiva varata dall’Ue nel 2006.
Già in passato, per l’esattezza nel 2010, la Commissione Ue si era mossa contro l’Italia, dopo la sentenza di condanna pronunciata dalla Corte di giustizia Ue, intimando l’equiparazione dell’età pensionabile tra uomini e donne nell’ambito della Pubblica amministrazione. Una questione che venne poi risolta dal governo attraverso la riforma che portò, a partire dal 2012, l’età pensionabile a 65 anni anche per le donne.
Ora, in seguito a una denuncia, l’attenzione della Commissione si è focalizzata sulla differenza esistente riguardo agli anni minimi di contribuzione. La decisione di messa in mora dell’Italia rappresenta il primo passo della procedura d’infrazione e viene seguita, a stretto giro, dall’invio al governo di una lettera in cui vengono dettagliate le contestazioni e chieste delucidazioni entro un ragionevole lasso di tempo (in genere un paio di mesi).
(17 ottobre 2013)
Luigi Corvaglia(Quota) (Replica)
Pensioni, una donna su due non arriva a mille euro
…
Complessivamente sono 23,5 milioni i lavoratori a riposa, ma per 7,1 milioni l’assegno percepito non supera la soglia dei mille euro. Nel 2012, spiega l’Istat, sono stati erogati 271 miliardi di euro: gli uomimi sono meno, ma incassano il 56% delle spesa
Continua …..
Luigi Corvaglia(Quota) (Replica)
sì, ma forse, dico forse eh.. perché non si ripeta la storia del divario di stipendio che dopo anni si sono accorti che contavano i part-time come se fossero tempo pieno, bisognerebbe anche tener conto delle pensioni di reversibilità che, per ovvi motivi, non sono a quota piena, e che sono maggiormente percepite dalle donne.
In poche parole fra queste donne che percepiscono la pensione quante sono quelle che continuano a percepire una parte della pensione che fu del marito? E fra questi uomini che percepiscono di più di pensione quanti ci mantengono anche una moglie senza pensione che percepirà una futura pensione di riversibilità?
Rita(Quota) (Replica)
Pensioni donne: rischio povertà più elevato di quello degli uomini
Tuttavia, la relazione mette in risalto anche il perdurare di situazioni di genere nettamente differenti: infatti, mediamente, nei Pesi dell’Unione europea, le pensioni delle donne sono del 40 per cento più basse rispetto a quelle degli uomini. Nella relazione si fa il punto sulle cause che determinano tali disparità: innanzitutto la retribuzione più bassa spettante alle donne, ma anche il minor numero di anni di attività lavorativa e un’aspettativa di vita più a lungo termine rispetto a quella agli uomini. Di conseguenza, il rischio povertà è più alto per le donne che per gli uomini.
http://it.blastingnews.com/lavoro/2015/10/pensione-anticipata-ultime-7-ottobre-freno-dall-ue-servono-45-anni-di-contributi-00592427.html
9 senzatetto su 10 sono uomini ma, sia chiaro, il rischio povertà è più alto per le donne.
romano(Quota) (Replica)
Ci sono due, e due sole, possibilità
O si determina il livello della pensione in funzione di parametri esterni alla contribuzione e indipendentemente da questa, o se tali parametri contano non ha senso dire che le donne sono discriminate.
Si potrebbe sostenere, semmai, che sono discriminate a monte, nel senso che mediamente arrivano (arrivavano) a livelli di qualifica professionale inferiori. E’ esattamente come per gli stipendi. Ma, come per questi, occorrerebbe partire non dal concetto pregiudiziale che sono discriminate, ma analizzare il perchè del fenomeno. Scopriremmo probabilmente che il part time è funzionale a scelte di vita familiari o che la donna investe sul lavoro meno di un uomo perchè preferisce investire di più in altro. Insomma una serie di motivi che nulla hanno a che fare con la discriminazione. Tutto il resto è pura demagogia. E meno male che questi tuonano contro i populismi.
armando(Quota) (Replica)
http://www.linkiesta.it/it/article/2017/09/08/non-scherziamo-le-donne-devono-andare-in-pensione-prima-degli-uomini/35435/
Monta il piagnisteo mediatico per la pensione anticipata alle SOLE donne.
Sarebbero più stanche degli uomini perché si sarebbero fatte carico del welfare domestico.
L’Italia è uno dei paesi europei con maggior presenza di badanti: quindi gli anziani vengono sbolognati.
L’Italia è il paese europeo con più basso tasso di natalità: si sono esaurite nel crescere 1,3 figli ciascuna.
Gli uomini che conosco passano l’aspirapolvere e si stirano le camicie; accompagnano i figli a scuola e al campo sportivo.
La pensione anticipata spetterebbe anche alle single e alle divorziate senza figli?
Spetterebbe anche alle sposate con figli e con colf e nonni-babysitter?
E per quanto riguarda gli uomini single e divorziati?.. Loro mandano avanti il ménage domestico o hanno tutti la governante?..
E i 65enni vedovi o divorziati, dei nipotini se ne fregano?
E, una volta ottenuto l’anticipo pensionistico, subito dopo scatterà il piagnisteo perché gli assegni INPS più bassi toccano alle donne?..
Claudio Manzari(Quota) (Replica)