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09 Dic 2023  |  0 Commenti

La critica dell’ideologia rosa sdoganata

È da tempo che esiste una dissidenza sotterranea nei confronti della sinistra, una dissidenza causata dalle contraddizioni che questo schieramento presenta da tempo. Il processo di metamorfosi subito a partire dal sessantotto si è concretizzato in una sistematica sostituzione delle tematiche di classe con le tematiche di genere, etnia e minoranza, lasciando dilagare l’ingiustizia di classe che oramai non viene più trattata.

Costanzo Preve direbbe che queste derive sono dovute al grave errore, commesso dalla sinistra, di pensare che capitalismo e sistema valoriale borghese coincidano e che quindi combattendo la borghesia (coi suoi valori tradizionali e bacchettoni) si combatta il capitalismo. Ma potremmo benissimo pensare che, seppur i militanti di trincea partitica siano realmente aderenti all’ideologia (diventando così portatori di falsa coscienza), al livello di classe dirigente questa “confusione” sia voluta e non partecipata, perché da quando la critica dei valori borghesi è stata accolta dal sistema capitalista (a chi si oppone a questa affermazione dico di andare a vedere come si comportano le più grosse multinazionali nel mese dell’orgoglio LGBT) il sistema stesso è riuscito a inglobare la sinistra e i suoi simboli: tenendo dentro la critica alla borghesia nata e portata avanti dai figli della borghesia stessa, ma lasciando fuori la critica al sistema capitalista e liberale portata avanti dalla classe popolare politicizzata e collettivizzata.

Oggi, a sessant’anni dall’inizio di questa metamorfosi, la sinistra ha preso sembianze abominevoli e mostruose. Le classi popolari non la riconoscono più: consegnate ad una estrema destra becera e comica (ma in qualche misura più efficace) si limitano a non partecipare, mentre dall’altra parte individui provenienti in grande prevalenza dai ceti medio alti si apprestano a interrompere le loro frenetiche vite consumistiche per partecipare a grandi rituali ipermoralistici: parlo di eventi come i grandi raduni delle sardine, il Gay Pride o il 25 novembre.

Sia chiaro, qui non si vuole criticare l’antifascismo, il diritto alla libera espressione sessuale o i diritti delle donne: ma le manifestazioni sopracitate non hanno niente a che fare con i valori dei quali esse stesse si fanno portavoce: e di questa cosa sembra accorgersene sempre più gente. Non a caso possiamo parlare, in occasione del vespaio delirante avvenuto tra la morte di Giulia Cecchettin e il 25 novembre, di una controreazione da parte di una piccola minoranza di intellettuali e opinionisti. Certo, chi è assiduo agli ambienti di critica al sistema non rimarrà sorpreso dai contenuti critici espressi in occasione di questa reazione, ma quando parlo di intellettuali e opinionisti intendo figure che agiscono a un livello di visibilità e risonanza mediatica al quale queste tematiche non avevano avuto accesso mai prima d’ora.

Ha fatto clamore (e ci mancherebbe altro) lo scambio (per non dire scontro) tra Massimo Cacciari e Lilli Gruber andato in onda lo scorso 24 novembre: il noto filosofo ha affermato che la società patriarcale (alla quale si imputa la responsabilità per la morte di Giulia) sarebbe un modello ormai largamente superato, rifiutando così la narrazione dominante e destando non poca sorpresa nella conduttrice e nota portavoce del pensiero femminista. In realtà Cacciari ha fatto di più ed ha lanciato una vera e propria frecciata al movimento femminista in occasione di uno scambio con Michele Santoro:  scambio nel quale ha sostenuto che imputare la responsabilità della morte di Giulia alla società patriarcale sarebbe una posizione reazionaria, perché pensare ciò significa vivere nel passato. Le parole del noto filosofo sono potenti, originali e accusano, tra le righe, il femminismo stesso di essere un fenomeno reazionario: posizioni così radicalmente critiche sono a tutti gli effetti una novità per il mondo occidentale.

Anche Luciano Canfora ha espresso posizioni molto simili in occasione della lectio inaugurale di Più libri più liberi: il famoso filologo ha affermato che il termine  “patriarcato non è chiaro cosa voglia dire quando si adopera nella polemica politica, perché non è un fenomeno attuale”. E quando gli è stato chiesto di che cosa dovremmo parlare per raccontare la violenza sulle donne, il noto intellettuale ha risposto con cause estranee all’analisi femminista, come la decadenza del sistema scolastico o la violenza diffusa attraverso gli schermi.

Un’altra voce fuori dagli schemi è poi stata quella di Anna Bernardini De Pace, avvocato specializzato in separazioni che nella puntata del 26 novembre di Zona Bianca ha mantenuto una posizione di opposizione alla teoria del patriarcato, sostenendo che il numero di donne uccise dagli ex partner non consente di attribuire la colpa del fenomeno a una intera cultura alla quale parteciperebbero trenta milioni di uomini italiani. Il noto avvocato ha esteso la propria posizione critica anche oltre,  biasimando la manifestazione del 25 novembre, sostenendo che sia sbagliato opporsi agli uomini in quel modo e affrontando anche l’argomento della violenza (specialmente di tipo psicologico) esercitata dalle donne. Anche quì la dottoressa Bernardini De Pace ha espresso idee alquanto insolite da sbandierare su una rete nazionale.

Sulla scia di queste tre posizioni eterodosse (perché qualsiasi critica nei confronti delle posizioni femministe è eterodossia in occidente) si colloca anche il dialogo tra lo psichiatra e sociologo Paolo Crepet e la giornalista Monica Ricci Sargentini avvenuto nella nota trasmissione “Stasera Italia” che va in onda su Rete 4. Anche in questa occasione una netta contrapposizione all’idea di cultura patriarcale e totalitaria della violenza maschile è stata sostenuta con risposte non poco ironiche, visto che il noto psicologo è arrivato a chiedere se non si debba incolpare pure Sinner (famoso tennista) per il male subito dalle donne, o ad affermare che in tal caso anche la sua interlocutrice doveva chiedere scusa in nome del male esercitato dalle kapò naziste.

Ricalcando la nota metafora hegeliana sulla nottola di Minerva che dovrebbe fungere da modello per la filosofia, non tenteremo di predire nessun futuro, ma solo di riflettere a fatti avvenuti. E se i fatti ci dicono che per la prima volta è stata data risonanza nazionale a delle voci contrapposte al pensiero femminista, allora, anche non sapendo quanto reggerà questo apparato ideologico politicamente corretto (con la sua parossistica misandria di massa), possiamo dire che un polo di dissidenza e contrasto è emerso dal sottosuolo e che questo rappresenta, se confrontato con il nostro passato recente, una parabola fino ad oggi ascendente della critica al femminismo.


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