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20 Nov 2023  |  0 Commenti

Femminicidio. Contro la narrazione dominante

 

Ci sono uomini che uccidono donne? Si. Ci sono donne che uccidono uomini? Si. Ma se il valore quantitativo di questi delitti è relativo, non lo è il suo valore qualitativo e soprattutto non lo è il valore mediatico e simbolico che gli viene attribuito. Ci sarebbe da capire e da indagare sul perché e sulle motivazioni di questi delitti, sul loro lato qualitativo, sullo scandalo della morte che evidentemente permea la coscienza e i sentimenti di una umanità che sperimenta invece quotidianamente la desacralizzazione della vita, in cui la morte viene giustificata nelle infinite guerre umanitarie e di civiltà, o assunta come fredda necessità e inevitabile destino del lavoro, tributo indispensabile alla macchina produttiva e al nostro benessere. Lo scandalo della morte si ripresenta sotto le vesti di una sua forma particolare: l’omicidio di una donna per mano di un uomo, catalogato con un termine , “femminicidio” , che sta ad indicare la volontà omicida di un genere, quello maschile, su quello femminile. Cioè l’uomo, in quanto sessualmente connotato, sarebbe posseduto da una potenziale violenza omicida verso la donna, in quanto femmina. Ora,sicuramente il genere homo, maschile e femminile, è una specie in natura capace di violenza, fa parte della sua componente animale “naturale”, che diventa tale quandi si sente minacciata e aggredita o quando deve procurarsi il cibo per la sua sopravvivenza. Ma l’uomo per questo scopo si è servito della “tecnica” artificiale per potenziarla e svilupparla e di una “cultura” per regolarla e controllarla . Senza questa componente di violenza e della sua capacità di controllo, non si sarebbe sviluppata nessuna civiltà umana. Per questo siamo una civiltà in bilico, capace di evolversi verso vette inimmaginabili o di autodistruggersi in un olocausto nucleare.
Se l’uomo è un essere capace di dare la morte, perché lo scandalo si concentra su alcune decine di donne ammazzate in un anno? Perché, penso, la donna, è sempre stata considerata in tutte le culture della storia umana, compresa quella cosiddetta patriarcale, come “sacra”, madre generatrice di vita e quindi un bene prezioso da proteggere e tutelare. Tutte le specie viventi proteggono le femmine con un istinto naturale, non mediato dalla cultura e dall’arbitrio della volontà. Anche l’uomo ha sempre protetto le sue donne, come madre dei suoi figli. Le donne anche nelle guerre erano un bottino e al contrario degli uomini, avevano un valore da tutelare dalla morte inutile, buone per servire nella schiavitù domestica o nella riproduzione della specie. Quindi non esiste alcuna predisposizione omicida insita nella natura del maschio verso la femmina. È un falso etologico e antropologico-filosofico.
La società e la comunità umana non potrebbero esistere e convivere con questo presupposto. A cosa assistiamo invece nella nostra società mondanizzata e secolarizzata? Assistiamo soprattutto alla distruzione del sacro, alla scomparsa del valore della vita, dei vincoli sociali e comunitari, alla mercificazione libertina dei corpi, al compiacimento narcisistico di un ipersoggettivsmo competitivo privo di valori e
piegato in un nichilismo interiore e autodistruttivo, in cui viene estirpato l’istinto alla solidarietà umana e la prospettiva di un destino di un futuro comune .
Se non c’è un destino comune per le donne e gli uomini per l’istinto omicida di quest’ultimi, cosa resta da salvare ? Cosa ci salva come specie da una prospettiva e da un destino nichilista? Niente ci salverà se non riflettiamo su questa contraddizione e se non rigettiamo il paradigma del “femminicidio” come nuova religione dell’olocausto, il paradigma della nazificazione del genere maschile, additato come carnefice e oppressore delle donne, e quello della mostrificazione del maschile. Quale donna si sentirebbe sicura accanto ad un uomo potenziale carnefice?
L’ideologia alla base del femminicidio è una ideologia antiumana, che risacralizza il corpo della donna vittimizzata mentre la riduce a “cosa “, la sessualizza come “specie” separata dal suo lato maschile, e mina alle radici la riproduzione della comunità umana.
Da una parte celebra la trasgressione e l’esibizione pornografica dei corpi, dall’altra li sacralizza dall’occhio, dall’apprezzamento, dallo sguardo e dal contatto anche occasionale del maschile, in quanto gesti derubricati come potenzialmente molesti, da correggere in campi di rieducazione.
La campagna ossessiva contro le molestie , vere o presunte, ha uno scopo: l’uomo non deve pensarsi ” maschio “, deve pensarsi desessualizzato, privato del suo genere “genocida”, assumere una identità “”fluida” , reprimere il maschile da cacciare nel ” lato oscuro” del Sè. Il maschile come dimensione della natura umana viene così cacciato nel buio dell’inconscio, respinto come forma di relazione sociale e sentimentale, mostrificato, che può però riemergere dal malessere come violenza incontrollata.
Ma quel mostro è la nostra umanità repressa, che reclama il riconoscimento .
Il vero mostro è ” l’uomo innaturale ” che stiamo allevando, devirilizzato e desessualizzato, oggetto artificiale di un mondo transumano senza comunità, popolato di “bravi ragazzi” di giorno , con un lato oscuro che emerge con violenza nella notte della coscienza .
Le vittime e i destinatari di questa perversa ideologia sono le giovani generazioni, uomini e donne, le generazioni dei senza padri ( altro che patriarcato! ), cresciuti nel mito di una libertà senza limiti e senza regole etiche e sociali, in cui tutto è consentito purché lo si desideri, che respingono e trovano innaturale ogni foma di autorità, solitari individui senza ancoraggi comunitari, in cui il sesso è la mercificazione e la desacralizzazione del proprio corpo, e l’amore non è concepito
come collante e come libera e naturale espressione della nostra umanità. Amore non più nutrito da una educazione sentimentale che ha formato intere generazioni tramite la grande poesia d’amore: di Catullo per Lesbia, di Dante per Beatrice, di Petrarca per Laura, di Leopardi per Silvia, oppure tramite i grandi romanzi d’amore dell’Ottocento. Roba del passato, si dirà. Ma il passato, la cultura fanno la storia dell’umanità, della sua civilizzazione. E la storia dell’umanità non ci parla di guerra tra i sessi, come un certo femminismo neoliberale vorrebbe raccontarci, ma di lotta per l’emancipazione e l’elevazione dell’umano da una condizione di sottomissione e di sfruttamento, che ha visto protagonisti uomini e donne contro altri uomini e altre donne, uniti oggi per affermare la nostra umanità contro la deriva nichilista e transumana neoliberale e di un cattivo femminismo che vorrebbe catalogare l’amore come subdolo sentimento, come trappola per sottomettere la donna all’uomo e perpetuarne la dipendenza. In questa visione distopica non c’è liberazione della donna fondata nell’amore con l’altro, ma perpetuazione di una fredda solitudine. Ma un socialismo possibile come nuova tappa della civiltà umana, non può fare a meno della solidarietà tra uomini e donne, anche rivalutando il sentimento dell’amore che si vorrebbe sradicare.

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