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29 Nov 2009  |  3 Commenti

Il movimento

Chaplin

Viviamo in una società formalmente ispirata a principi democratici e liberali ma sostanzialmente dominata dalla razionalità strumentale ed utilitaristica e dal dominio assoluto del mercato e della sua ideologia.

La peculiare caratteristica di questa moderna forma di dominio è la sua altissima capacità di condizionare e controllare l’esistenza dei suoi membri a qualsiasi livello, sia nella sfera pubblica che soprattutto in quella privata. In pratica non esiste un solo anfratto della vita umana che sia sottratto al suo controllo, né potrebbe essere altrimenti.

Infatti è la natura stessa di questo genere di dominio, la sua peculiarità e la sua complessità che rendono necessaria questa modalità di controllo così estesa e totale della vita degli individui, soprattutto del loro foro interiore e dei loro aspetti psicologici più profondi.

Questa forma di controllo così sofisticata e altamente pervasiva è la caratteristica delle forme moderne di dominio. Infatti le tirannie e i sistemi dispotici e totalitari della storia passata e recente non avevano la necessità assoluta di controllare ogni angolo, anche il più profondo e remoto, della vita degli individui. E questo perchè il contratto sociale, cioè la relazione fra il sovrano e i suoi sudditi, era in ultima istanza fondata sui rapporti di forza, cioè sul tasso di terrore che il primo era in grado di esercitare sui secondi al fine di ottenere la loro obbedienza e il rispetto delle leggi e dell’ordine costituito.

Ma queste forme di organizzazione sociale e politica sono assolutamente inadeguate a governare e a gestire società complesse come quelle capitalistiche occidentali (e non solo occidentali ormai…) contemporanee le quali, per sopravvivere e autoalimentarsi, hanno bisogno di meccanismi sociali, culturali e psicologici estremamente più complessi del semplice esercizio della forza che strutturalmente non può essere sufficiente a promuovere e mobilitare forze e risorse produttive, sia in termini quantitativi che soprattutto qualitativi, necessarie ad alimentare l’intero sistema.

Tali meccanismi non possono quindi poggiare le loro fondamenta tanto sulla coercizione quanto sull’utilizzo puntuale e sapientemente centellinato di ciò che usiamo definire col termine di incentivo che diventa, nell’attuale contesto, lo strumento determinante per la sopravvivenza del sistema stesso. Naturalmente, in questa situazione testè descritta, la più potente e principale forma di incentivo è data dalla possibilità di arricchirsi o dalla speranza di poterlo fare. Arricchirsi diventa tanto più fondamentale soprattutto in una società dove tutto è stato mercificato, in primis la sfera sessuale e affettiva che, in una società che ha superato l’era del pane, diventa uno dei primi e più importanti bisogni da soddisfare. Ma soddisfare questo bisogno, in un contesto sociale siffatto, significa piegarsi o comunque adeguarsi alle leggi del mercato e ai suoi dettami ideologici, pena l’esclusione dal consumo del bene (la sessualità, in questo caso) o l’emarginazione dal contesto sociale; cosa questa che comporta automaticamente l’esclusione dal consumo del “bene” stesso.

Da ciò si evince che la sessualità, questa grande, potente e meravigliosa forza della natura, che in quanto tale dovrebbe essere messa nelle condizioni di esprimersi liberamente e pienamente, è stata ridotta dal sistema capitalistico attuale a due concetti fondamentali: merce e consumo.

Naturalmente non è certo da ora che la sessualità è stata ingabbiata in logiche che con questa non hanno nulla a che vedere. Nei secoli e nei millenni che abbiamo alle spalle essa è stata pesantemente condizionata dalle religioni organizzate e dalle loro istituzioni nonché da una montagna di precetti e pseudo costruzioni moralistiche che avevano come unico obiettivo quello di disinnescare la potenza dirompente contenuta in quell’energia che la sessualità, se non fosse compressa da vincoli e catene di ogni sorta, sarebbe in grado di liberare.

Tuttavia questo sistema di condizionamenti a sfondo religioso-moralistico (di cui comunque non ho nessuna nostalgia), anche se ancora in grado di esercitare un peso sulla vita degli individui, appare oggi notevolmente indebolito. Un indebolimento non casuale ma dovuto al trionfo della razionalità strumentale e utilitaristica che ha travolto anche quel sistema fino a sostituirlo con quello dell’ideologia della mercificazione totale dei corpi e delle anime degli individui.

Tutto ciò non è avvenuto casualmente. E’ stato un processo estremamente complesso e sofisticato che ha avuto bisogno, per poter essere messo in atto, di nuovi attori sociali e di nuove alleanze fra le parti in causa.

Ed è qui che entra in ballo il ruolo del femminismo, quel movimento che era nato e si era sviluppato una cinquantina di anni fa e che si proponeva, nelle sue migliori intenzioni, la trasformazione radicale dello stato delle cose attraverso la liberazione delle donne e che invece, una volta declinato secondo i dettami ideologici dell’ordine sociale dominante, ha finito per diventare uno degli strumenti privilegiati proprio di quel sistema che avrebbe dovuto combattere.

D’altronde non è certo la prima volta che nella storia accadono fenomeni simili. Tante rivoluzioni sono purtroppo fallite e/o degenerate sull’onda dello stesso perverso meccanismo.

Le donne, che sembrava dovessero rappresentare il soggetto di una trasformazione sociale e culturale epocale, hanno finito col diventare, nella loro grande maggioranza, uno strumento attivo e, purtroppo, spesso consapevole del sistema, facendo proprie le logiche strumentali di cui è portatore e ricavandosi uno spazio di potere al suo interno.

Hanno scelto cioè di venire a patti con il sistema stesso e di diventarne parte integrante, anche se, ovviamente, con differenti ruoli e livelli di responsabilità. Hanno scelto altresì di essere ridotte ma in larga parte di autoridursi a merce, non solo dal punto di vista pratico ma soprattutto da quello psicologico, cioè del loro modo di essere, di vivere e di concepirsi all’interno della relazione con l’altro genere. Questa scelta è stata profumatamente pagata dal sistema dominante che ha avuto e ha un grande bisogno di loro. Le donne insomma sono state promosse, hanno acquistato uno spazio notevolissimo all’interno della complessa struttura gerarchica della piramide sociale senza però metterne in discussione le fondamenta che anzi, oggi, grazie al loro contributo, sono ancora più solide rispetto al passato. Ma perché la scelta di promuovere le donne? Perché è stato attribuito loro un ruolo così importante? Per un motivo molto semplice.  Perché la sessualità femminile costituisce da sempre un fattore straordinariamente potente di incentivazione per gli uomini; una spinta nei confronti della quale, specie per gli uomini in giovane età, è praticamente impossibile opporre resistenza. Attribuendogli un valore di mercato e un valore d’uso e di scambio e rendendola conseguentemente accessibile solamente a coloro che sono in grado di esserne fruitori, viene così a costituire uno strumento formidabile e ineguagliabile al fine di alimentare il sistema stesso non solo dal punto di vista economico ma anche da quello culturale e psicologico; tutti aspetti intimamente connessi e non separabili nei moderni sistemi sociali.

Le donne si sono di fatto prestate a questa operazione, anche se con differenti livelli di consapevolezza. La gran parte di loro rimane subalterna alle elite dei cosiddetti maschi dominanti (che denominerò col termine di maschi alpha) che sono al vertice della catena di comando insieme alle nuove elite femminili, ma hanno acquistato, o meglio, è stato loro conferito, un ruolo dominante sul resto della popolazione maschile (che denominerò col termine di maschi beta) che si trova a sua volta in una posizione di subalternità e subordinazione non solo nei confronti delle elite dominanti, maschili e femminili, ma anche nei confronti della grande maggioranza delle donne che sono forti del peso specifico rappresentato dalla loro sessualità e dal valore di mercato a questa attribuito.

Il paradosso a questo punto, ammesso e non concesso che le premesse del movimento femminista fossero autentiche (e per molto tempo ho avuto la certezza che lo fossero, oggi non ne sono più così sicuro) e che la sua interpretazione della storia sia infallibile, è dunque questo. E cioè che le donne (eccezion fatta per le elite femminili dominanti) rimangono subalterne a quegli uomini, i maschi alpha dominanti, (cioè coloro che hanno un ruolo dirigente nella società e comunque, nei più disparati settori, sono uomini di potere e/o di successo) che le hanno da sempre tenute in una posizione di subordinazione, ma abbattono la scure della loro “vendetta” storica sugli uomini “normali” (cioè i maschi beta non dominanti), coloro la cui colpa e la cui sfortuna è unicamente quella di essere nati uomini nel momento sbagliato, cioè in una fase storica nella quale, se non si appartiene alla elite dei maschi alpha dominanti, si è considerati meno di zero.

Questi ultimi, e non altri/e, sono oggi il gruppo sociale e di genere che si trova a vivere in una condizione di totale subalternità nei confronti degli altri gruppi sociali e delle vecchie e nuove classi dominanti maschili e femminili. Completamente privi di ogni potere di contrattazione, senza alcun peso specifico, a differenza della grande maggioranza delle donne, da mettere sulla bilancia, disarmati dal punto di vista culturale e psicologico, colpevolizzati da decenni di pseudocultura  femminista che li ha criminalizzati, costantemente sottoposti ad un pestaggio morale portato avanti da una campagna mediatica senza precedenti, gli uomini beta costituiscono la massa di manovra destinata a sostenere e ad alimentare questo complesso sistema di sfruttamento e oppressione sociale. L’ultimo ma necessario anello della catena. Il nuovo proletariato della società del mercato totale e totalizzante.

E’ quindi necessario liberarsi da questa condizione di alienazione.

A tal fine, è necessario lavorare affinchè essi prendano coscienza della loro condizione di subalternità. Coscienza che oggi non hanno.

Nel corso di questi ultimi decenni gli uomini “beta” sono stati martellati senza sosta dal punto di vista psicologico e culturale, le loro identità di uomini sono state distrutte con una raffinatissima tecnica di manipolazione psicologica e mediatica fino a farli addirittura sentire colpevoli di essere nati uomini.

Calpestati e derisi in quanto uomini e in quanto uomini non dominanti, privati di ogni valore ma soprattutto di qualsiasi strumento per la comprensione della realtà e della loro condizione, gli uomini beta hanno cominciato, gradualmente ma inesorabilmente, a non sentirsi più neanche tali. Completamente inermi e devastati sotto ogni punto di vista, non è rimasto loro che cercare di adeguarsi ad una realtà che considerano immutabile e scimmiottare i modelli maschili dominanti, senza averne però le possibilità e gli strumenti.  Uno spettacolo penoso e avvilente, una rincorsa affannosa e stentata, una recita disperata con la quale cercano faticosamente di conquistarsi un piccolo spazio e di essere socialmente e umanamente accettati, soprattutto dall’altro sesso.

E’ necessario un lavoro molto lungo, profondo e paziente affinchè questi uomini possano essere in grado di ricostruire la loro identità negata e vilipesa.  Per convincerli a rifiutare un sistema che li ha indotti a credere che si è degni di considerarsi uomini solo se si ha un determinato reddito, se si occupa una determinata posizione all’interno del contesto sociale e se si compare sugli schermi di questo o quel network televisivo.

Per spronarli a riconquistare con forza e dignità una nuova e diversa relazione con l’altro sesso. Una relazione costruita sui valori di una vera eguaglianza, di una vera reciprocità, di una vera autonomia e di un reciproco rispetto e riconoscimento dell’altro/a, e non sulla subordinazione umana e psicologica, come è invece oggi.

Per far questo è necessario liberarsi da tante catene ma soprattutto è necessario compiere un grande sforzo individuale e collettivo. E’ fondamentale rivisitare completamente la propria maschilità all’interno dei profondi cambiamenti avvenuti e, sulla base di questo, rivedere completamente il proprio atteggiamento nei confronti del genere femminile. Smettere di proporsi sempre e comunque, di recitare copioni preconfezionati, di vestire dei panni che non sono i propri pur di assecondare i desideri altrui e i modelli sociali e culturali imposti. Proporsi invece, quando se ne ha voglia, per quello che si è e non per quello che si ha o che si rappresenta (o che si fa finta di avere o di rappresentare…), senza finzioni o recite di sorta, senza mai tradire la propria indole, la propria dignità e la propria libertà. Non dare affatto per scontato che i ruoli delle donne e degli uomini “da che mondo è mondo”, come si suol dire ipocritamente, non potranno mai cambiare. Se questo fosse vero il femminismo non avrebbe potuto rivendicare l’eguaglianza e la pari dignità delle donne, cosa che invece ha sacrosantamente fatto mettendo in discussione proprio quell’assunto.

Ebbene, il concetto di eguaglianza, come quello di libertà, comporta diritti ma anche doveri. Non è pensabile ipotizzare un sistema di diritti senza al contempo anche dei doveri. E quindi, se veramente, come io penso, siamo tutti eguali, è evidente che uomini e donne devono vivere e comportarsi in egual modo all’interno dello stesso sistema di regole. Ciò deve valere in ogni ambito della vita, sia esso sociale, economico, politico o relazionale. Se, ad esempio, si chiedono a gran voce le quote rosa nelle assemblee elettive e nei Consigli di Amministrazione, si dovrebbero coerentemente chiedere anche per lavorare nelle miniere, nei cantieri edili, negli altiforni, sulle piattaforme petrolifere, nelle acciaierie. Così come, se si professa l’eguaglianza nelle relazioni fra i sessi allora non si può continuare a pensare che questa possa continuare a svolgersi sempre e comunque a senso unico, con gli uomini che, da una posizione  di subordinazione, si propongono, investono tempo, denaro ed energie e le donne che,  collocate dal punto di vista psicologico, su di una sorta di metaforico piedistallo, decidono come, quando e soprattutto perchè e con chi (ma in base a quali criteri selettivi?…). In questa siffatta modalità di relazione non c’è nulla di spontaneo, naturale, reciproco e umano e tutto viene giocato sul terreno del potere, gestito a livello psicologico sul ricatto sessuale e sullo scambio concettualmente mercantile. In parole più povere sul do ut des applicato alla sfera della sessualità e dell’affettività.

E’ quindi ovvio che gli uomini beta dovranno misurarsi in una fase di grandissima conflittualità con l’ideologia femminista e con il sistema economico, sociale e politico di cui è sostanzialmente alleato e strumento nè potranno esserci scorciatoie e improbabili vie d’uscita. E’ necessario lavorare per far esplodere quelle contraddizioni oggi occultate dal sistema mediatico-ideologico-politico dominante. L’acquisizione di una nuova coscienza, la possibilità per la maggioranza degli uomini di prefigurare nuovi e più dignitosi orizzonti esistenziali, non può che passare attraverso una palese e consapevole conflittualità nei confronti di coloro che hanno interesse a mantenerli in una posizione di subordinazione.

Il Movimento degli Uomini Beta sdegna di celare le sue vere intenzioni. Esso dichiara apertamente di lavorare per un radicale riequilibrio della relazione fra i sessi, considerata  propedeutica per una più ampia e profonda trasformazione dello stato di cose presente. Tale riequilibrio potrà avvenire solo attraverso la presa di coscienza, da parte degli Uomini Beta,  della loro condizione di oppressione e subordinazione e attraverso un processo di palese e consapevole conflittualità con tutte/i coloro che hanno interesse a mantenerli in una tale condizione.

Il Movimento degli Uomini Beta si rivolge quindi a tutti gli Uomini non appartenenti alle elite dominanti, invitandoli ad aderire e ad autoorganizzarsi per la difesa dei propri interessi di genere e dei propri diritti.

In egual misura, il Movimento degli Uomini Beta invita le Donne non appartenenti alle nuove elite dominanti femminili a fare una scelta di campo, ad abbandonare a qualsiasi livello le logiche strumentali e mercantili e i privilegi di sempre, per vivere una relazione con l’altro sesso all’insegna della reciprocità, dell’autenticità, della spontaneità e di una vera eguaglianza fra i generi.

Questa è secondo noi la vera rivoluzione e questa è la sfida che lanciamo e per la quale ci batteremo con tutte le nostre forze. In quanto Uomini Beta, consapevoli della nostra condizione, sappiamo di non avere nulla da perdere se non le nostre catene. Ma anche un mondo da guadagnare.

 

 


  • [...] Fabrizio Marchi, innanzitutto Le chiederei di raccontarci che cos’è
  • [...] Uomini Beta è un movimento di consapevolezza maschile nato alcuni anni
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