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22 Mar 2024  |  0 Commenti

Sulla prostituzione. Una riflessione a partire da un’analisi di Carlo Formenti

 

Ho letto questa largamente condivisibile analisi dell’amico Carlo Formenti sul tema della prostituzione e della maternità surrogata https://www.sinistrainrete.info/societa/27658-carlo-formenti-libere-di-vendere-il-proprio-corpo-a-pezzi.html

Sulla seconda questione, cioè l’utero in affitto (anche i suoi sostenitori hanno pudore nel definirlo tale e infatti lo chiamano appunto ”maternità surrogata” proprio per renderlo più accettabile)  non ho nulla da dire perché condivido in toto la sua analisi.

Sulla prima invece ho un punto di vista diverso dal suo, forse perché – mi permetto di dire – ho indagato (e, probabilmente, anche esperito) un po’ più di lui l’argomento. Mi pare di poter dire, infatti, che anche Formenti – che pure ha da tempo elaborato una critica severa dell’ideologia femminista, in particolare nella sua attuale declinazione, quella neoliberale dominante – resta tuttavia ancora parzialmente prigioniero della visione femminista perché, anche indagando questo aspetto, parte sempre e soltanto dal punto di vista femminile e mai da quello maschile, con l’ovvia conseguenza di avere una visione parziale del problema. In parole ancora più semplici, anche Formenti, analizzando il fenomeno della prostituzione, non riesce ad uscire dalla coppia dicotomica carnefice/vittima, dove il carnefice è ovviamente l’uomo e la vittima è la donna. O meglio, ad un certo momento ne fuoriesce, meritoriamente, quando scrive: “…mi si potrebbe obiettare che, nel caso della prostituzione, è difficile negare che si tratta di un fenomeno patriarcale più che (o almeno altrettanto che) capitalistico. Anche perché fenomeni come il turismo sessuale e altre forme di violenza e la sopraffazione che i maschi esercitano sui corpi di donne e minori caricano il tema di forti valenze emotive. Muovendo da questo punto di vista unilaterale si finisce per distogliere l’attenzione dalla forma specifica che il fenomeno della prostituzione assume nella società capitalistica. Una società che disintegra i legami comunitari e familiari, trasformando uomini e donne delle classi inferiori in atomi condannati alla povertà e alla solitudine, e generando quella miseria sessuale generalizzata di cui la prostituzione, con il suo corredo di violenza di genere, è uno dei corollari”, ma subito dopo ci rientra, per lo meno così mi pare, nel momento in cui conclude il periodo facendo riferimento alla “violenza di genere”, da intendersi naturalmente nella sua accezione corrente, cioè come violenza maschile contro le donne subita solo ed esclusivamente dalle donne.  In ultima analisi, insomma, anche se il fenomeno della prostituzione – spiega – non è o non è più il prodotto della società patriarcale ma di quella capitalista (e su questo opera una cesura netta con tutti i femminismi, anche quelli sedicenti marxisti) alla fin fine a pagarne maggiormente le spese sarebbero sempre e comunque le donne (perché sono o sarebbero queste ultime a subire violenza).

Le ragioni di questo modo di leggere le questioni di genere  sono a mio parere da individuare in una sorta di tendenza innata in tutte le persone di formazione marxista (l’ho avuta anch’io) ad applicare un po’ pedissequamente e sistematicamente ad ogni aspetto dell’esistenza la dialettica hegelo-marxiana, quando la realtà si presenta invece in forme a volte molto più complesse. Come, ad esempio, nel caso della relazione fra i sessi, dove più o meno tutti i femminismi, a cominciare da quello liberale, hanno fatto una sorta di banale quanto maldestro copia-incolla (solo sul piano metodologico, sia chiaro) della dialettica hegelo-marxiana applicandola o per meglio dire, appunto, “copiaincollandola” alle questioni di genere.  Non solo. Le Sinistre, tutte, anche e soprattutto quelle più genuinamente marxiste, hanno sempre avuto al centro della loro analisi le questioni economiche e sociali tralasciando altri aspetti altrettanto importanti e non separabili dai primi, quali la sessualità, la psicologia e l’antropologia che sono fondamentali per analizzare lucidamente la relazione fra i sessi.  Indagare quest’ultima senza tenere conto di tutti quegli altri aspetti sopracitati della realtà nella sua complessità (e quindi nella sua totalità) non può che portare ad una visione parziale se non strabica (come infatti è quella femminista) della realtà stessa. Volendo portare un esempio banale ma forse efficace, è come andare a vedere una partita di calcio e osservare solo una metà del campo, oppure ancora una partita di calcio senza il pallone. Nel primo caso avremo una visione necessariamente distorta e non corrispondente al vero, nel secondo vedremmo soltanto ventidue matti che corrono di qua e di là su un campo in tutte le direzioni e senza nessuna razionalità.

Ora, la questione comincia a diventare più complessa e articolata, e quindi andrò per punti.

Innanzitutto una premessa. Cominciamo col dire che donne e uomini non possono essere considerati  come due categorie omogenee perché entrambi vivono condizioni completamente differenti le une dalle altre e gli uni dagli altri per ovvie ragioni sociali, economiche, ambientali, culturali, estetiche, relazionali, psicologiche e quant’altro. E’ il femminismo che sulla base del “copia-incolla” di cui sopra ha operato questa sorta di “categorizzazione” e di “semplificazione”, cancellando ogni briciolo di complessità e sposando una visione ad essere generosi parziale che non poteva che avere come esito finale una logica sessista e interclassista (quindi l’esatto contrario di una logica di classe). Questa visione rigidamente dicotomica e manichea delle cose, già fallace se applicata ai tempi passati, nel contesto attuale diventa addirittura farsesca.

Veniamo ora al tema in oggetto.

Parlare di prostituzione in senso lato non ha senso perché ci sono diversi tipi di prostituzione che vedono le donne che la esercitano in situazioni e condizioni  completamente diverse fra loro. La condizione di una cosiddetta “escort” (termine imposto dal politicamente corretto per definire una prostituta di alto bordo o anche di medio livello che lavora autonomamente o tutt’al più versa una commissione all’agenzia che le procura i clienti) è completamente diversa da quella di una prostituta di strada. Le prime sono delle libere professioniste (ce ne sono moltissime, molte di più di quanto non si pensi) che hanno scelto di fare del sesso il loro strumento di arricchimento personale mentre le seconde, che spesso (ma non sempre) lavorano per qualcuno o per qualcuna (comunemente si pensa che lo sfruttatore sia sempre un uomo ma non è affatto così, moltissime donne hanno ruoli di comando nel traffico della prostituzione), cioè per organizzazioni criminali che gestiscono il traffico, sono delle proletarie sfruttate. Fra questi due poli estremi  ci sono poi diversi livelli. Molte donne, spesso studentesse o che svolgono mestieri normali, svolgono in modo relativamente saltuario attività di prostituzione, sia lavorando in proprio che con agenzie (in questo caso non parlo di organizzazioni criminali ma di vere e proprie agenzie di “public relation”, diciamo così, che mettono in contatto il cliente con la prostituta). Abbiamo quindi giovani (ma non solo) donne che in un weekend possono mettersi tranquillamente in tasca anche dai 3 ai 5mila euro. Questa facilità di guadagno spinge molte di loro che magari svolgono un lavoro normale (e quindi spesso precario e mal pagato né più e né meno degli uomini) ad intensificare il loro lavoro di prostitute che in tal modo diventa sempre meno “saltuario”, dal momento che quest’ultimo gli procura un reddito enormemente superiore a qualsiasi altro. E’ ovvio che ciò comporta anche delle conseguenze sul piano psicologico perché è evidente che vedere sfacchinare i propri genitori o le proprie amiche per uno stipendio di 1000 o anche 1500 euro al mese quando se ne possono guadagnare il doppio o il triplo in un paio di giorni di marchette, modificherà l’approccio alla vita di molte ragazze. Questo spinge molte di loro a praticare la prostituzione a tempo pieno. E una prostituta a tempo pieno che lavora autonomamente in un appartamento che ha preso in affitto, può mettersi in tasca anche dai 20 ai 40mila euro al mese esentasse. Molte donne straniere che lavorano autonomamente come prostitute tornano dopo una decina di anni nel loro paese e aprono una loro attività commerciale oppure acquistano dei beni e vivono di rendita. Vale naturalmente anche per diverse donne italiane. Capisco che il discorso è scabroso ma se vogliamo vederla da un altro punto di vista, al fine di osservare la realtà nella sua totalità (che è sempre fondamentale per capire come stanno veramente le cose) quella del sesso è una risorsa di cui gli uomini, tranne rarissime eccezioni che confermano la regola, non dispongono. Un uomo comune mediamente povero può infatti contare solo sulla sua forza-lavoro o sulla sua capacità di lavoro, fisica per lo più o anche intellettuale. Per sgombrare subito il campo da possibili repliche scontate (non mi riferisco, ovviamente, a Carlo Formenti, ma ai soliti noti e alle solite note) è fondamentale ribadire che la prostituzione come fenomeno di massa è femminile e non maschile non per ragioni di ordine economico o per imposizione ideologica-culturale-politica, bensì perché donne e uomini sono diversi e hanno un differente approccio al sesso, un differente bisogno di sesso e anche un differente modo di viverlo. Questa diversità (non assoluta, ovviamente, si parla sempre nella media), del tutto naturale, determina a sua volta una asimmetria che vede gli uomini in una posizione di costante bisogno rispetto alle donne e quindi di dipendenza sessuale; in parole molto povere, nella posizione di chi chiede, e chi chiede non è colui che decide. E’ su questa asimmetria che gioca e si incista la logica mercantile e la razionalità strumentale capitalistica (che oggi pervade ogni aspetto e in primis la sfera sessuale) che tende a ridurre e ad inglobare la relazione sessuale entro la dinamica dell’offerta e della domanda. Partendo da questa a mio avviso semplicissima constatazione (per chi ha un briciolo di onestà intellettuale, non c’è necessità di particolari studi antropologici per capirlo…) è evidente che considerare gli uomini i soggetti dominanti per definizione nella sfera sessuale è privo di ogni fondamento.  Tale dominio da parte maschile può rilevarsi soltanto in casi rarissimi, dove cioè un uomo dispone di una tale quantità di risorse e di capitali (oggi può esserlo anche la visibilità pubblica) da metterlo nelle condizioni di invertire il rapporto, di essere quindi egli stesso l’oggetto del desiderio o tutt’al più di poter comprare il sesso dettando lui le condizioni. E qui arrivo al secondo punto.

Comunemente si pensa o si è stati indotti a pensare che colui che paga, che compra quel lasso più o meno breve di tempo per fare sesso con una donna, quindi l’uomo, sia il soggetto dominante, colui che determina e detta modalità e tempi di quella prestazione sessuale. Nulla di più falso. Posso confermare, anche per esperienza diretta, avendo fatto ricorso anche io al sesso mercenario (come la grande maggioranza degli uomini che però per pudore o per vergogna non lo ammettono pubblicamente) – che è una delle esperienze più squallide che un uomo possa fare nella sua vita e che, soprattutto, è sempre la donna a dettare i tempi e le modalità, sia della prestazione che del pagamento che deve avvenire rigorosamente prima della prestazione stessa (non esiste il soddisfatti o rimborsati in questo ambito..). Nonostante ciò che il senso comune percepisce o, come ripeto, è stato indotto a percepire, si tratta infatti di un “rapporto” dove, nella grande maggioranza dei casi, gli uomini ne escono con uno stato di profonda insoddisfazione e frustrazione. Molto spesso – avendo indagato la questione, essendomi confrontato anche con tanti altri uomini – non riescono neanche a portare a termine il rapporto sessuale dal momento che è assai difficile eccitarsi in un simile contesto dove una persona maneggia i tuoi organi sessuali con minor delicatezza di quanto possa fare un meccanico con lo spinterogeno di un automobile, e ti invita con la stessa delicatezza ogni minuto che passa a darti una mossa perché lei non ha tempo da perdere. Questa che sto descrivendo e che può apparire (e in effetti è) anche una scenetta grottesca, è il rapporto che mediamente si consuma fra una prostituta “normale”, cioè non di medio o alto bordo, nell’abitacolo di una utilitaria in una strada di periferia o anche in un appartamento. Derubricare tutto ciò come un rapporto dove da una parte c’è il “carnefice”, l’uomo, e dall’altra la “vittima”, la donna, è ridicolo sotto ogni profilo. Del resto, e qui veniamo ad un altro risvolto che viene occultato, qual è l’uomo che preferirebbe pagare per avere quello che potrebbe avere gratis, se lo potesse avere gratis? Nessuno, ovviamente. Sarebbe come pensare, ipoteticamente, di stare davanti a due ristoranti di pari qualità, in uno si mangia gratis mentre nell’altro si paga. Chi sceglierebbe quello a pagamento? La risposta è pleonastica.

E’ quindi evidente che quegli uomini che vanno con le prostitute (tranne una esigua minoranza) non lo fanno certo per una libera scelta ma per bisogno, o meglio, perché non riescono a vivere una sessualità degna di questo nome per le ragioni più disparate.

E qui scatta un’altra truffa. Quella cioè di pensare che nella nostra società (capitalista) occidentale il sesso sarebbe libero. Anche in questo caso, nulla di più falso e il cane continua mordersi la coda.  Se il sesso fosse realmente libero non ci sarebbe bisogno di pagare ma, soprattutto, sarebbe sottratto a qualsiasi logica, in primis quella economica, né ci sarebbe necessità di esporlo dalla mattina alla sera né più e nè meno di come si espone una qualsiasi altra merce in una vetrina. Forse quando si entra in un negozio perché si è sollecitati a farlo dalla sua esposizione costante e sistematica (del resto, siamo in una società che si fonda sull’iper consumismo) e si compra un articolo, possiamo dire che il compratore è il carnefice e il negoziante/venditore la vittima? Non mi pare proprio. Se c’è una vittima, in questo caso,  è il lavoratore (o la lavoratrice) che l’ha fabbricata in un paese remoto per una spesa di produzione complessiva di 10 euro (di cui solo 3 vanno nelle sue tasche) e il prodotto del suo lavoro viene rivenduto nei nostri paesi a 100 euro.

Come vediamo, più procediamo nel ragionamento e più emergono le contraddizioni e la complessità di una relazione che non ha senso derubricare come quella fra un carnefice e una vittima. Come dicevo, questa relazione mercenaria, può vedere invertiti i ruoli – cioè l’uomo in una posizione dominante – nel momento in cui si sia in presenza di un soggetto talmente ricco da potersi permettere di spendere con leggerezza qualsiasi cifra per fare sesso. La sua ricchezza e il potere che ne deriva vanno a compensare lo squilibrio dato dalla asimmetria naturale della sua condizione (a parti invertite una donna socialmente ed esteticamente normale e mediamente attraente è costantemente sollecitata e gode di attenzioni che un uomo pari grado non conosce neanche lontanamente a meno che non sia, appunto, un divo del cinema o il proprietario di un impero finanziario). Ma stiamo parlando di una più che esigua minoranza di uomini che, è bene sottolinearlo, ricorre al sesso ufficialmente mercenario o perché non ha tempo da perdere o per puro divertimento, non certo per necessità, perché, come già detto, un uomo siffatto, un personaggio dello spettacolo, una rockstar, un industriale, un capitalista, costituisce egli stesso l’oggetto del desiderio e non ha certo necessità di pagare delle prostitute.

La contraddizione di una simile concezione, “uomo-carnefice donna-vittima”, diventa ancora più stridente nel caso del “sesso online”, oggi molto di moda (una “moda”, data dal sempre maggiore isolamento in cui si trovano tante persone nella società contemporanea che vede gli uomini di rango sociale basso e medio basso in una condizione di maggiore difficoltà, non a caso il fenomeno degli “hikikomori” e degli “incel” è prettamente maschile), dove tanti uomini si masturbano a pagamento davanti ad un computer dove dall’altra parte dello schermo c’è una che si spoglia per soldi e che tanto più mostra quanto più l’uomo mette mano alla carta di credito. E’ questa la condizione di un carnefice e di uno che secondo la narrazione femminista sarebbe in una condizione di privilegio e di dominio in quanto appartenente al genere maschile? Un soggetto in posizione privilegiata e dominante sulle donne si ritrova, secondo voi, a masturbarsi a pagamento davanti al PC? Lascio ai lettori la risposta.

Quindi, tornando al tema in oggetto, quello che si può dire è che entrambi i soggetti, donne e uomini, all’interno della relazione mercenaria, vivono una condizione di alienazione, anche se dettata da condizioni diverse e con modalità diverse. Personalmente, quando ho fatto ricorso al sesso mercenario, data anche la qualità mediamente scadente del rapporto (sia chiaro che non ne faccio una colpa alla prostituta, molto probabilmente mi comporterei anche io nella sua stessa maniera al suo posto perché cercherei di estraniarmi quanto più possibile, ottimizzando i tempi e cercando di mettermi in tasca quanto più denaro possibile speculando sul bisogno dell’altro) mi sono sentito uno sfruttato, non certo uno sfruttatore, oltre naturalmente al risvolto psicologico, dato dalla avvilente condizione di esser dovuto ricorrere ad una prestazione mercenaria per assolvere ad un bisogno naturale.  Un bisogno naturale deriso, perché criminalizzato, e  trasformato in una merce. Chi sfrutta chi?

E quindi, ancora una volta, un uomo che per le più disparate ragioni (condizione sociale bassa, isolamento, scarsa possibilità di socializzare, timidezza, non particolare avvenenza fisica etc. etc. ) vive in uno stato di miseria sessuale e dunque ricorre al sesso mercenario, può essere considerato un carnefice (e tanto meno un privilegiato e un dominatore)? E ancora una volta, per l’ennesima volta, la risposta è pleonastica.

In conclusione, ringrazio l’amico Carlo Formenti che mi ha sollecitato ad una riflessione su un tema assai delicato che meriterebbe ben altro spazio e attenzione e che oggi viene interpretato a senso unico, secondo i dettami e le griglie dell’ideologia femminista in tutte le sue declinazioni, comunque organiche e funzionali, per come la vedo io, all’ideologia neoliberale dominante.


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