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31 Ott 2010  |  28 Commenti

L’importanza del padre

Qualche pomeriggio fa guardavo un programma in onda sulla rai che parlava di genitori e dei loro rapporti con i figli neonati. Ci sono state parecchie cose che mi hanno dato noia: la prima è questa sorta di neologismo molto in voga negli ultimi tempi, “mammo”,affibbiato,con una certa dose di sarcasmo, ai padri che si prendono cura dei lor figli piu piccoli ,come se un uomo che si prende cura di un suo figlio piccolo non possa essere chiamato semplicemente “papà” o “babbo”. Ma questo è niente: c’è stata tutta una serie di interventi da parte di alcune signore in trasmissione,portati avanti con una certa supponenza, il cui succo era “l’importante per un figlio è che sia presente la madre,del padre se ne puo fare a meno, è un estraneo,con ifigli non ci sa fare come ci sappiamo fare noi, è inutile”.Il tutto senza che nessuno degli uomini presenti in trasmissione aprisse bocca. Io ho avuto la sfortuna di perdere mio padre quando avevo 7-8 anni: interiormente ho passato un’adolescenza da inferno e ora ,a distanza di diversi anni, capisco che la presenza di un padre nella vita di un figlio è un qualcosa di assolutamente irrinunciabile. Peccato che queste signore non lo sappiano.
Saluti.
Enrico


28 Commenti

Marco 10:06 am - 1st Novembre:

@ Enrico
Ci sono state parecchie cose che mi hanno dato noia: la prima è questa sorta di neologismo molto in voga negli ultimi tempi, “mammo”,affibbiato,con una certa dose di sarcasmo, ai padri che si prendono cura dei lor figli piu piccoli ,come se un uomo che si prende cura di un suo figlio piccolo non possa essere chiamato semplicemente “papà” o “babbo”.
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Parlo per me: tutti buoni motivi per non diventare padri e consequenzialmente gli zimbelli di queste maleducatissime, irrispettosissime e misandriche “donne moderne”.
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@ Enrico
Il tutto senza che nessuno degli uomini presenti in trasmissione aprisse bocca.
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Immagino… Tutti muti, come al solito. Per forza che poi le misandriche acquistano sempre più potere: non trovano ostacoli di fronte a loro.

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armando 12:20 pm - 1st Novembre:

Sono diventato padre alla metà degli anni ’70. Ho accudito mio figlio per la mia parte quando di mammi non si parlava. Parlo quindi con una certa cognizione di causa e senza alcun pregiudizio idelogico. Premesso questo dico che il padre è fondamentale quanto la madre, ma in modo diverso da lei ed anche in tempi diversi.
Il neonato ha necessità di un rapporto strettissimo con la mamma (è uscito da lei, non dimentichiamolo, e subito dopo la nascita è con lei che si identifica). In questa fase il padre è piuttosto un organizzatore sul piano materiale, mentre su altro versante Franco Fornari (grande psicanalista freudiano) sosteneva che il padre è colui che “bonifica” il rapporto madre/figlio (intrinsecamente ambiguo e intersecato anche da pulsioni antagonistiche e di morte), attirando su di sè quell’ambiguità e permettendo così l’affermarsi di quello che lui chiamava il “codice materno”, assolutamente necessario per dare sicurezza affettiva al bambino.
L’importanza fondamentale del padre cresce con il tempo, quando si dovrebbe affermare il codice paterno: rottura del rapporto simbiotico con la madre, necessità di dare direzione di vita e limite al figlio (la “legge” paterna), apertura al sociale, tutto ciò insomma che fa di un bambino “onnipotente” un uomo adulto.
Ben vengano quindi accudimento e cure paterne fin dall’inizio (che comunque non sono esercitati nello stesso modo con cui li esercita una madre), ma non quello è lo specifico del padre.
In questo senso l’uso del termine “mammo” ha una doppia e contraddittoria valenza.
Da un lato quella che si vorrebbe annullare, in nome dell’uguaglianza e dell’omologazione fra uomini e donne, ogni specificità paterna e maschile, auspicando la trasformazione del padre in vice/mamma i cui valori vengono posti al fondamento di tutta la vita. Dall’altro, però, lo si usa con tono ironico e dispregiativo perchè esiste comunque la nostalgia di un padre che faccia davvero il padre vedendone, checchè se ne dica sul piano ideologico, i disastri provocati dalla sua assenza.
C’è poi un altro lato del problema. Coloro che vogliono che i padri si prendano cura del neonato come le madri, non lo fanno affatto nell’interesse del figlio (per i motivi che ho detto), ma per liberare tempo materno da dedicare a lavoro e carriere. Se costoro volessero davvero il bene dei figli dovrebbero battersi affinchè fossero si concessi i permessi di paternità, ma non come quelli di maternità nei primi tre anni, bensì dopo, più o meno a partire dall’età in cui è morto il padre di Enrico, il quale, non casualmente ha parlato di “adolescenza da inferno ” e non d’infanzia.
Occorre, secondo me, rimettere sui piedi certi concetti che sono stati capovolti, senza mai perdere di vista i punti cardinali delle questioni. Voglio dire che ben venga la battaglia dei padri separati per affermare il diritto loro e dei figli di avere anche un padre, ma sapendo che funzione e ruolo paterno non sono gli stessi del materno. Senza questa consapevolezza, alla fine il tutto potrebbe rivelarsi un boomerang nel senso di concorrere all’omologazione, quello cioè che chiedono femminismo e alleati.
Facciamo caso ad un fatto: ci sono sempre più iniziative dei dipartimenti pari opportunità di molti comuni italiani (e non solo) che blaterano di paternità con corsi rieducativi, conferenze e quant’altro, tutti tesi ad affermare che il buon padre è quello che accudisce il bimbo come la madre, ossia trasformarlo in un mammo senza attenzione alcuna allo specifico della paternità. Lo scopo è quello che dicevo prima. Il fatto ignominioso che nei casi di separazione le madri vogliano escludere i padri , secondo me, è un’altra cosa. Nasce da un conflitto di potere giocato tramite il figlio, dal senso di possesso materno e dalla credenza ormai dilagante che il padre non sia psichicamente importante per il figlio. Vogliono escludere il padre per vendetta, ma contemporaneamente reclamano tutele sociali (asili nido, provvidenze etc) che surroghino il mammo diventato anch’esso un peso. Vorrebbero ottenere così più risultati in colpo solo: sbarazzarsi del marito/padre fisico, sbarazzarsi della sua funzione che pensano inutile, e continuare ed avere tempo per sè.

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enrico657 6:29 pm - 1st Novembre:

concordo con armando: di fatto il padre “mammo” è visto come un sostituto della madre,che è utile e funzionale non per l’opera di cura e di educazione nei confronti del figlio,ma in quanto,come ben si capisce da questo nomignolo,per il fatto che è un sostituto della mamma, una sua appendice e basta.
Concordo anche sul fatto del ruolo attivo che il padre deve assumere nel passaggio dall’infanzia,all’adolescenza: questo non è un ruolo culturale,ma una richiesta silenziosa del figlio stesso. Mi ricordo che quando avevo all’incirca dodici-tredici anni tendevo a instaurarerapporti quasi padre-figlio sia con i mie zii,sia per esempio anche con il mio allenatore di calcio:era una cosa spontanea,da loro mi aspettavo indicazioni,spinte emotive,ispirazioni. Nel contempo ho iniziato a nutrire un sentimento di forte insofferenza nei confronti di mia madre e ad instaurare un rapporto molto nervoso con lei: la vedevo quasi come una figura di impaccio,non ci parlavo mai nemmeno in situazioni di gravi difficoltà. Poi con lei i rapporti sono migliorati una volta finito il terremoto adolescenziale.
Per concludere a proposito del comportamento arrogante di alcune mamme nel nei confronti dei papà vi racconto un aneddoto: qualche mese fa ero a una festa di laurea di una mia amica. Erano presenti pure suo padre e sua madre,divorziati da tempo: alla fine del pranzo suo padre ha tenuto un breve e informale discorso di elogio nei confronti della figlia;sua madre ha portato una torta con sopra appoggiata una foto di lei e la figlia…della serie “esistiamo solo noi due…tuo padre sta fuori”.Tutto questo in presenza del padre ovviamente.

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Alessandro 9:56 am - 2nd Novembre:

Penso che Armando abbia toccato sinteticamente tutti i punti fondamentali della questione.
Sui talk show televisivi bisogna poi stendere un velo pietoso, tranne pochissime eccezioni. Tutti si atteggiano a espertissimi della materia trattata. Inguardabili. Nel caso poi dell’argomento trattato, si oscilla tra la posizione femminista, che vorrebbe gli uomini quasi sostituirsi alle donne nelle faccende domestiche e quindi anche nella cura dei figli, e la posizione di chi ritiene l’uomo incapace di operare in quest’ambito, per poi però lamentarsi della sua latitanza. Insomma, lamentele sempre e comunque.

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Luigi Corvaglia 7:17 pm - 9th Ottobre:

http://www.lastampa.it/2012/10/09/italia/i-tuoi-diritti/responsabilita-e-sicurezza/no-ai-padri-giustizieri-contro-i-bulli-JKOulk69w5EycGGBjd9dSO/pagina.html
……………
09/10/2012
No ai padri “giustizieri” contro i bulli
Stanco delle ripetute prepotenze che il figlio undicenne subiva da un ragazzino di due anni più grande, un padre si è fatto giustizia da sé portando il bullo, a suon di minacce, a chiedere scusa in ginocchio alla “vittima” e dandogli pure due schiaffi. Ma la Cassazione lo ha avvertito che «punizione e rieducazione» non spettano ai genitori delle “vittime” e che questi modi sono fuori dalle «regole della civiltà». All’uomo è stata confermata la multa di 3.420 euro con condanna a risarcire il trauma psichico patito dal “bullo”.
Senza successo, Paolo D.I. (52 anni), ha protestato – innanzi alla Suprema Corte – contro il verdetto emesso dalla Corte di Appello di Bologna, il 26 ottobre 2010, che lo aveva condannato per violenza privata e percosse ai danni del tredicenne A.M. che, in palestra, era solito compiere «ripetute e umilianti vessazioni» ai danni di suo figlio. Il padre “giustiziere” non ci aveva visto più, dopo l’ennesima angheria, ed era andato a prendere il “bullo” e lo aveva portato nella camera da letto dove, prostrato, si era rifugiato la “vittima”. Esigeva, per suo figlio, che l’altro gli chiedesse scusa. Il padre furente non ci era andato “leggero”, e lo aveva minacciato. A scuse ottenute, lo aveva ammonito con due schiaffi, per il futuro, e lo aveva lasciato andare.
Tutto era finito davanti al Tribunale di Forlì dove si è svolta la vicenda. Il padre è stato riconosciuto colpevole e gli erano stati inflitti tre mesi di carcere convertiti in 3.420 euro di multa. Al “bullo” maltrattato era stata liquidata una provvisionale di 4mila euro come prima tranche risarcitoria dello choc subito per la violenta reazione dell’adulto. Il verdetto di primo grado è stato convalidato in appello, e ora anche dalla Cassazione che ritiene la pena «calibrata e commisurata alla gravità del danno cagionato al minorenne». Secondo i supremi giudici – sentenza 39499 – la sua «persona è stata sicuramente sconvolta e alterata, sul piano psichico, dalla condotta reiteratamente violenta, sotto tutti i profili, dell’imputato, proiettata verso un obiettivo di punizione e rieducazione, assolutamente al di fuori della sua competenza ed estranea alle regole di civiltà che sempre e comunque devono vincolare le azioni e le reazioni dei cittadini».
Il parere dei magistrati con l’ermellino è che, «per rimediare alla incresciosa situazione», il padre aveva una sola strada – «una singola e civile prospettiva decisionale e operativa» – quella di «rivolgersi, in maniera tempestiva ed efficace, ai gestori del centro sportivo per l’adozione delle necessarie misure preventive e punitive». Per la Cassazione, la scelta di «agire con molteplice violenza sul giovane e immaturo tredicenne non è stata assolutamente necessitata».
……………………………
Trovo sintomatico che la Corte, il destinatario più naturale, il padre del bullo, non l’ho abbia proprio considerato.

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armando 10:48 pm - 9th Ottobre:

Sentenza sintomatica. Cosa avrà percepito di essa il giovane bullo? Che il bullismo paga in tutti i sensi ed è tutelato dalla legge. Cosa volete che ne sappia quel ragazzo del concetto secondo cui non ci si può fare giustizia da soli? Nulla, lui ha capito solo che maltrattare un compagno si può. Bell’esempio educativo, non c’è che dire! Diverso sarebbe stato se la corte avesse convocato, come giustamente sottolinea Luigi, anche il padre del bullo avesse condannato anche lui, allora, per non aver educato adeguatamente il figlio. Ma non solo, avrebbe anche dovuto ritenerlo responsabile del trauma e del danno che suo figlio aveva provocato al compagno. Si è padri quando si è capaci di autoregolarsi, e forse il padre della vittima avrebbe fatto meglio non a ricorrere ai giudici ma a parlare direttamente col padre del bullo. Ma il padre, quando occorre, deve essere capace di punire il figlio prepotente. Credo che alla base di tutto ci sia ormai la scomparsa di ogni vero concetto di paternità, ridicolizzata e colpevolizzata in tutti i modi, ma che la funzione paterna non può essere assolta da nessuna istituzione che lo sostituisca.
armando

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Luigi Corvaglia 8:08 am - 27th Dicembre:

Allarme negli Usa, un bambino su tre cresce senza padre
Quindici milioni vivono solo con la madre
PAOLO MASTROLILLI – INVIATO A NEW YORK
Che fine hanno fatto i padri? Dove si sono nascosti? Sono domande che diventano urgenti, leggendo dati che arrivano dall’America e dall’Europa. Negli Stati Uniti, il numero dei bambini che crescono senza il genitore maschio è salito a 15 milioni, ossia circa uno su tre. In Gran Bretagna, invece, avere un padre risulta nella top 10 dei regali chiesti a Babbo Natale: una curiosità, che però dice parecchio. E come crescono poi questi bambini, senza una figura paterna che li porti a giocare o li segua nei compiti?

I dati degli Usa, raccolti dal Census Bureau e dall’American Community Survey, sono impressionanti. Non solo i figli che vivono senza i genitori maschi sono arrivati a 15 milioni, ma la tendenza è in aumento: nel 1960, solo l’11% dei bambini negli Stati Uniti non aveva il padre, mentre ora siamo intorno al 35%, con un incremento di 1,2 milioni di casi durante l’ultimo decennio. I figli che crescono senza la madre, invece, sono circa 5 milioni.
Il problema è generale, ma diventa più grave tra alcuni gruppi etnici, sociali e geografici. Il 54% dei bambini neri vive con la madre, e solo il 12% delle famiglie afro-americane sotto la soglia della povertà hanno entrambi i genitori, contro il 32% di quelle bianche e il 41% delle ispaniche. Sul piano geografico, la situazione è difficile in certe aree urbane e nel Sud. A Baltimora ci sono quartieri dove il numero dei figli senza padri tocca l’80%.

Gli effetti sono disastrosi, a partire da quello economico. Non è un caso se le coppie sposate con figli hanno un reddito medio di 80.000 dollari, mentre le madri single si fermano a 24.000. I bambini già partono da una condizione economica svantaggiata, che preclude loro l’accesso ad una buona istruzione. A questo, poi, si aggiunge l’impatto negativo di non aver l’affetto, il sostegno, il controllo di un padre.

Perché c’è questa tendenza, e come si potrebbe rimediare? Quando si passa dai numeri all’analisi, si finisce nel terreno minato degli interessi politici. I conservatori usano queste statistiche per puntare il dito contro l’irresponsabilità di alcuni gruppi, come i neri e i poveri. Il problema però esiste, e ha varie radici. E’ vero che in alcuni gruppi etnici la paternità viene presa con più superficialità, mentre tra i poveri spesso manca l’istruzione per fare le scelte giuste. L’emergenza però esiste anche tra i bianchi, a conferma del fatto che c’è una generale fuga dai doveri legati al concepimento dei figli. In alcuni casi le madri ingannano i partner, che scappano perché non avevano mai programmato una famiglia, oppure fanno scelte ponderate usando tecniche di fecondazione artificiale e donazione del seme. La stragrande maggioranza, però, resta senza padre per la mancanza di responsabilità da parte di chi li ha messi al mondo. La dimostrazione, non scientifica ma preoccupante, sta nel sondaggio condotto in Gran Bretagna e pubblicato dal «Daily Telegraph».

Circa duemila famiglie si sono sottoposte alla ricerca, da cui è emerso che avere un papà è al decimo posto nella lista dei regali più desiderati dai bambini per Natale. Per chi è cresciuto in altri tempi, avere un genitore maschio era la norma: qualcuno pregava di ritrovarsi un po’ più libero dal controllo del padre. La situazione è cambiata, e alcuni bambini si sentono così soli da chiedere un papà nelle letterine a Babbo Natale. Qualunque sia il motivo, e qualunque la nostra posizione politica e sociale, è un’emergenza da affrontare.

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Luigi Corvaglia 7:26 am - 18th Gennaio:

Maledetto ….. mi ha fatto piangere. E ce ne vuole.
Certo, io mio padre ce l’ho ancora. Ma ha fatto riemergere il dolore per mia madre.
…………………………………………
Morte di mio padre

E’ un tonfo. Il vuoto risucchia. Il silenzio stordisce. Il display del cellulare è illuminato. Sono le 2 e 10 del 7 gennaio. “Corri, papà non respira. Corri”. Il volto terreo, gli occhi sgranati, i muscoli facciali tirati, balbetta. Il medico del “118” gli sistema l’ossigeno, l’infermiere riesce a fatica a prendere la vena. L’ago butterfly dosa il medicinale. Le gocce di speranza sono diluite in una soluzione fisiologica. “Lo stiamo stabilizzando. Occorre portarlo in ospedale, subito”. I minuti si rincorrono.
Pochi istanti e passa la vita di un uomo. Una persona onesta. Una persona perbene. Una persona che voleva vivere. Rubo pochi secondi e mi abbandono a ricordi accelerati, agitati, confusi, rassicuranti. E’ il torpore di un figlio che non deve avere paura. “Papà stai tranquillo: è l’influenza. Devono fare degli accertamenti”. Mento, è l’ennesima bugia. Lui lo sa. L’ambulanza sfreccia e giunge all’ospedale Vecchio Pellegrini, centro storico, Napoli. Arrivo qualche minuto dopo, percorro strade alternative per non finire nelle telecamere della Ztl anche di notte, anche con un’emergenza. Gli tengo la mano. La stringe. Lo sguardo è perso. La pressione scende a 20. L’ossigeno dalla maschera esce a getti. L’elettrocardiogramma sembra impazzito. Neppure una goccia di sangue per l’emocromo. “Che succede? Ditemi qualcosa”. “E’ grave. E’ un edema”. Lui, trova la forza e sussurra: “Due minuti, Liliana”. Esco. Chiamo mia madre. Ritorno. Blocco la barella. Il medico mi urla contro. Riesce a soffiargli un bacio e stringergli la mano. Quindici anni di fidanzamento, quarantaquattro di matrimonio. E’ la loro vita, è la nostra vita. Davanti all’unità di terapia intensiva coronarica ci siamo io e mia sorella. Immobili con i brividi e la voce tremante. Sentiamo il suo rantolo, i lamenti poi il silenzio. Il corridoio è deserto. Sono le 4 e 15. La guardia giurata, si avvicina, ci aiuta. Chiacchieriamo. E’ un altro dolore lontano, ci investe.
E’ figlio di un maresciallo dei carabinieri, medaglia d’oro al valore civile, ucciso negli anni ’70 a Palermo dal figlio di un mafioso latitante. Le nostre sono terre maledette, sfortunate. Mi trovo al Vecchio Pellegrini, un ospedale di frontiera. Ne ho visti di morti ammazzati, inutilmente soccorsi con i parenti inferociti che per reazione sfasciano suppellettili e vetrate. Non vola una mosca. I neon bianchi, accecano. C’è il cardiologo. Tiriamo il fiato. “La situazione sta precipitando, è critica. Non reagisce. E’ a rischio”. Lo trasferiscono al reparto di rianimazione: è intubato. Sono le 4 e 52. Mia madre si sorregge all’altra mia sorella. Non trovo lo spazio per fornirle una speranza. E’ disperata. Siamo disperati. Ci appollaiamo su di una panchina fuori la rianimazione. Il bollettino medico è fissato alle 13 e 30 mentre alle 18 e 30 possiamo vederlo da dietro un vetro. Non ha più un nome e un cognome: è il letto numero 7. “Abbiamo avviato tutte le manovre rianimatorie. I margini sono inesistenti. E’ un paziente gravato da una neoplasia in stato avanzato. Possiamo solo aspettare gli eventi”. E’ una sentenza senza appello.
Neppure una lacrima, solo rabbia e fiato che si spezza in gola. E’ una tragedia privata che in Campania e a Napoli ha le dimensioni di un’epidemia dai numeri raccapriccianti. Nessuno ne parla. Nessuno lo dice. Nessuno lo certifica. Almeno una famiglia su due ha un parente con un tumore. C’è ancora chi sostiene che non esiste una correlazione tra patologie, rifiuti tossici e inquinamento. Il corridoio della rianimazione è un limbo. C’è una madre che da venti giorni dorme su di una sedia. Sua figlia è attaccata alle macchine. Combatte tra la vita e la morte. Le bastano pochi minuti: la guarda e le fa un cenno. C’è una figlia che per la seconda volta vive lo stesso incubo: sua madre è di nuovo intubata. E’ grave ma stabile. C’è un uomo di mezza età con un infarto in corso. Sono storie che s’intrecciano. Drammi intimi che appartengono a tutti. C’è un’umanità vera e compassionevole che commuove. Incrocio lo sguardo delle mie sorelle. E’ terribile. Si aprono le porte, un letto esce con un corpo coperto da un lenzuolo verde. La sala mortuaria e a pochi metri. E’ panico. Sudore freddo. Paralisi. Si tratta, invece, di una signora: crisi cardiaca. Il nuovo bollettino non lascia scampo: “C’è un peggioramento. Presumibilmente non manca molto”.
Sono le 13 e 50 del 8 gennaio. Il mondo mi cade addosso. E’ la natura che lo impone: i figli devono seppellire i genitori non il contrario. Quante volte quell’ossessione mi ha inseguito. Un pensiero ricorrente e adolescenziale. Tuo padre, tua madre che muoiono. Adesso lo vivi e non sei affatto preparato. Inerme, disarmato, indifeso. Cerchi un appiglio. Un cazzo di gancio dove far oscillare un’anima in preda alla tempesta. Stringo i miei giornali. Ne compro quattro-cinque. Li accarezzo. Li abbraccio. Li sfioro. Sono la mia ancora. Fisso i titoli ma non li leggo. Guardo le firme in neretto: molti sono miei colleghi. Non sono solo. Li sento vicini, al mio fianco. Provo conforto. Il tonfo è alle 18 e 24. Un infermiere esce e ci chiama. Io e mia sorella rassicuriamo mia madre. La porta si richiude alle nostre spalle. “Vostro padre è in arresto cardiaco. I medici stanno attivando una serie di manovre. Ci aggiorniamo tra dieci minuti”. Resto un paio di minuti senza respirare. Fisso il muro. Cerco di far implodere il dolore. Sono le 19 e 43. Il rianimatore, il cardiologo e un anestesista ci chiamano. “Siamo dispiaciuti, il signor Eugenio ha smesso di vivere. Appena pronto transiterà nella sala mortuaria. La documentazione sarà a breve a vostra disposizione. Le nostre condoglianze sono sofferte e sincere”.
Appassionato di elettronica, radioamatore, nominativo I8cpe, membro dell’Ari, inventore di un sofisticato apparecchio dal nome “un secchio di energia” utilizzato nelle spedizioni in Africa, integerrimo funzionare del Comune di Napoli e falso contestatore del figlio giornalista: “Devi smetterla di rischiare la pelle, facci stare tranquilli, tanto non cambia nulla”. Per poi nel salutarti biascicare a denti stretti e con lo sguardo sbieco: “Quel pezzo mi ha emozionato. Bravo, vai avanti. Napoli è nostra, è degli onesti”. L’ho ascoltata per caso, all’inizio di dicembre direttamente dalla voce di Nino D’Angelo, s’intitola “O pate” è stata premonitrice: oggi te la dedico nel giorno del tuo 72esimo compleanno. Ciao Eugè!

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Luigi Corvaglia 12:10 pm - 19th Marzo:

19 marzo, non è più tempo di lavoretti per la festa del papà!

Mio commento:
Caro Corlazzoli
mi sa spiegare perché per voi politicamente corretti è sempre necessario sottrarre invece di aggiungere? Perché invece di togliere la festa del papa non aggiungete anche quella delle nuove figure?
Perché non arricchite invece di impoverire?

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Luigi Corvaglia 2:18 pm - 19th Marzo:

Oh … oh …. il Corlazzoli (la moderazione in ogni caso) si è inacidito…. https://www.uominibeta.org/wp-content/plugins/wp-monalisa/icons/wpml_negative.gif
Il commento precedente, abbastanza ecumenico anche se critico è passato. Questo , invece lo hanno cancellato.
Ne riporto anche il testo:
Però … però … vediamo dove: “Tutto nasce dalla decisione in un asilo del quartiere Africano di Roma dove le maestre …..
Dal seguente link: Roma, ha due mamme: niente festa del papà

Un bimbo non ha il padre in famiglia, ma ha due mamme: quella naturale e la sua compagna. Così per il 19 marzo, festa del papà, alla scuola materna Ugo Bartolomei di Roma, si stoppa ogni celebrazione, alimentando non poche polemiche. Due maestre, sentito anche il parere di una psicologa del Comune, propongono di intitolare le due feste, quella del papà e della mamma, non a figure genitoriali ma alla Famiglia nel suo insieme.
Tutto nasce, riporta il Messaggero, nel corso di un rituale incontro tra genitori e insegnanti, lo scorso 20 febbraio, con all’ordine del giorno la “discussione relativa al festeggiamento della ricorrenza del papà e della mamma”, nata proprio dalla situazione familiare di un bimbo.
Il consiglio di classe si spacca, tra chi vorrebbe annullare entrambe le ricorrenze e chi non ritiene giusto rinunciarvi. Alla fine si decide di lasciare inalterata la festa della mamma e di optare, il giorno di San Giuseppe, per organizzare una più generica festa della famiglia. Alcuni di loro scrivono una lettera di protesta, rivolgendosi anche al II Municipio e all’assessorato capitolino alla scuola.

Per cui caro Corlazzoli, non si tratta (fino a che la cosa è posta in questi termini) di venire incontro alle esigenze, sacrosante, di bambini che vivono realtà diverse da quella della famiglia “tradizionale”.
No. E’ ben altro.
E’ un atto simbolico, l’ultimo, contro la figura paterna.

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armando 3:49 pm - 19th Marzo:

Niente da fare, caro Luigi, non capiscono perchè non vogliono o, ancor peggio, perchè sono totalmente e integralmente stupidi e limitati intellettualmente, cresciuti a merendine mulino bianco e mainstream televisivo. Di quella TV berlusconiana a cui si imputano, a ragione, molte malefatte ma che se fosse stata sostituita da quella politicamente corretta e buonista sullo stile Fazio/Litizzetto, di malefatte ne avrebbe fatte ancor peggio sotto la patina di pseudo cultura di cui ama ammantarsi.
armandfo

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Rino 4:57 pm - 19th Marzo:

…aspettiamo di vedere cosa accadrà quando andrà all’asilo il figlio di una coppia gay… magari nella stessa scuola…
Cmq il trend è quello. Già sono state abolite in certe scuole le celebrazioni del Natale, “per non offendere i musulmani” (che peraltro non si sono mai offesi per questo né mai, che si sappia, hanno preteso un simile atto delirante).
Propongo direttamente di abolire ogni tradizione Cristiana e di abbattere campanili e chiese (comprese la Sistina e gli Scrovegni, oltre ovviamente a S. Pietro) per non offendere musulmani, buddhisti etc.
E per non provocare le sacrosante (!) ire degli atei.
.
Anch’essi devono essere rispettati.
O no?
.

rdv

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Fabrizio Marchi 7:28 pm - 19th Marzo:

Sono di ritorno da una bella iniziativa promossa dalla GESEF e da altre associazioni di padri separati per festeggiare la Festa del Papà che ricorre proprio oggi, 19 marzo.
Sono intervenuti Vincenzo Spavone, presidente della Gesef, Fabio Nestola (il promotore, insieme ad altri, di quella ricerca sulla violenza subita dagli uomini da parte delle donne (che abbiamo pubblicato sul sito), alcuni avvocati e avvocatesse, un consigliere comunale di Roma del PDL che ha messo a disposizione la sala commissioni del Consiglio, diversi padri, separati e non, e naturalmente anche il sottoscritto.
Un bel momento di solidarietà e condivisione.
E’ stata anche l’occasione per ragionare con Fabio e con Vincenzo su future iniziative comuni da tenere anche con gli amici e le amiche del Movimento Femminile per la Parità Genitoriale con cui sono anche personalmente in contatto da tempo e con cui stiamo irrobustendo sempre più il rapporto di collaborazione.
Pian piano, nel rispetto delle rispettive sensibilità ideali e culturali, stiamo costruendo un legame e un rapporto sempre più proficui e amichevoli. E sappiamo quanto le lacerazioni interne abbiano fatto del male al Momas.
Ogni cosa, evidentemente, ha bisogno dei suoi tempi.
p.s. non è mancata, peraltro, una stoccata polemica di Vincenzo nei confronti del sindaco Alemanno e dell’assessore alla famiglia del Comune di Roma, “colpevoli”, secondo lo stesso Vincenzo, di non aver prestato ascolto, come avrebbero dovuto, alle ragioni dei padri separati, e di aver privilegiato le politiche per le donne e le associazioni femministe (non è una novità…). Considerando che la sala era stata presa grazie alla mediazione di un consigliere del PDL che era presente e che sosteneva l’iniziativa, l’intervento di Vincenzo risulta ancora più apprezzabile.

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Rino DV 8:15 pm - 19th Marzo:

Fabrizio Marchi: Pian piano, nel rispetto delle rispettive sensibilità ideali e culturali, stiamo costruendo un legame e un rapporto sempre più proficui e amichevoli.

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Questo conforta davvero.
W ogni patto di unità d’azione.

rdv

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cesare 11:10 am - 20th Marzo:

Dal testo di Peguy si coglie un passaggio assai interessante e che riporto; una verità incontestabile e riscontrabile in tutta la stampa cattolica di questi decenni, da Famiglia Cristiana,fino all’Osservatore Romano, passando per Avvenire e la galassia delle edizioni cattoliche, nonchè nel comportamento pastorale dei preti:
“Così tutti lo (Il padre ndr) disprezzano; in sua presenza, tra di loro, lo schermi­scono; sordamente, involontariamente congiurano con­tro di lui. Più di tutti gli altri, lo disprezzano i preti. Perché hanno questo (di bello), quando si accaniscono su qualcuno, ci si riaccaniscono di preferenza. Prefe­renzialmente. E quello che chiamano la carità.”
E ancora sul trattamento riservato dai preti ai padri:
“Allora, rin­galluzzito, anche il prete ci calpesta sopra (il padre ndr). Clericus. Il sacerdote se ne accorge bene, un istinto di casta lo av­verte, uno degli avvertimenti, uno degli istinti più si­curi, uno degli istinti più infallibili, un segreto orgo­glio infallibile lo avverte che è lui il nemico, il più lontano, il più straniero, che l’uomo di famiglia, che il padre di famiglia è l’uomo più lontano dalla regola e dalla clericatura, l’uomo del mondo più coinvolto nel mondo, un istinto segreto lo avverte che lui è infinita­mente più vicino al pubblico peccatore; e reciproca­mente; che il tribuno, l’oratore, l’eloquente, l’uomo della tribuna è infinitamente più vicino all’uomo del pulpito, infinitamente più imparentato all’uomo del pulpito, che l’uomo del meeting, della pubblica riunio­ne è infinitamente più vicino all’uomo della predica e all’uomo del sermone; più pronto, per l’uno e per l’al­tro, sia per diventarlo, sia per subirne l’effetto, sia insie­me l’uno e l’altro, che sono dello stesso genere, che si passa comodamente e quasi continuamente dall’uno all’altro, che c’è tra loro un’intesa, interna, un accordo segreto, una somiglianza, almeno di modo, e in più che appartengono allo stesso mondo; e per la regola che il celibe, l’uomo libero, il non prigioniero, il non ostag­gio, lo slegato, il non legato, l’inlegato, il mai legato, lo scantonatore, il pié leggero, il corridore, il bombarolo, il festaiolo, l’uomo all’erta è infinitamente più vicino; e più pronto, più disponibile; che lui piace di più; che con lui ci si capirà meglio, ci si intenderà sempre. E poi è lui che è un personaggio gradevole. Il padre di fami­glia è un povero essere. Tirar su solo tre bambini, pensa un po’. Che grottesco, che ridicolo. Tutte le forze della società sono congiurate, si congiurano contro una cosa del genere. Ora, il sacerdote è una forza della società, fa parte delle forze della società. Allora tutti calpestano il padre di famiglia. Allora il sacerdote, ardi­to, lo calpesta. Non ha che indulgenza, e che indulgenze, per tutti gli altri. Si crede di solito che il celibe, l’uomo senza famiglia è un uomo di fortuna(e), un avven­turiero, che vive di avventure. Invece è l’uomo di fami­glia che è un avventuriero, che vive non solo alcune avventure, ma una sola, una grande, un’immensa, una totale avventura; l’avventura più terribile, la più costan­temente tragica; la cui vita stessa è un’avventura, il tes­suto stesso della vita, la trama e l’ordito, il pane quoti­diano. Ecco l’avventuriero, il vero, il reale avventuriero.”

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Luigi Corvaglia 1:51 pm - 20th Marzo:

Luigi Corvaglia: E’ un atto simbolico, l’ultimo, contro la figura paterna.

………………..
Come volevasi dimostrare.
Il 19 marzo è la festa delle famiglie diverse

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Rino DV 6:17 pm - 20th Marzo:

E questa è la “filosofa” Marzano, fiore all’occhiello della intelighesia italiana all’estero, ma cmq papabile come prossima ministra in patria.
Volevo dire in matria.
Rdv

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Luigi Corvaglia 7:17 pm - 20th Marzo:

Rino DV:
E questa è la “filosofa”Marzano, fiore all’occhiello della intelighesia italiana all’estero, ma cmq papabile come prossima ministra in patria.
Volevo dire in matria.
Rdv

……………………………
Rino
scusami se “oso” correggerti, ma la frase femminist-politically-correct suonerebbe cosi: “ma cmq mammabile come prossima ministra in matria“. https://www.uominibeta.org/wp-content/plugins/wp-monalisa/icons/wpml_mail.gif

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Rino DV 8:34 pm - 20th Marzo:

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Rin

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Fabrizio Marchi 9:29 pm - 20th Marzo:

Coerenza vorrebbe che si abolisse anche la festa della mamma, dal momento che ci sono nuclei familiari dove la madre, per le ragioni più disparate (anche giustificate, come ad esempio per morte naturale), è assente. Di conseguenza un bambino che non avesse la madre, potrebbe soffrirne.
Siamo al delirio…

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Roberto Micarelli 3:10 am - 21st Marzo:

Il principio di uguaglianza usato per distruggere la festa del papà. Il principio di uguaglianza usato per distruggere la festa di san valentino. Il principio di uguaglianza usato per distruggere la Siria.
Le lotte civili istituzionali ingolfano e tolgono respiro alle lotte per i diritti dal basso, l’ideale sesso-razzista di stato sostiene che il maschile meno è presente e meglio è, e che la sua eradicazione simbolica e fattuale dalla società coincide con l’eradicazione del male. La dinamica è identica alla ragione della razza, come strumento di adesione di massa, che infine va fuori controllo e supera per zelo le stesse finalità di potere. Le autorità complici e silenti sfilano con l’aureola in bocca alla corte di Francesco, si vantano di avere in giunta la scrittrice anti-Papa, e nel loro riformismo mai specificato, cercano a tutti i costi di essere moderne come ONU prescrive. Noi cittadini eleggiamo rappresentanti e leggiamo giornali. che prendono ordini da poteri non eletti. Una farsa democratica.

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Luigi Corvaglia 6:26 pm - 24th Marzo:

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Luigi Corvaglia 10:23 pm - 5th Maggio:

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Luigi Corvaglia 7:40 am - 4th Settembre:

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giovanni carducci 12:15 pm - 4th Settembre:
Pappagallus lapidarius 1:18 pm - 4th Settembre:

Bello. Utile. Una sola nota:
“E’ passato il tempo del padre-padrone e del padre-eroe”.
Se la storia e`fatta anche di statistiche, come e`,
Il padre padrone non e`mai veramente esistito.
E il padre eroe non e`mai sparito.
E mai sparira`.

Luigi Corvaglia
giovanni carducci: https://www.uominibeta.org/wp-content/plugins/wp-monalisa/icons/wpml_good.gif

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Luigi Corvaglia 9:33 am - 10th Ottobre:

Cercano tutte/i di cancellarlo.
Alcune volte, questa volta, è lui a volersi cancellare.
Ma se una lezione si trae da questa triste, tristissima storia è proprio quella che dà il titolo a questo topic: “L’importanza del padre“.
**********
Cagliari, ammazza il padre che lo aveva abbandonato: “Mi ha fatto vivere da bastardo”
Gli ha dato il suo cognome solo dopo sei anni dalla nascita e non lo ha mai aiutato. Un omicidio frutto dell’odio accumulato durante una vita difficile.
…….
Il movente è tutto qui: «Mi ha fatto vivere da bastardo e io da bastardo mi sono comportato». Roberto Meloni confessa quasi subito di fronte ai carabinieri di Cagliari: ha ucciso il padre perché non lo hai mai trattato come un figlio, perché non lo ha mai fatto sentire amato, non lo ha mai aiutato e anzi ha cercato in ogni modo di dimenticarselo. Non lo voleva neppure accettare, in realtà, e infatti gli ha dato il suo cognome soltanto dopo sei anni dalla nascita. E ieri sera, accecato dall’alcol e dall’ennesimo attacco d’odio, Roberto Meloni si è presentato all’agenzia di scommesse dove il padre lavorava, in via Anglona nel quartiere Is Mirrionis, e ha esploso tre colpi in successione. Ercole Meloni, ex macellaio di 72 anni, è morto subito, raggiunto da un proiettile al collo, ma il figlio non si è arreso: quando era già steso a terra gli ha sparato al petto per altre due volte. Un doppio colpo di grazia che dimostra tutto l’odio accumulato in quarantott’anni di vita difficile.
I carabinieri del comando provinciale di Cagliari, guidati dal tenente colonnello Alfredo Saviano e dal capitano Michele Cappa, hanno sospettato quasi subito che il killer dell’agenzia di scommesse potesse essere il figlio della vittima. Lo hanno trovato a casa e lo hanno messo subito alle strette. La confessione è arrivata poco dopo, ma ancor prima i militari del Nucleo investigativo hanno recuperato la pistola usata per l’omicidio: una 7,65 che Roberto Meloni aveva già nascosto sotto il letto.
A quel punto è scattato l’arresto e in caserma il falegname quarantottenne ha raccontato agli investigatori da quanto tempo coltivava l’idea di far fuoro il padre che non gli aveva mai voluto bene: «Mi ha abbandonato e mi ha fatto vivere un inferno». La vita di Roberto Meloni, secondo la ricostruzione dei carabinieri, non è stata né facile né fortunata: un lavoro incerto, portafogli sempre mezzo vuoto e neppure una casa. Ora viveva con la madre, rimasta vedova da poco, che condivideva con lui i pochi soldi della pensione. Ercole Meloni, dopo la nascita di quel bambino che non voleva riconoscere, si era fatto un’altra vita: si era sposato e aveva avuto altri due figli. Da tempo aveva chiuso la macelleria e ora gestiva l’agenzia di scommesse.

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