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04 Mar 2024  |  0 Commenti

Come il femminismo neoliberale è al servizio della diseguaglianza sociale

La “questione di genere” al centro del femminismo neoliberale costituisce lo strumento cardine al servizio delle rimozione della questione sociale. L’’ideologia dominante, neoliberale, mercantilistica e politicamente corretta ha come obiettivo la de-conflittualizzazione della società. In altre parole, le lotte sociali devono essere addormentate. Deve anzitutto subentrare uno stato di inerzia, rafforzato dalla convinzione di fondo che una vera alternativa non sia possibile. Il Mercato diventa l’unica vera religione nella quale si dissolve la dimensione collettiva dei problemi sostituita dal miraggio dell’illimitata espansione individualistico-narcisistica. Il capitalismo digitale mette a disposizione nuovi e inediti strumenti per il raggiungimento dello scopo. Il nuovo ordine digitale ha consentito una profonda ristrutturazione del capitalismo finanziario capace di prolungare l’illusione mercatista proprio nel momento in cui quella promessa entrava in crisi.  Si enfatizzano i diritti individuali neoliberali, usati per annichilire quelli sociali. Non mi sembra nemmeno opportuno, in questo quadro, di parlare di diritti civili. I diritti individuali neoliberali sono molto meno dei diritti civili perché questi ultimi, quando sono intesi correttamente, hanno sempre fondamentali ricadute sociali. Martin Luther King faceva lotta di classe, mica per la schwa.

La “questione di genere” si inserisce in modo perfettamente funzionale in questo quadro. Le istanze di uguaglianza devono essere interamente assorbite all’interno della questione di genere. Così nell’epoca che vede, nell’occidente asservito alla tecno-finanza, generalizzarsi il precariato, radicarsi nuove povertà, allargarsi la forbice tra ricchi e poveri, aumentare il club dei super-ricchi, la grande e ineludibile battaglia diventa la schwa. Aver sostituito il problema della distribuzione della ricchezza con quello della distribuzione degli asterischi merita senza alcun dubbio di essere definito un “capolavoro delle classi dominanti”. La sinistra di sistema (in Italia il PD con cespugli e cespuglietti, che gli coprono il fianco tanto a sinistra che a destra) si è completamente sdraiata sull’ideologia politicamente corretta che deve liquidare la questione sociale, proiettando la domanda di uguaglianza tutta sulla “questione di genere”. In questo modo arriviamo a toccare il nodo fondamentale dell’organicità di questa ideologia, divenuta peraltro estremamente pervasiva e capace di manipolare e di indottrinare grazie ai mezzi dell’intelligenza artificiale e del capitalismo digitale. Adottando, dunque, una impostazione interclassista all’ennesima potenza, coerente con il terreno ideologico dell’individualismo competitivo, la linea di divisione non è più nemmeno lontanamente quella della classe, bensì del genere. La nuova linea del fronte della battaglia di civiltà in corso, rispetto alla quale non si può non stare o di qua, o di là.. I problemi divengono essenzialmente culturali e di mentalità, solo in subordine economici e mai di classe. All’apice dell’efficacia dell’ideologia mercantilistica, il culmine della disumanizzazione, dell’individualismo monadistico e narcisistico nonché della mercificazione dell’uomo, conseguito dal capitalismo digitale, viene spacciato per emancipazione.  Si deve costruire l’effetto illusionistico per cui Chiara Ferragni e la precaria a quattrocento euro al mese stanno dalla stessa parte della barricata, perché la prima costituisce il modello di emancipazione della seconda. Insieme sulla stessa linea del fronte contro il maschio oppressore. Che poi a un certo punto si sbricioli il castello delle menzogne e dell’ipocrisia che nascondevano non certo una causa universale ma interessi personali e di accumulo capitalistico perseguito con ben pochi crucci sulle modalità, questo ovviamente non importa e non cambia nulla. Morta una influecer se ne farà un’altra.  Per ottenere il risultato di costruire la linea di divisione immaginaria che deve sostituire quella delle divisioni sociali, si dà libero corso alla misandria, che viene non soltanto tollerata, ma a tutti i livelli incoraggiata. Nel discorso pubblico può addirittura affiorare, come se nulla fosse, l’idea che il maschio abbia bisogno di essere “rieducato”. Il terreno è stato preparato con tale cura che una simile tesi, a dir poco generalista, sessista e violenta può essere avanzata come sostanzialmente giustificata.

Per perpetuare il sistema di potere si guarda volentieri alla destra palese come spauracchio buono per la sopravvivenza del PD e del suo gruppo dirigente, ma il problema nasce dal campo progressista e dal connesso progetto di marginalizzazione della sinistra d’alternativa. Proprio l’ideologia mercantile che si alimenta delle strutture discorsive del politicamente corretto ha effetti non soltanto oppiacei ma anche fascistizzanti di vasta portata perché produce conformismo, indottrinamento, occultamento della conflittualità sociale e capacità di disinnescare le lotte sociali. E, quindi, in definitiva, non più, bensì meno uguaglianza.  Divide et impera: oggi come ieri, ma oggi con strumenti di efficacia senza precedenti. L’esito concreto della cosiddetta “questione di genere” è dunque la guerra tra i sessi, cioè una guerra tra subalterni scatenata dalle élite. Il femminismo neoliberale non nasce dal basso ma dall’alto. Una parte dei subalterni si illude così di riconquistare finalmente spazi e crede di farlo contro altri subalterni rappresentati come oppressori. Purtroppo non sono altro che spazi elargiti dal potere e riempiti secondo la sua agenda.


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