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13 Feb 2018  |  26 Commenti

La società “liquida” e iper-permissiva è nemica dell’uomo

Riceviamo e volentieri pubblichiamo:

 

Un requisito fondamentale per migliorare la condizione maschile è  mettere in discussione alcuni assunti della società “liquida” dei consumi di cose e persone.

La guerra all’uomo iniziata col femminismo che si illude di aver coscienza politica, è in realtà funzionale alla disarticolazione di strutture sociali e istituzionali, che costituiscono un freno alla riduzione dell’essere umano a mero consumatore.

L’estremo permissivismo (inclusi i noti privilegi antimaschili che derivano da mantenimento e false accuse) è nemico di un ordine sociale stabile che in cui l’uomo ha sempre un ruolo significativo e fondante.

L’uomo è il creatore della civiltà, il codificatore naturale delle leggi e dei riti. In tal senso ogni consesso umano dotato di struttura e significato è “patriarcale” (ubi societas ibi ius: dov’è c’è una società c’è una legge).

In una società destrutturata, liquida, il cui unico elemento costitutivo è un consumismo femmineo basato sul capriccio (la soddisfazione immediata di desideri di cose e persone), l’uomo è un pesce fuor d’acqua, un alieno. Esiste solo in quanto consumatore e schiavo. Non ha la minima possibilità di vedere ascoltate, tantomeno soddisfatte, le sue rivendicazioni.

L’errore fondamentale di molti movimenti di opinione maschili è di credere di poter combattere il femminismo continuandone ad accettare l’assunto di base: la disarticolazione dei rapporti familiari in favore di legami effimeri basati sulla mera convenienza individuale. Un progetto comune con fondamentali implicazioni sociali (prole) superiori all’individuo e alla coppia, viene sostituito da relazioni autistiche e spesso sterili.

C’è persino chi, non sempre in buona fede, pretende di migliorare la condizione maschile immettendo nelle coscienze più individualismo, più edonismo (per chi può permetterselo) e relazioni ancora più strumentali ed effimere. Illudendo così di combattere il sistema quando invece lo rafforza.

Molto si discute su tali questioni ma c’è un modo semplice per prendere atto della situazione ed elaborare una strategia comune: osservare l’impalcatura ideologica e soprattutto gli effetti nefasti del femminismo, che vanno contrastati nel loro insieme, non solo quelli che ci riguardano individualmente.

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Foto: Sociologicamente (da Google)

 

 


26 Commenti

Claudio Manzari 11:05 pm - 14th Febbraio:

L’errore fondamentale di molti movimenti di opinione maschili è di credere di poter combattere il femminismo continuandone ad accettare l’assunto di base: la disarticolazione dei rapporti familiari in favore di legami effimeri basati sulla mera convenienza individuale. Un progetto comune con fondamentali implicazioni sociali (prole) superiori all’individuo e alla coppia, viene sostituito da relazioni autistiche e spesso sterili.
C’è persino chi […] pretende di migliorare la condizione maschile immettendo nelle coscienze più individualismo, più edonismo […] e relazioni ancora più strumentali ed effimere.

…Repetita juvant… E’ ciò che andiamo ripetendo – Armando (marginalmente io) ed altri – da tempo, ma il concetto (qui molto ben espresso) sembra cadere in un contesto un po’ scettico: come quando si ascolta un vecchio trombone … e la tentazione è di circoscriverlo nell'”ala tradizionalista” del movimento…
E’ invece coglie non solo la teoria, ma anche la prassi politica: se il confronto dialettico viene portato sullo stesso terreno dell’effimera libertà autoreferenziale femminile, si perde ogni credibilità. Al contempo, ben sappiamo come il praticare il principio maschile – Famiglia, votata all’interesse collettivo, come antidoto all’individualismo – concretizzi oggi il rischio di finire inutilmente rovinati come singoli. Per questo abbiamo spesso parlato di “generazione sacrificale”.
Nondimeno, i comportamenti tenuti da ciascuno di noi nel mondo reale e quotidiano, contano, eccome.

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ARMANDO 5:27 pm - 15th Febbraio:

Articolo chiaro e pregevole, che condivido. Mi viene da parafrase quanto Von Clausevitz scriveva sulla guerra da non lasciare ai generali, dicendo che la sessualità è cosa troppo importante per lasciarla puramente e semplicemente ai “praticanti”. Mi spiego meglio per allontanare l’accusa di essere un oscurantista reazionario, cosa del resto smentita dalla mia vita. Occorre distinguere fra la pratrica della sessualità fra adulti consenzianti, che deve essere libera, e l’interesse sociale alla sessualità, interesse dato dal fatto inoppugnabile che da essa dipende il succedersi delle generazioni, nonchè la coesione sociale e familiare che sono a fondamento di qualsiasi raggruppamento umano. Sempre, ogni società, ha proposto regole e norme entro le quali incanalare la sessualità o meglio i suoi effetti, allo scopo di prevenire la dissoluzione sociale. Per esempio, anche nell’antichità classica, in cui notoriamente l’omosessualità era pratricata con frequenza e socialmente accettata, esistevano norme che regolavano la famiglia e il succedersi delle generazioni. Non solo, perchè a) Nessuno si sarebbe mai sognato di sancire giuridicamente il rapporto omosessuale e b) si interveniva normativamente sulle pratriche omosessuali quando la loro eccessiva diffusione rischiava di mettere a rischio il “normale” ricambio generazionale. Esisteva quindi una ben precisa distinzione fra interesse sociale e libertà individuale. Che poi quelle norme fossero frutto di una elaborazione filosofica comunitaria, oppure avessero un’origine religiosa, non cambia la sostanza del problema. Significa semplicemente che a)Le religioni, e quindi anche le Chiese, non usurpano nulla quando proprongono le loro concezioni in tema di sesso (condivisibili o meno), ma fanno il loro mestiere. Ricordo infatti che l’essenza del fenomeno religioso è essenza comuinitaria, si creda o meno in Dio. b) Significa in primo luogo che non può non esistere una concezione antropologica condivisa e collettivamente elaborata, quindi comune a maschi e femmine, come ricordava sempre un uomo di sinistra qual’era Pietro Barcellona.Ne discende che la sessualità è un tema comunitario e non solo individuale, la qual concezione (che sta prevalendo) corrisponde filosoficamente e antropologicamente alla concezione dell’individuo come atomo preesistente alla comunità in cui è nato e inserito. Ma questa è esattamente la concezione individualistica borghese, ossia quella del capitalismo trionfante. Molto opportunamente l’articolo ricorda che l’uomo maschio è il costruttore di civiltà e il portatore della norma. Ciò significa una cosa sola: è grazie all’uomo maschio che la cultura ha emancipato (o tentato di farlo) il genere umano da una condizione puramente naturalistica. In questo processo, naturalmente, ci sono anche aspetti fortemente problematici e negativi, come il consumarsi della frattura irreversibile con la natura e la costruzione di un mondo puramente artificiale, come se la cultura si fosse spinta troppo oltre, diciamo. Rimane però il fatto che, come ebbe a scrivere l’insospettabile Umberto Galimberti, il terreno privilegiato del maschio è la “storia”, ovvero la cultura, mentre quello della femmina è la “natura”. Da quì la giusta osservazione che in una società fondata sulla soddisfazione immediata ed istantanea di ogni desiderio elevato a diritto (anch’esso un preciso carattere del capitalismo globalizzato postborghese e postproletario), il maschio è un pesce fuor d’acqua, destinato ad essere subordinato alla femmina (se non sempre sociologisticamente, sicuramente psichicamente). Così fu, secondo Bachofen ad esempio, all’epoca che lui definisce dell’eterismo, ossia del sesso libero e sregolato, poi superato (è sempre lui ad affermarlo) prima dal demetrismo e poi dall’epoca “patriarcale” ossia dall’affermarsi del principio spirituale maschile (su questo ho scritto un articolo per L’interferenza). Si può essere o meno d’accordo con la sequenza storica ma non si può negare che in una società in cui il padre di un bambino potrebbe essere chiunque, diventa inevitabilmente una “società senza padre”, con le ovvie conseguenze sui bambini maschi in particolare, ma sulla psiche maschile in generale, inevitabilmente portata a sentirsi subordinata.
Il paradosso è che il così detto progresso tecnologico ci riporta ancora più indietro dell’indietro, per così dire; ossia oltre l’umano. Il femminismo ha accettato con entusiasmo le tecniche di fecondazione artificiale (inventate come sempre da maschi il che fa pensare ad un masochisno maschile inconscio) suscettibili di eliminare il maschio/padre dalla scena della procreazione e liberare la donna/madre/femmina da quella che è considerata una dipendenza odiosa dal maschile. La donna può finalmente essere libera di avere figli senza l’ingombrante presenza maschile e paterna. Vittoria autentica, ci si fosse fermati quì. Infatti una società senza padre è inevitabilmente a carattere matriarcale, prima o poi anche in senso sociologico e non solo psichico. Da quì la debolezza e la ceicità di quelle concezioni maschili che, in nome del principio del piacere fine a se stesso e della “libertà” soggettiva, non sanno vederne le conseguenze catastrofiche. Dicevo però che quella vittoria femminile non è in realtà autentica,ma di Pirro, perchè non ci si è fermati a quelle “conquiste”. Ne è prova quanto accaduto con la gestazione per altri. Accettata anch’essa con entusiasmo (ipocrita, ovviamente, perchè inneggiante al dono quandi si tratta invece di compravendita) è stata invece contrastata con la massima forza da alri settori del femminismo, più “avvertiti”, che hanno visto in quelle pratiche la sconfitta del materno. Il che è vero, ma è solo la conseguenza ultima (o penultima in attesa della clonazione), del processo iniziato con la marginalizzazione del maschio/padre, che le stesse approvavano senza se e senza ma, le sciocche! Quindi, per concludere, la società liquida che ha “liquidato” il maschio /padre e la sua legge, liquida poi, inevitabilmente, anche la femmina/madre. Non so come se ne possa uscire in concreto, ma per me è certo che, sul piano generale a)è illusorio credere che la vendetta postuma della tecnica che liquidi anche la madre, possa giovare davvero ai maschi, se non su un piano superficiale e apparente, b) non esiste salvezza, neanche per le donne, se il maschio padre non riconquista prima di tutto se stesso con le sue antiche e dimenticate “virtus” e poi un ruolo significativo nella comunità, ben oltre le sciocchezze della politica politicante che altro non è che gestione del capitalismo, bensì nella procreazione, nella famiglia, nell’educazione dei figli, in termini semplici nell’assunzione di responsabilità, con gli oneri ma anche gli onori che ciò significa.

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Luigi Corvaglia 6:59 pm - 15th Febbraio:

ARMANDO,
L’idea che mi sono fatto è che la nostra società (occidentale ma anche la Cina ad es.) stia correndo in un unica direzione. La sottrazione della procreazione dall’ambito personale (influenzata da una miriade di fattori ma pur sempre facente capo ad un singolo uomo ed a una singola donna) e il suo inserimento in un ambito di “riproduzione industriale”. Ove tutto sia ottimizzato (eugenetica) e pianificato ma, soprattutto, strappato alla libera determinazione degli individui. Un processo industriale come un altro insomma. Con tutti i suoi derivati in termini di reificazione e mercificazione.
Per l’uomo hai già detto. Ma adesso è il turno della donna. Non saprei spiegarmi in altro modo, ma tutta una serie di notizie, ricerche e sperimentazioni tipo queste:
Un ciclo mestruale in provetta
Creato l’utero artificiale per i nati prematuri
Primi ovociti umani coltivati in laboratorio: si apre una nuova era per …
La fine del sesso
non fanno altro che rinforzare questo mio convincimento.

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ARMANDO 9:14 pm - 15th Febbraio:

credo anche io sia così. la vita perde ogni connotazione naturale x diventate una produzione artifiale, quindi una merce. Poco importa se manovrata da uno stato o da una multinazionale privata. il che induce a riflettere sulla Potenza del capitale. Tutto ciò oltre le questioni geopolitiche, pure importanti ma che, se non supportate da concezioni antropologiche forti, rimangono nell’ambito di uno scontro interno agli stessi processi

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Massimo Sommariva 3:13 am - 16th Febbraio:

Grazie a tutti per i pregevoli commenti, che aggiungono ottimi spunti di riflessione.
Identificare il progresso con prassi che portano allo sfilacciamento dei rapporti familiari è sociali è il sintomo di una società decadente (cioè in regresso), oltre che del nichilismo qualunquista del liberismo globale.
Da decenni ormai il capitale multinazionale si è impadronito del discorso della sinistra onde pervenire più facilmente alla mercificazione dell’essere umano.
Come è stato giustamente osservato, il prossimo passo è la riproduzione artificiale (anche questa considerata ingenuamente liberatoria dell’uomo in diversi movimenti maschili).
Si arriverà poi alla completa sostituzione dell’essere umano con la macchina. Essendo l’uomo (a partire dal maschio) superfluo, lo Stato non lo istruisce più, né lo mantiene più in vita.
La vera distinzione (all’interno della sinistra e altrove), è tra chi persegue (come il femminismo) l’estinzione dell’umanità e chi la sua sopravvivenza nel quadro di una società sostenibile.

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Rino DV 6:09 pm - 16th Febbraio:

Ottimo articolo e ottimi commenti.
Gli scenari esaminati sono un prodotto della Tecnica.
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Ne approfitto quindi per portare un po’ d’acqua alla mia tesi, in chiaro odore di eresia: la Tecnica è la dinamica fondamentale, l’ossatura della storia della modernità. Il suo motore.
Oggi nella sola veste del capitalismo, vista la sconfitta del comunismo avvenuta a sua volta sul piano della Tecnica (insostenibilità del confronto tecnico).
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La Tecnica non è al servizio del capitalismo. Al contrario.
Fermate gli elettroni, sterilizzate la forza motrice del calore e vedrete che fine farà il capitalismo.
(E che fine farà il femminismo).
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L’emblema del capitalismo non fu il dollaro, fu la macchina a vapore. Intuizione perfetta.
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La Tecnica fagociterà il capitalismo.
Se ne intravedono i primi segnali.
I prodromi.

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Claudio Manzari 7:31 pm - 16th Febbraio:

…Fra l’altro, la questione della prospettiva individualista-autoreferenziale o comunitaria, presenta un risvolto che, a prima vista, appare “non ontologico” per la QM, ma invece condiziona eccome l’esistenza dell’individuo: la propria collocazione nel mondo del lavoro.
Data per scontata l’impostazione liberal-capitalistica del mercato del lavoro – volto non certo a valorizzare i talenti individuali a vantaggio della collettività, ma a sfruttare il lavoratore nella misura in cui possa accrescere il profitto di chi lo impiega (o essere funzionale alla conservazione del potere, nel caso di enti pubblici) – assistiamo ad una crescente aspettativa/rivendicazione (accompagnata da altrettanta frustrazione) da parte dei giovani che si affacciano al mondo del lavoro (o, in una fase più precoce, orientano i propri studi) secondo cui il mercato dovrebbe essere disponibile ad assorbire (e pagare!) il tipo di vocazione-offerta individuale, in modo avulso dall’effettività “collocabilità” di quel prodotto immateriale: cioè, a prescindere dal fatto che ci siano o meno altri individui della comunità disposti a spendere per comprare quell’offerta-vocazione.
Finora, eravamo abituati a questo genere di pretesa da parte dell’offerta di lavoro femminile: laddove il lavoro, lungi dall’essere inteso come utile alla società, doveva essere “appagante, realizzante” per colei che lo compiva; il che, come ben sappiamo, sottintendeva l’indisponibilità al sacrificio, e cioè: “lavoro se mi gratifica, altrimenti un’alternativa all’autosostentamento la trovo…”. Insomma: lavoro come diritto, non certo come obbligo.
Ma negli ultimi anni, questo atteggiamento mentale si sta estendendo anche ai giovani uomini. Qui non si sta evocando una pianificazione della produzione di stampo sovietico; ma, realisticamente, una mediazione fra la vocazione individuale e le esigenze del mercato la si deve pur trovare…
Quindi, più che un’ipotesi di analisi, è quasi una certezza che siamo di fronte ad una concezione esistenziale fortemente individualistica anche in campo maschile…

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MaIn 2:28 pm - 17th Febbraio:

Mi permetto di dissentire sulla impostazione. Nell’articolo pare che vi sia un “principio maschile” immutabile ed eterno a cui debbano rifarsi gli uomini. Da qui la deduzione che il maschile coincida con il collettivo e con la regola. Mentre il femminile sia individualismo ed effimero. Personalmente, pur avendo anche io una declinazione del maschile/femminile, non lo declino come collettivo/autoreferenziale. Una madre è autoreferenziale quando preferisce il figlio a se stessa? La tendenza femminile al clan familiare è referenziale? Preferire quindi declinarlo come idea/sentire. O trovate termini più consoni. Ma non è questo tanto il problema. Il problema è identificare un archetipo. Questo comporta due cose: 1) che gli uomini (i singoli uomini) che non sono coerenti con quel sistema verranno schiacciati. Sappiamo quanto la società sia più dura con gli uomini che con le donne; 2) il ricadere in una logica “destrorsa” dove esiste un ordine del mondo e questo va imposto su tutto. Perosnalmente non credo sia così e il maschile è la somma di tutti gli uomini presenti sul pianeta. Un maschile che procede dalla realtà all’ideale e non viceversa è quello che credo si debba difendere. Esplicitato i punti di dissenso, credo anche io si debba ripristinare il senso della collettività, dell’austerità(brutta parola di questo periodo) come parte legittima delle persone (e gli uomini saranno sicuramente i più a sentirne bisogno) e utile alla società che non può vivere sull’effimero momentaneo. Da qui si dovrebbe poi proseguire nel pensare strutture politiche (lo Stato?) che pensa anche al futuro e non si limita solo a fare da arbitro (corrotto) dei rapporti di forza vigenti ma si andrebbe OT rispetto alla questione maschile

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ARMANDO 4:22 pm - 17th Febbraio:

Rino DV,

Annosa e di difficile soluzione la questione se la tecnica è al servizio del capitalismo o viceversa. Cominciamo intento, però, a dire una cosa: pensare il capitalismo al modo di cento anni orsono non ce ne fa vedere l’evoluzione. Non esiste più il padrone delle ferriere, e neanche la vecchia borghesia come classe “agente” del capitale (del resto non esiste più neanche il proletariato in senso classico). Tuttavia il capitale esiste eccome, se per esso si intende un processo economico e culturale in forza del quale ormai tutta la vita, dal concepimento alla morte, e tutti gli individui in ogni loro attività quotidiana, esistono in funzione della sua valorizzazione (del capitale, intendo). Di più, ogni individuo è portato ormai a pensarzi come una particella di capitale col dovere di valorizzare se stesso. Se il capitale è questo, ossia un processo impersonale che sovrasta e indirizza la vita materiale e spirituale di tutti, ne discende che la Tecnica non si sviluppa in modo totalmente autonomo. Certo, come dice Ellul, tende a crescere su se stessa, ma ad esempio: chi decide la direzione con cui svilupparla, e i suoi scopi? E chi decide quando e dove mettere in atto le sue potenzialità, e con quali criteri? E prima ancora, chi decida su quali campi indirizzare la ricerca scientifica di base che è sempre il fondamento da cui le tecniche si sviluppano? Chi controlla tutto questo? Non di certo il popolo, come nemmeno il vecchio imprenditore. Per questo credo che tecnica e capitale siano legati strettamente in un rapporto di corrispondenza biunivoca. La tecnica andrà oltre il capitalismo vecchia maniera, ma non andrà oltre il capitale (nel senso che dicevo), se gli esseri umani non se ne tireranno fuori, iniziando a rifiutare di sentirsi particelle di capitale, inziando a rendersi conto anche di quanto la tecnica condizioni il loro modo di pensare e di essere (nel medium il messaggio, diceva Mc Luhan). Forse è impossibile, forse è già troppo tardi (ma perchè in tal casio non ce ne siamo accorti prima?), ma altrimenti l’unica possibilità sarebbe quelle di accelerare al massimo la tecnica per vedere cosa succede e quale direzione prenderà l’umanità. E’ mutatis mutandis, la stessa questione che si pone per i così detti accelerazionisti (Toni Negri, ad esempio), per i quali l’espansione planetaria e tiotale del capitalismo (dell’Impero, dice lui), è l’unica condizione per uscirne perchè creerebbe le condizioni per il suo superamento o la sua sconfitta attraverso la ribellione delle moltitudoni (o, per altri, anche l’autodissoluzione in forza delle sue stesse leggi interne di funzionamento). Sarà, ma personalmente non ci credo. Credo invece che, se non altro per sopravvivere personalmente, si debba fare tutto quanto in nostro potere per frenare, ostacolare il processo di dissoluzione dell’umanità, (e il sorgerne di un’altra, di altro tipo) che è l’esito ineluttabile del connubio capitale/tecnics.

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Claudio Manzari 5:24 pm - 18th Febbraio:

MaIn,
…Opinione intrigante ed espressa in modo molto articolato…
Lascio volentieri ad altri il compito di analizzarla, ma, intanto, accenno (in modo vago e incompleto) il primo dubbio che mi si affaccia alla mente.
Per l’individuo, il declinare la propria maschilità in una chiave “eterodossa”, “non-normativa”, è un’opzione praticabile a prescindere da qualunque contesto social-collettivo, o è un qualcosa che – per potersi esplicare (cioè: per poterselo permettere) – abbisogna di un “contesto protettivo”, cioè che, per certi versi, si faccia carico di vicariare in un certo qual senso tutelante e garantista?..
Insomma [passatemi la banalità e grossolanità]: la scelta individuale di trasgredire la norma “culturalmente condivisa” (o “imposta”, se preferite), è una scelta davvero assertiva della libertà individuale in rapporto al collettivo, o, al contrario, presuppone che vi sia una maggioranza della collettività disciplinata su “condotte tradizionali” che assicurino il mantenimento di un ordine/armonia sociale?..

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Renzoni 11:38 am - 19th Febbraio:

Condivido l’intervento.
Mi ha fatto ragionare su una particolare delucidazione data,l’idea di associale il femminile a cioò che è individuale/effimero.
Idea che anche io trovo sbagliata perchè credo che questo sistema spinga la donna ad una sorta di collettivismo ed orgoglio di categoria mentre gli uomini sembrano essere diventati individualisti per via di una società che sembra quasi attribuire un valore intrinseco ad una categoria da un lato e da un altro lato,ignorarne completamente un’altra categoria.

Da persona gnorante qualsono,vivo con la costante sensazione che la mia dignità di essere umano di sesso maschile valga meno di quella femminile,altro che parità!

Riguardo all’ordine imposto,sono d’accordo,non porterebbe ad una vera parità ma alimenterebbe un continuo conflitto.
Lo considero una sorta di automa funzionale di un sistema che odia il genere umano.

MaIn:
Mi permetto di dissentire sulla impostazione.Nell’articolo pare che vi sia un “principio maschile” immutabile ed eterno a cui debbano rifarsi gli uomini. Da qui la deduzione che il maschile coincida con il collettivo e con la regola.Mentre il femminile sia individualismo ed effimero. Personalmente, pur avendo anche io una declinazione del maschile/femminile, non lo declino come collettivo/autoreferenziale. Una madre è autoreferenziale quando preferisce il figlio a se stessa?La tendenza femminile al clan familiare è referenziale? Preferire quindi declinarlo come idea/sentire.O trovate termini più consoni. Ma non è questo tanto il problema. Il problema è identificare un archetipo. Questo comporta due cose:1)che gli uomini (i singoli uomini) che non sono coerenti con quel sistema verranno schiacciati. Sappiamo quanto la società sia più dura con gli uomini che con le donne; 2) il ricadere in una logica “destrorsa” dove esiste un ordine del mondo e questo va imposto su tutto. Perosnalmente non credo sia così e il maschile è la somma di tutti gli uomini presenti sul pianeta. Un maschile che procede dalla realtà all’ideale e non viceversa è quello che credo si debba difendere. Esplicitato i punti di dissenso, credo anche io si debba ripristinare il senso della collettività, dell’austerità(brutta parola di questo periodo) come parte legittima delle persone (e gli uomini saranno sicuramente i più a sentirne bisogno) e utile alla società che non può vivere sull’effimero momentaneo. Da qui si dovrebbe poi proseguire nel pensare strutture politiche (lo Stato?) che pensa anche al futuro e non si limita solo a fare da arbitro (corrotto) dei rapporti di forza vigenti ma si andrebbe OT rispetto alla questione maschile

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Renzoni 11:58 am - 19th Febbraio:

L’articolo mi piace.
E voglio focalizzare la mia attenzione circa l’importanza che oggi si dà all’effimero.
Credo che le varie relazioni sessuali effimere non sarebbero da considerare di valore con una logica numerico progressiva.
In parole povere trovo insopportabile quella vanità maschile basata sul numero di relazioni sessuali/avventure sbandierata come trofeo e conferma di mascolinità.
Tra l’altro logica usata per svilire altri maschi e imporre supremazia virile.
Sono anche io contrario a relazioni di natura convenientistica e autistiche.

Non riesco ad essere d’accordo sul fatto che l’unico scopo di una relazione venga finalizzato alla creazione di prole,per carità nobile concetto nel quale sarei parzialmente in disaccordo.
Il problema è che se io non vorrei aver prole non per ragioni egoistiche ma per il fatto di non sentirmi un genitore adeguato.
Però considero importante una relazione come parte integrante della vita e una donna il completamento dell’uomo,a costituire una sorta di equilibrio ying-yang.
In parole povere in assenza di una donna,la mia casa sarebbe più simile ad un deposito giudiziario.
Il tocco femminile ci vuole,al contrario di quello che pensano le femministe che privano l’uomo di qualsiasi valore,io credo in un valore della donna che nasce dalla complementarietà,ovvero dalla sostanziale differenza tra i due sessi.

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ARMANDO 4:59 pm - 19th Febbraio:

Caro Main, se tu, come scrivi, hai una tua declinazione di maschile e femminile, anche secondo te esiste un “ordine del mondo”, anzi direi l’ordine base da cui anche gli altri scaturiscono. Iniziamo allora, lasciando perdere la questione destra e sinistra con la quale non arriveremo mai a capo di nulla, a definire quale sia quella declinazione a cui ti riferisci. Quanto poi alla faccenda dell’imposizione, direi che non si tratta di obbligare nessuno, tanto meno di penalizzare chi “scarta”, ma di individuare un modo di essere il più possibile condiviso, che sia la forma in cui si estrinseca il maschile (e per parte sua, ovviamente, il femminile), da offrire come modello ai giovani, liberi loro di discostarsene.
ù

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ARMANDO 5:19 pm - 19th Febbraio:

Claudio Manzari,

Secondo me la domanda che ti/ci fai, ammesso di averla capita bene, implica questa risposta. Sempre e ovunque, in ogni società esiste una normatività suggerita (o anche imposta, ma lasciamo in sospeso). Che poi assicuri l’armonia è tutt’altra faccenda, come dimostra l’attualità nella quale quella normatività riferita al maschile produce solo danni psichici rilevantissimi e nessunissima armonia sociale. Sta di fatto, però, che esiste anche oggi. (Maschio soft, mammo, politicamente corretto etc. etc.). La libertà è semplicemente quella di scostarsi dalla norma, qualunque sia. Ed è precisamente questa libertà (posto che ovviamente, lo scostamento non significhi delinquere, ma allora anche il delitto dovebbe essere definito oggettivamente e non soggettivamente), che deve essere garantita e rispettata. Tutto quì, perchè non viviamo nel vuoto pneumatico, e i modelli culturali collettivi li respiriamo ogni giorno, inevitabilmente ed oltre le volontà soggettive di non proporne alcuno (anche questo infatti è un modello culturale, il peggiore perchè dissimulato e alla fine spaesante). Trasgredire qualcosa vuol dire avere qualcosa da trasgredire. E questa trasgressione è in certo senso necessaria e salutare (per i giovani) che avranno però, comunque, un termine di confronto. Dunque va “garantita” nel senso di resa possibile. Uso le vorgolette per capirsi, percjè ovviamente la trasgressione garantita non è più tale veramente.

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Claudio Manzari 6:46 pm - 19th Febbraio:

Claudio Manzari:
MaIn,
…Opinione intrigante ed espressa in modo molto articolato…
Lascio volentieri ad altri il compito di analizzarla, ma, intanto, accenno (in modo vago e incompleto) il primo dubbio che mi si affaccia alla mente.

…Mi rendo conto che ho espresso in modo oscuro il mio PARZIALE dissenso da Main e Renzoni, per cui espongo i primi due esempi che mi passano per la mente: entrambi si basano sul concetto di renitenza, declinabile sia al maschile che al femminile.
In soldoni, la questione è: fino a che punto la trasgressione individuale del “modello sessuale culturalmente affermato-tramandato” può essere legittima affermazione di una libertà individuale che non nuoccia alla collettività, e da che punto in poi diventa una sorta di renitenza che, per non sconquassare l’assetto sociale, richiede che ALTRI si facciano carico di vicariare il/la renitente?
Esempio maschile: il pacifista; quando l’individuo rivendica la propria libertà di non difendere in armi la propria collettività [e, per carità, non entriamo nel merito del concetto di “guerra difensiva” che spesso dissimula una “guerra offensiva”, altrimenti non se ne esce più… Ammettiamo, forse ingenuamente, che si possa discernere una guerra come genuinamente difensiva], il pacifista è sinceramente pronto a diventare preda bellica – prigioniero, internato in un lager, schiavo, torturato, ucciso – senza neppure tentare una difesa? O professa il pacifismo nel sottinteso che ALTRI metteranno a repentaglio la propria vita per difenderlo?..
Esempio femminile: rifiuto della maternità; abbiamo parlato mille volte del suicidio demografico dell’occidente; la singola rivendica la propria libertà di non procreare, adducendo che ALTRE se ne faranno carico, per mantenere in vita il popolo cui appartiene; o forse, neppure ritiene di dover giustificare, in quanto, semplicemente, non gliene importa un bel nulla delle sorti future della sua collettività…
Non vorrei che dopo questi due esempi qualcuno saltasse su dalla sedia gridando “Orwell!”, “1984!”, “Individui ridotti ad automi da uno Stato-Moloch!”: non sto preconizzando un modello politico; vorrei limitarmi ad esaminare un paio di questioni: 1) se la “Tradizione” possa svolgere una funzione “protettiva” della comunità, con un parziale discapito delle libertà individuali; 2) quanto coesa debba essere, e quanta “massa critica” debba avere una collettività per poter tamponare una certa percentuale (quanto grande?) di renitenze individuali, senza rischiare l’auto-dissoluzione.

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ARMANDO 4:19 pm - 20th Febbraio:

Claudio Manzari,

Mi viene da risponderti così: quella che chiami tradizione, ossia un insieme di sedimenti culturali introiettati e condivisi nella sostanza dalla popolazione, proprio in forza di ciò non è imposta coattivamente, se non su alcuni fondamenti, quelli appunto che garantiscono coesione sociale ed evitano la dissoluzione nichilista. Quanto alla percentuale tollerabile di dissidenza è difficile a dirsi. Non credo ci possano essere numeri fissi, Anzi ti dirò che sempre qualche trasgressione è necessaria, ossia funzionale, al funzionamento del tutto, come valvola di sfogo ecc., e quindi perfettamente tollerabile. Il problema di oggi è che ogni tradizione viene rifiutata in blocco. Le ragioni sono tante e non è il cvaso di dilungarsi. Ciò su cui occorre a mio parere insistere è che, dal momento che la vita è per definzione mutamento, anche le tradzioni ne sono soggetto. Ma una cosa è che il passato sia conservato nel nuovo, un’altra è la cesura totale e dissolutoria.

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MaIn 11:36 am - 23rd Febbraio:

ARMANDO:
Caro Main, se tu, come scrivi, hai una tua declinazione di maschile e femminile, anche secondo te esiste un “ordine del mondo”, anzi direi l’ordine base da cui anche gli altri scaturiscono. Iniziamo allora, lasciando perdere la questione destra e sinistra con la quale non arriveremo mai a capo di nulla, a definire quale sia quella declinazione a cui ti riferisci. Quanto poi alla faccenda dell’imposizione, direi che non si tratta di obbligare nessuno, tanto meno di penalizzare chi “scarta”, ma di individuare un modo di essere il più possibile condiviso, che sia la forma in cui si estrinseca il maschile (e per parte sua, ovviamente, il femminile),da offrire come modello ai giovani, liberi loro di discostarsene.ù

preferenze e gusti personali sono cose diverse da piattaforme politiche. a me piacciono le donne con pelle chiarissima e capelli scuri ma mica su questo declino una teoria di archetipo di bellezza.
penso che il maschile debba essere l’insieme di tutti gli individui maschi e non che esista un maschile a cui i singoli maschi devono adattarsi.

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MaIn 11:45 am - 23rd Febbraio:

Claudio Manzari,

più che altro penso che maggiore è la necessità minore è la libertà di trasgredire. perché la società tutta deve essere ottimizzata per affrontare il mondo esterno ostile. una quota di “trasgressione” è sempre necessaria, come in natura le mutazioni, per consentire un miglior adattamento. ma meno l’ambiente è ostile, meno necessario è imporre una determinata visione. oggi abbiamo il paradosso che l’ambiente ostile non vi è ma la costrizione è data dal Sistema stesso. Femminismo, politicamente corretto in genere, e soprattutto questione economica. questi i miei due cent

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MaIn 11:51 am - 23rd Febbraio:

MaIn,

MaIn,

penso di aver cliccato male nel rispondere ad armando https://www.uominibeta.org/wp-content/plugins/wp-monalisa/icons/wpml_scratch.gif ripeto e completo il commento mio commento qui:

preferenze e gusti personali sono cose diverse da piattaforme politiche. a me piacciono le donne con pelle chiarissima e capelli scuri ma mica su questo declino una teoria di archetipo di bellezza.
penso che il maschile debba essere l’insieme di tutti gli individui maschi e non che esista un maschile a cui i singoli maschi devono adattarsi. L’esempio e il fornire modelli è cosa certamente utile ma per questo è necessario che vi siano modelli e pluralità di visioni. Io sono favorevolissimo che vi sia una famiglia tradizionale , come una non tradizionale, che vi sia la possibilità di diventare un monaco o un eremita, che vi sia un guerriero da film USA come vi sia un guerriero omosessuale come nell’antica grecia e che poi ogni singolo maschio scelga il proprio modello di riferimento. L’esempio deve convincere nell’ambito di una pluralità di scelte.

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RitmFM 10:28 pm - 25th Febbraio:

Una riduzione del raggio d’azione dal generale al particolare che ottiene l’effetto non di indebolire ma di potenziare il rinnovato femminismo attraverso la riesumazione dell’anticapitalismo. E questo passaggio, facendo un ulteriore passo avanti, non solo rende, come detto, la struttura patriarcale delle società islamiche compatibile rispetto al nuovo schema di gioco ma, essendo l’esibizione e la mercificazione del corpo della donna la manifestazione principale del maschilismo capitalista che incarna il vero nemico, per converso il velo diventa strumento di resistenza, protezione, tutela. Una possibilità, quindi, per conciliare femminismo e Islam, ma anche un’occasione di rinnovamento attraverso il necessario ripescaggio dei mai veramente superati concetti di antioccidentalismo, anticapitalismo, antiamericanismo, oggi più che mai rinvigorito dalla vittoria di Trump alle presidenziali americane.

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ARMANDO 4:52 pm - 26th Febbraio:

MaIn,

Non capisco cosa vuol dire che il maschile è l’insieme di tutti gli uomini, Questa è una affermazione descrittiva di uno stato di fatto. Indubbiamente vero, ma che non è di alcun aiuto agli uomini. Sembra che tu pensi alla maschilità, ed inevitabilmente alla femminità, come ad una serie praticamente illimitata di modelli da scegliere come si fa con una merce offerta sullo scaffale di un supermercato.
Ma ogni società ha sempre proposto (sottolineo proposto) uno o alcuni modelli di maschilità (ad esempio nelle società antiche il Sacedote, il Guerriero, l’Artigiano) corrispondenti ad archetipi da un lato, a funzioni sociali dall’altro. Non sto didendo che quelli devono essere i modelli, ma solo che ce ne devono essere, pena la confusione e il disorientamento generalizzato dei giovani. La nostra è la prima società che non propone alcun modello di maschilità, in senso positivo perchè in negativo, al contrario, ne propone molti. Invece propone eccome modelli “positivi” di femminilità (donna forte, volitiva, sexy, sicura etc etc): in letteratura, nei media e sempre nella pubblicità che sai bene quanto è importante per plasmare l’immaginario collettivo.
Perchè accade questo? Credo che la materia meriti una riflessione.

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ARMANDO 5:08 pm - 26th Febbraio:

RitmFM,

Scusami ma sicuramente per limiti miei, non ho capito bene il senso del tuo intervento. Vuoi dire che il femminismo è anticapitalistico? Che è antioccidentale? E che, quindi, per essergli contrari occorrerebbe invece inneggiare al capitalismo, all’occidentalismo e all’americanismo con ciò assimilando quasi Islam e femminismo? Ho preso un abbaglio?

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Rino DV 6:51 pm - 26th Febbraio:

Anch’io sono curioso di capire le tesi di RitmF, perché non riesco a capacitarmene.

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Pinguinoeconomico 8:15 pm - 27th Febbraio:

Prezioso manuale che affronta il problema con dati ma anche con lo spirito di fratellanza necessario in questo mondo di egemonia neoliberista per cui le multinazionali e finanza non mettono solo in conflitto i popoli della terra con la competizione economica sfrenata … ma anche con guerre distruttive di intere popolazioni e disarticolazione di stati per loro fini in particolare le risorse petrolifere … ai 10 punti si può aggiungere l’undicesimo che si stanno facendo guerre in casa loro. Cessino le guerre in casa loro e allora cesserà l’esodo di cui gli xenofobi e malvagi di cuore tanto strepitano. Poi magari vanno anche regolarmente a messa la domenica. Cominciare a scomunicarne un po’ ? Il primo Matteo Salvini così è certo che non è il crociato cristiano che si spaccia. Luigi Fasce – Genova

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Fabrizio Marchi 10:06 pm - 27th Febbraio:

Rino DV,

A me sembra tanto una supercazzola, come fosse antani, tapioco, a destra per due, scappellato…
Se ne leggono tante, anche di autorevoli…provate a leggere un libro di Toni Negri…https://www.uominibeta.org/wp-content/plugins/wp-monalisa/icons/wpml_yahoo.gif

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Gianfranco 2:28 am - 3rd Giugno:

E quindi come si fa per reagire? posto che la lotta contro il capitale non è possibile in una società atomizzata, quindi ci sarebbe bisogno di rendere di nuovo possibili dei legami autentici che diano connessione e forza alla società, come reagire quando siamo in una posizione di debolezza e l’altro sesso percepisce tutto questo, come del resto qualsiasi tentativo di “dialogo” come una propria vittoria su un nemico da disciplinare? insomma quando non c’è verso di fargli capire una mazza con le buone? Non dovremmo forse noi per primi ritrovare un minimo di dignità, a partire dall’indipendenza emotiva, affettiva, mentale per uscire prima di tutto da una posizione che appare a torto o a ragione supplichevole? Che ne pensate del concetto (non tanto del movimento) mgtow? Provocazione per paradosso…

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