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15 Mag 2012  |  825 Commenti

Morti sul lavoro: il 3% sono donne…

Una tragedia di classe e di genere, quella dei morti sul lavoro, di cui si parla ipocritamente e in modo generico,soffermandosi, quando va bene, solo sul primo aspetto, occultando scientemente il secondo. Evitando cioè di specificare che la quasi totalità delle vittime sono uomini, appartenenti al genere maschile, e poveri, appartenenti alla classe lavoratrice. Perché non si ha notizia di un notaio o di un commercialista rimasti uccisi precipitando dalla loro scrivania, né di un parlamentare o di un giudice cadendo dal loro scranno, né tanto meno di un industriale schiacciato sotto una pressa.

Questi sono i dati tratti dal sito dell’Inail per quanto riguarda l’Italia (verificati nel 2008):

Nel 2004 i morti totali furono 1328 di cui 1225 maschi e 103 femmine.
Dei 1225 maschi, 438 morirono a causa di infortuni stradali (di questi 251 erano infortuni in itinere e gli altri inerenti la tipologia di lavoro)
Delle 103 femmine 62 morirono per incidenti stradali (di cui 54 in itinere)

Nel 2005 i morti furono 1280 (di cui 1193 maschi e 87 femmine)

Dei 1193 maschi 612 morirono per incidenti stradali (di cui 235 in itinere); delle 87 femmine 66 morirono in incidenti stradali (di cui 44 in itinere)

Nel 2006 i morti furono 1341 (1242 maschi e 99 femmine)

Dei 1242 maschi 603 morirono in incidenti stradali di cui 214 in itinere); delle 99 femmine 85 morirono in incidenti stradali di cui 52 in itinere.

Quindi gli infortuni in itinere sono circa il 20% per maschi mentre salgono al 50% per le femmine. Se consideriamo che la quasi totalità degli autotrasportatori, degli autisti e in generale di coloro che svolgono una professione che prevede lo stare lunghe ore alla guida di un mezzo, sono uomini, è facile capire come in realtà si arriva alla percentuale del 98% di vittime maschili.

Le percentuali sono pressochè le stesse relativamente all’Unione Europea. Paradossale il fatto che, sullo stesso sito dell’Inail (www.inail.it “banca dati al femminile”), viene citata la percentuale di infortuni mortali  femminile e non quella maschile che si evince ovviamente sottraendo la prima al totale…

Pensate cosa succederebbe e sarebbe già successo se questa ecatombe sociale e di genere, con cifre paragonabili a quelle di una guerra civile neanche tanto strisciante, fosse stata e fosse a parti invertite. Se cioè a morire sul posto di lavoro fossero le donne e in quella percentuale.

Campagne mediatiche fino all’inverosimile, tuoni e fulmini scagliati contro una insopportabile e vergognosa discriminazione, leggi speciali per evitare alle donne i lavori più pesanti, faticosi e rischiosi. E sarebbe sacrosanto. Guai se non fosse così.

E invece in questo caso c’è un silenzio assordante, come si suol dire. E’ come se tutto questo fosse dato per scontato. E suonano beffardi i titoli dei giornali che mettono in risalto l’aumento degli infortuni sul lavoro per le donne, in percentuale.
Su questo dramma sociale e umano (e maschile) cala il sipario dell’oblio e dell’ipocrisia. Non una parola in tal senso. Se ne guardano bene tutti: politici, media, sindacati, associazioni degli industriali.
La domanda sorge spontanea? Perché? Forse perché questa verità è insopportabilmente vera al punto di spazzare via una “verità” fasulla, quella  del privilegio e dell’oppressione maschile sulle donne, sempre, comunque e dovunque? Forse perché questa verità è talmente vera che metterebbe in crisi la vulgata dominante e “politicamente corretta” che racconta di una oppressione a senso unico dell’intero genere maschile su quello femminile?

 

Noi non abbiamo paura della verità che qualcuno,una volta, sosteneva essere rivoluzionaria. Noi, la pensiamo come lui. Qualcun altro/a ne ha paura.

 


825 Commenti

Rino 3:39 pm - 30th Luglio:

Ci sarebbe del lavoro di ricerca da fare sul tema morti sul lavoro. Ecco perché.
Le donne morte oscillerebbero dal 6 all’ 8% a seconda degli anni. Il che contrasta con un particolare: nessuno di noi sa di una donna morta sul lavoro e nessuno è in grado di indicare qualcuno che conosca qualcuno che sappia… etc*
Come mai?

L’enigma sta nell’origine dei dati che sono di provenienza INAIL. Si deve sapere che ai fini dell’inclusione nei morti per lavoro figurano tutti quelli che muoiono mezz’ora prima o mezz’ora dopo l’inizio/ fine dell’orario di lavoro. Il dato quindi include le donne (e gli uomini) che muoiono in incidenti stradali mentre si recano o tornano dal lavoro. Questo è il punto da chiarire. Quante (e quanti) sono?

E i maschi (e le femmine) morti in incidenti stradali mentre stanno lavorando in quanto lavorano viaggiando (trasportatori, rappresentanti, etc.) figurano solo tra i morti sulla strada o anche nel conto dei morti sul lavoro?

Ho cercato di venire a capo di questo inghippo, ma non sono riuscito a trovare il bandolo della matassa.

RDV

*Giorni fa sono venuto a conoscenza, per la prima volta in vita mia, di una donna morta sul lavoro: un’architetta ispettrice caduta nel vano scale non protetto di un palazzo in costruzione. Una morte di chiaro timbro maschile.

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armando 6:39 pm - 30th Luglio:

Eh già, l’interrogativo di Rino è stimolante. Non ricordo nemmeno io una croanca giornalistica o televisiva che è una , su una donna morta sul lavoro. Eppure ve lo immaginate il battage mediatico che ne sortirebbe?
Armando

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Silver 12:04 am - 6th Agosto:

IL MITO DEL POTERE MASCHILE, di Warren Farrell
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Gli uomini attorno a noi: l’uomo di seconda scelta
Permettetemi di raccontarvi una storiella. Avevo appena terminato le ricerche per questo capitolo e volevo distrarmi per schiarirmi le idee. Pensai che una «mattinata dedicata alle commissioni» fosse perfetta per questo scopo.
Se avete letto i capitoli precedenti, sicuramente sarete diffidenti… Sapete che non esistono storielle senza una morale. E avete ragione: cominciai infatti a vedere attorno a me tutti quegli uomini su cui avevo condotto le mie ricerche.
Stavo per uscire quando udii il frastuono del camion della spazzatura. Di solito serve solo a rammentarci che è lunedì. Quella volta risvegliò invece anche la mia memoria… mi ricordai allora che lo spazzino rischiava due volte e mezzo più di un poliziotto di essere ucciso, E che soltanto nell’ultimo anno il 70 per cento dei netturbini di San Diego (dove vivo) aveva avuto infortuni sul lavoro.[13] E mentre osservavo il netturbino che sollevava la mia spazzatura, collegai a lui quel 70 per cento: rischiava in misura assolutamente sproporzionata lesioni alla schiena, ernie, cancro al retto, cirrosi epatica, o semplicemente di essere travolto da un’auto di passaggio. Vidi cose che mai avevo notato prima… per cominciare, la cintura lombare indossata da uno; poi i nostri sguardi si incrociarono e gli domandai quale fosse il suo nome. Salite un momento con me su uno di questi camion. Sul percorso di Terry Hennesey (persona reale, storia vera)
si trova uno studio dentistico.[14] Di recente, mentre riuniva la spazzatura, alcuni sacchetti di plastica contenenti sangue umano scoppiarono e tutto quel sangue gli schizzò sulla faccia. Poche settimane dopo trovò una granata a mano della seconda guerra mondiale, inesplosa (Ovviamente, è difficile trovare una granata a mano senza spoletta!). Qualche mese dopo trasportò un carico di rifiuti radioattivi. I colleghi riferirono incidenti con l’acido delle batterie schizzato su abiti e volti, il processo di compattamento che aveva fatto fuoriuscire dal container una bella quantità di cloro, che si era riversato sulla schiena di un uomo e l’aveva ustionato, le ceneri ancora accese di qualche caminetto che avevano incendiato il camion, un container di cianuro liquido…
Perché mi erano del tutto ignoti tutti questi pericoli? In parte perché questi uomini non ne parlano mai e cercano di sdrammatizzare le loro disgrazie. Ma in parte anche perché conosciamo meglio i guai che capitano, per esempio, a un giocatore di calcio, perché la sua assenza ha un impatto sul nostro Io: fa sì che la «nostra squadra» perda. Se un netturbino muore viene sostituito, come una qualsiasi parte del camion.
Era più facile definire sessismo il fatto di chiamare spazzini coloro che raccolgono la spazzatura piuttosto che comprendere che il vero sessismo consiste nella pressione esercitata su uomini non istruiti e privi di una specializzazione, che li induce ad accettare il mestiere di netturbino, con una paga che va da 9 a 15 dollari l’ora, per mantenere la famiglia.[15] O che il vero sessismo è nascondere qualcosa dì pericoloso nella nostra spazzatura.
Dopo aver visto i netturbini sotto una luce diversa, ho anche scoperto di guardare in modo diverso un netturbino e, per esempio, una donna incinta. Quando vedo una donna incinta, automaticamente sorrido, e il mio sorriso esprime apprezzamento per la sua gioia, il suo contributo. Ma non avevo mai incoraggiato il netturbino con un sorriso che esprimesse apprezzamento per il suo contributo (sebbene egli mantenga quello che la donna incinta crea, e porti un diverso fardello). Né avevo mai provato comprensione per la sua mancanza di gioia… Non mi ero neppure mai aspettato che fosse contento. All’atto pratico, era stato invisibile. Come invisibili restano tanti uomini che abbracciano le professioni mortali.
Come capita quando si aprono nuovi orizzonti, notizie che prima sarebbero parse irrilevanti si trasformano in informazioni interessanti da comunicare, come questa lettera ad Ann Landers:
Cara Ann,
sono stufa delle persone che usano lo spazzino come un esempio di mestiere facile per deficienti. Ho sposato un netturbino ed ecco com’è la sua giornata.
Esce tutte le mattine, per sei giorni la settimana, alle 4.30. … Un giorno eravamo a 50 sotto zero. Mio marito restò in giro con quel tempo tremendo per 10 ore. … Sul suo percorso ci sono 2500 case. … Se a ogni fermata sprecasse anche solo qualche minuto in più, lavorerebbe altre due o tre ore al giorno. … Lavora su commissione, 17,5 cents per casa.[16]
Ovviamente, è la moglie a scrivere. Il netturbino rimane in silenzio…
Andando al supermercato di Encinitas, mi fermai allo sportello del bancomat per ritirare del denaro. All’inarca alla stessa ora una guardia armata ritirava dei contanti da un altro sportello. E quell’uomo fu la seconda guardia giurata a cadere, colpito da una rivoltellata alla testa, nel corso di quella settimana.[17] Tutte le volte che ritiro un assegno è presente una guardia giurata, armata e pronta a intervenire. Spiega una di queste guardie, un veterano che ha alle spalle tre missioni di guerra in Vietnam e la cui zona di controllo, nel centro-sud di Los Angeles, è infestata dalle bande: «Quando apri la porta, sei già ‘pronto per essere mangiato’».[18] E allora perché fanno quel lavoro? David Troy Nelson spiega così la cosa: «Sono un padre single, con due bambini in età prescolare». Affronta la realtà di essere «un boccone pronto da mangiare» affinché i suoi figli abbiano sempre da mangiare.
Tutto ciò mi fa pensare al cibo, in particolare alla carne e alle verdure. Di solito, mentre sceglievo un petto di pollo mi erano presenti più spesso i crimini commessi contro i polli che quelli commessi contro i lavoratori che preparano i polli. Dei 2000 operai della Morrell, dove si confezionano le carni, 800 erano rimasti vittime di gravi infortuni sul lavoro in un solo anno.[19] Alcuni di questi operai trinciavano e disossavano carni al ritmo di 1000 movimenti all’ora. Con il 40 per cento all’anno di infortunati, le mani di ogni operaio erano in effetti una bomba a orologeria. Alla Morrell, all’incirca il 90 per cento degli operai che eseguivano le cinquantasette mansioni più rischiose era costituito da uomini.[20] E molti che avevano subito interventi chirurgici che avrebbero richiesto da uno a due mesi di inattività, venivano richiamati al lavoro immediatamente dopo l’operazione.
Mentre mi sceglievo le verdure più belle, davo per scontato che avrei dovuto lavarle molto bene per eliminare i vari veleni usati per renderle così belle e conservarle. Poi mi ritrovai invece a pensare agli uomini che passavano la vita a inspirare gli anticrittogamici che spargevano da aeroplani e trattori.
Avevo sempre considerato l’agricoltura un’attività ragionevolmente sicura, in cui uomini e donne lavoravano «a fianco a fianco». Mi sbagliavo. Fatta eccezione per il lavoro in miniera, l’agricoltura presenta il più alto tasso di mortalità.[21] I giovani rischiano di morire nei lavori dei campi ventiquattro volte più spesso delle donne giovani.[22] Sono inoltre più esposti al pericolo di un’amputazione – di un braccio, di una gamba o di un dito. In realtà, uomini e donne non lavorano affatto «a fianco a fianco». Gli uomini lavorano dove maggiore è il potenziale di morte; le donne dove maggiore è il potenziale di sicurezza. Mentre acquistavo un pasto pronto da passare nel forno a microonde, la mia gratitudine andava agli uomini che lo avevano preparato, che avevano arato, zappato, sparso concimi e anticrittogamici e rischiato un’amputazione affinché io potessi scaldare e mangiare quel pasto.
Uscendo dal supermercato e percorrendo Encinitas Boulevard, contai all’incirca trenta immigrati nello spazio di neppure sei isolati. Fissavano intensamente negli occhi ogni passante, nella speranza di essere chiamati per una giornata di lavoro nei campi. Vidi un tale che transitava in macchina, esaminando gli uomini; poi ne scelse due e ignorò gli altri. Nei dieci anni che ho vissuto nella cittadina di Encinitas, vicino a San Diego, avrò visto un migliaio di questi braccianti in attesa agli angoli delle strade. Ed erano sempre uomini. Un’intera giornata di inutile attesa
non significava tornare a sera in una casa calda: significava dormire al freddo, in collina. A San Diego si trovano uomini così ad ogni angolo.
Il lavoro dei campi rende gli uomini curvi per sempre (dopo una decina d’anni di lavoro) e devasta le loro mani. I pesticidi spruzzati due o tre volte al giorno penetrano gradualmente nella pelle, soprattutto attraverso i tagli delle mani. Quei veleni alla fine danneggiano gravemente il cervello, o provocano il cancro. Coloro che anno dopo anno tornano negli Stati Uniti per lavorare nei campi rischiano dunque gravi danni al cervello o una morte prematura (di solito intorno ai 40 anni).
La maggior parte di questi uomini manda la paga alle mogli e ai figli in Messico, che vedono soltanto una volta o due all’anno prima di rischiare di nuovo la galera per aver illegalmente passato la frontiera americana. Si potrebbe considerarla un’ennesima coscrizione che riguarda i braccianti immigrati. Un’altra leva riservata agli uomini.
Questo «sacrificio-per-nutrire» è la forma maschile del nutricamento. In ogni classe sociale, gli uomini che hanno famiglia offrono il loro grembo, il grembo finanziario della famiglia. Offrono il loro corpo. Ma la psicologia della disponibilità lascia gli uomini senza cartelli con la scritta «il corpo è mio e me lo gestisco io». Nessun movimento definisce oppressi questi uomini perché forniscono denaro alle donne che per loro non cucinano né puliscono; perché forniscono una casa alle moglie mentre loro dormono per terra. Quando un lavoratore dei campi è radicalizzato, gli si insegna a vedere il classismo, ma resta cieco al sessismo. Eppure definiamo i messicani dei patriarchi, come se le regole della loro società servissero a loro, a spese delle donne.
Volevo fermarmi a un supermercato per acquistare del succo di pompelmo, ma dovetti aspettare che un grosso camion entrasse a retromarcia nello stretto spazio previsto per le consegne. Era una scena familiare. Ma notai che l’autista stava ingurgitando una tazza di caffè soltanto perché mi erano ormai ben noti gli orari estenuanti dei camionisti, che spesso finivano per addormentarsi al volante (il che fa sì che il loro tasso di mortalità sia tra i più alti registrati nelle varie professioni).[23] A quel punto non vidi soltanto un camion che m’impediva l’accesso al posteggio: vidi un uomo su quel camion. Visualizzai un camionista che alle quattro del pomeriggio beveva l’ennesima tazza di caffè per superare i propri limiti, affinché io potessi mangiare.
Pensai a quante volte avevo associato il lavoro del camionista a quello del «carrettiere», e a quante volte avevo fatto considerazioni sulle morti causate da un incidente provocato da un camion, e non agli incidenti mortali capitati ai camionisti. Il mio diverso modo di sentire fece sì che un momento di attesa si trasformasse in un momento di riflessione e stima. Gli sorrisi con un calore che dovette percepire, perché mi rispose con un sorriso, come se avesse sentito che lo apprezzavo.
Ebbi modo di riflettere su ciò anche alcuni mesi dopo. Andai a vedere Thelma e Louise e udii il fragoroso applauso con cui il pubblico accolse la scena in cui viene dato fuoco al camion. Non mi sfuggì ciò che il pubblico provava, ma pensai con tristezza a ciò che al pubblico invece sfuggiva.
Prima di rientrare, non potei fare a meno di fermarmi vicino alla casa dei miei sogni. La stavano costruendo sulla scogliera, a picco sull’oceano. Mentre guardavo gli operai che piantavano dei chiodi nelle assi, immaginavo i camionisti che si districavano nel traffico cittadino recando il materiale, e i taglialegna che trasportavano il legname lungo fiumi gelati (il che fa del mestiere del taglialegna uno dei più pericolosi tra i mestieri mortali). Ripensai al gergo speciale per cui «uomo morto» e «fattore di vedove» stanno a indicare i vari modi in cui alberi e rami possono uccidere un uomo e rendere vedova una donna. Compresi che la casa dei miei sogni sarebbe stata frutto dei rischi che correvano non soltanto gli operai edili ma anche i camionisti e i taglialegna.
Mentre i venti più freddi mi spingevano ad allontanarmi vidi che, al secondo piano, un operaio per poco non lasciava cadere la trave che reggeva per non finire dritto nell’oceano. D’improvviso ricordai un mio amico cui da tanto tempo non pensavo e che era stato colpito dal palo di una gru, una decina d’anni prima. Si era ripreso, ma non era mai più stato lo stesso e neppure la vita di sua moglie era più stata la stessa. Mi domandavo come mai quasi nessuno Stato assuma ispettori che si occupino di risolvere i problemi della sicurezza sul lavoro, invece di limitarsi a investigare solo dopo un incidente mortale.
La strada era più lunga di quanto mi aspettassi e così mi fermai qualche minuto per riposare. Un attimo dopo udii una sirena. Il mio cuore smise di battere. Poi, finalmente, guardando nello specchietto retrovisore, mi tranquillizzai vedendo il carro dei pompieri. Non appena mi resi conto che non si dirigeva verso casa mia (quella vera!), potei abbandonarmi al ricordo dell’incendio dell’MGM Grand Hotel di Las Vegas: settantasei persone furono trovate morte nelle loro stanze ben protette, che il fuoco non aveva neppure lambito e in cui il fumo non era penetrato.[24] Per la prima volta mi resi conto che i pompieri corrono ora maggiori pericoli per le esalazioni tossiche che per il fuoco o il fumo. Perché?
La plastica. Dopo la seconda guerra mondiale un materiale plastico, il cloruro di polivinile (PVC), è stato sempre utilizzato per la fabbricazione di telefoni, mobili, tappeti, carta da parati, pattumiere, piombature e televisori. Quando bruciano, producono sottoprodotti chimici tossici come il cloro, il cloruro di idrogeno e il fosgene (tanto letale da essere stato usato durante la prima guerra mondiale come arma chimica). Entrando in una casa, il pompiere può non vedere né fumo né fiamme, ma le invisibili esalazioni costituiscono una vera e propria bomba di gas velenosi. Le esalazioni tossiche diventano munizioni tossiche. Con quale risultato?
I casi di morte per cancro sono aumentati del 400 per cento di più nei pompieri che nell’insieme della popolazione.[25] L’età media delle vittime del cancro è, tra i pompieri, di 52 anni.[26] Gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali, tra cui l’infarto, costringono un pompiere su tre ad andare in pensione prima del tempo.[27] Un pompiere su ventuno è esposto a malattie infettive (e un quarto di questi all’AIDS).[28]
Il volontariato è stato spesso definito una questione femminile, ma 1’80 per cento dei pompieri municipali, che sono quasi un milione, è costituito da volontari – e per il 99 per cento da volontari maschi.[29] Che io sappia, non esiste un numero equivalente di donne che volontariamente si espongono alla morte per salvare la vita a degli estranei, garantendosi nel contempo una prematura dipartita.
Come mai sono molti i pompieri che non adottano dei respiratori? Il respiratore pesa circa 70 chili, che si aggiungono ai 200-300 che già i pompieri trasportano, tra scale, picconi, tubi e tute ignifughe. Per domare un incendio sono necessari un attacco ben organizzato e buone possibilità di comunicare: la maschera impedirebbe ai pompieri di parlare.
I pompieri sanno benissimo che ogni volta che proteggono se stessi, altri possono morire. Una fiamma può spostarsi con una rapidità di oltre 5 metri al secondo, come accadde nell’incendio che nel 1980 colpì l’MGM Grand Hotel di Las Vegas. In pochi minuti morirono ottantacinque persone. Ci vuole circa un minuto per sistemare i serbatoi di ossigeno. In quel minuto una fiamma può percorrere oltre trecento metri. In breve, molti pompieri preferirono perdere la propria vita per salvare la vita altrui.
Perché i pompieri volontari rischiano la vita? In parte per essere stimati. Anche se alcuni si sentono a volte non apprezzati, per esempio quando un padrone di casa protesta con loro perché gli hanno sporcato i tappeti con gli scarponi sporchi di fango.
Proseguendo lungo la strada, intravidi un furgone, uno di quelli usati per i traslochi, davanti a una nuova casa del quartiere. Arrivai giusto in tempo per vedere gli addetti caricarsi sulla schiena un grosso divano, passare a fatica nel vano della porta, e trasportarlo su per una scala. Riuscii a sentire la voce di uno di loro raccomandare al figlio: «Attento a come lo sollevi, o ti ritroverai con la schiena malconcia come la mia».
A casa mi guardai attorno e con occhi nuovi osservai il modo in cui erano stati sistemati il frigorifero e i vari mobiletti contenenti i miei archivi… lodando gli uomini che mi rendevano comoda la vita restando invisibili.
Quando mostrai una prima bozza di questo capitolo a un amico che lavora nell’industria del carbone, osservò: «Hai dimenticato la più pericolosa di tutte le attività – il lavoro in miniera». Risposi che forse non ne trovavo le prove intorno a me nella vita quotidiana. Mi corresse: «Non vedi il minatore, ma vedi la prova del lavoro in miniera tutti i giorni».[30] Stuzzicò così la mia curiosità.
«Per cominciare», spiegò, «non ci sono soltanto miniere di carbone, ma miniere di metalli, e l’estrazione del petrolio e del gas. Adesso guardati allo specchio e osserva i tuoi denti: le otturazioni contengono oro, argento, mercurio e composti (petrolio). I tuoi occhiali contengono non soltanto metallo ma anche plastica, che è fatta con petrolio e carbone. E senza dubbio sullo specchio c’è una lampadina accesa; e le lampadine contengono tungsteno, mercurio e fosforo. L’elettricità per produrre la luce arriva attraverso fili di rame e alluminio da generatori fatti anch’essi di rame, azionati da turbine di tungsteno e alimentati dal vapore prodotto con l’uranio, il carbone o i! petrolio.» Rimasi veramente impressionato.
«Allora, dando per certo che di solito ti vesti», aggiunse ancora ridendo, «i tuoi abiti contengono ferro, calcare e carbone. Quanto ai tuoi computer, sono fatti di plastica, vetro, fosforo e decine di metalli vari che hanno dovuto essere estratti. I capitoli del manoscritto che mi hai mandato sono in genere tenuti insieme da graffette fatte di acciaio (ferro, calcare, carbone). Quando il libro arriverà ai lettori, leggeranno queste parole su carta prodotta con acido solforico, un sottoprodotto della raffinazione del petrolio e di metalli solforosi. Se la carta non contiene acidi, probabilmente incorpora carbonato di calcio (calcare) per neutralizzare l’acido. Persino le colle che tengono insieme il libro sono in parte prodotte con il petrolio. E se la copertina è in carta lucida, vuol dire che alla carta è stata aggiunta dell’argilla.»
Perché il lavoro in miniera è tanto pericoloso? Ogni settimana, pezzi di roccia che cadono dai soffitti delle miniere provocano commozioni cerebrali o decessi tra i minatori; i fili elettrici vaganti li fulminano e i carrelli li mutilano. Se in un ufficio crollasse il soffitto, uccidendo delle segretarie, o dei fili elettrici pendenti dalle pareti finissero sulle loro scrivanie e le fulminassero, oppure dei mobili con le rotelle le mutilassero, come potrebbero tante donne accettare di lavorare in un posto simile (a qualsiasi prezzo)? E il datore di lavoro riuscirebbe a sfuggire a un processo?
Per quella sera avevo riflettuto abbastanza. Accesi la TV per rilassarmi, ma nonostante le intenzioni scelsi un reportage sulla guerra alla droga. E naturalmente la mattina dopo non potei esimermi dall’effettuare qualche controllo.
Tra il 1921 e il 1992, tutti gli agenti della DEA (Drug Enforcement Administration) erano stati uomini.[31] La guerra alla droga, quindi, è una guerra con un esercito differenziato: le donne se ne stanno nelle postazioni sicure, gli uomini vanno nelle zone di combattimento.
Di solito, dal momento dell’assunzione fino al pensionamento, gli agenti della DEA non sparavano neppure un colpo con le pistole in dotazione.[32] Ora, spiega il responsabile dell’addestramento della DEA, «l’agente che si diploma oggi, probabilmente dovrà tirar fuori la rivoltella nella prima settimana di servizio».[33] Attualmente la DEA subisce un numero di attacchi maggiore rispetto a qualsiasi altra agenzia federale preposta all’applicazione della legge.[34]
Mai mi era capitato di pensare alla guerra alla droga come a un’altra guerra virtualmente combattuta da soli maschi.

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Silver 12:21 am - 6th Agosto:

IL MITO DEL POTERE MASCHILE, di Warren Farrell
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Il doppio standard per te professioni mortali
Quando nelle pubblicazioni femministe si parla di lavoro in miniera, edilizia e altre professioni mortali, vengono descritte come esempi del sistema di potere maschile, come «club per soli uomini». Tuttavia, quando la rivista Ms. pubblicò un profilo delle operaie che lavoravano in miniera, fu sottolineato il fatto che la donna era «costretta» a lavorare in miniera perché pagavano meglio, e che un mestiere simile era l’unico che le consentisse di mantenere la famiglia.[35]
Ms. non avrebbe mai ammesso che quei club per soli uomini {i mestieri pericolosi) pagano meglio proprio perché presentano dei rischi, ed erano riservati agli uomini soltanto perché questi ultimi mettevano a repentaglio la vita per guadagnare di più e mantenere i loro cari. Non avrebbe mai potuto ammettere che quasi nessuna donna lavorava in miniera per mantenere il marito. O che, se la donna in oggetto avesse avuto un marito, sarebbe stato lui ad andare in miniera – non lei. Questo doppio standard di giudizio – per cui i mestieri mortali diventano un privilegio quando si tratta di uomini e un’oppressione quando si tratta di donne – ha fatto sì che due generazioni di uomini si sentissero un po’ incomprese e disprezzate.

Le donne sono relegate ai mestieri peggiori, non è vero?
Mentre abbiamo visto che ventiquattro dei venticinque mestieri peggiori toccano agli uomini[36] e che molti di loro fanno anche lavori malretribuiti (autisti, guardiani, lavapiatti, benzinai eccetera), molti dei lavori meno retribuiti sono prevalentemente riservati alle donne. Perché questa distinzione tra lavori «peggiori» e «malretribuiti»? Perché molti dei mestieri malretribuiti sono tali perché più sicuri, più gratificanti e offrono un orario flessibile e altre desiderabili caratteristiche che li rendono più appetibili e quindi meno pagati. Quando l’uno o l’altro sesso scelgono occupazioni con queste attraenti caratteristiche, non possono che aspettarsi uno stipendio modesto. E sono le donne che più facilmente scelgono mestieri che presentano sette di queste otto caratteristiche – che potrebbero costituire la cosiddetta «Formula delle occupazioni femminili».
La «formula delle occupazioni femminili»
Le donne costituiscono attualmente il 15-30 per cento di una minoranza di professionisti altamente specializzati e profumatamente pagati, come per esempio avvocati e medici. Ma le professioni che occupano oltre il 90 per cento di donne quasi sempre hanno in comune almeno sette delle seguenti otto caratteristiche. La combinazione delle otto caratteristiche rende il lavoro estremamente desiderabile, tanto desiderabile che un datore di lavoro ha ampia possibilità di scelta tra i numerosi candidati e pertanto non ha bisogno di offrire stipendi elevati.
• Possibilità di «chiudere» psicologicamente alla fine della giornata (differenza tra un’impiegata e un avvocato)
• Sicurezza fisica (differenza tra receptionist e vigile del fuoco)
• Lavoro in ambiente chiuso (differenza tra segretaria e spazzino)
• Poco rischioso (differenza tra archivista e imprenditore)
• Orario comodo o flessibile (differenza tra infermiera e medico)
• Nessuna richiesta di trasferimento (differenza tra segretaria di una società e dirigente di una società)
• Gratificazione rispetto alla preparazione (differenza tra professionista che si occupa dell’infanzia e minatore)
• Contatto con il pubblico in un ambiente gradevole (differenza tra cameriera in un ristorante e camionista).
E questa formula delle occupazioni femminili si applica a oltre il 90 per cento delle professioni femminili – receptionist, segretarie, professioniste che si occupano dell’infanzia, infermiere e commesse o direttrici di reparto nei grandi magazzini.
Le «professioni esposte»
Dopo l’esposizione alla morte, l’esposizione agli elementi è il pericolo più comune in molti mestieri maschili. Il buco nell’ozono rende la quotidiana esposizione al sole l’equivalente di un’esposizione al cancro. Così come il nuovissimo pericolo per il vigile del fuoco è invisibile, anche l’ultimo pericolo, in ordine di
tempo, per l’operaio edile è invisibile. E quanto allo spazzino o ai manovali che costruiscono o riparano le strade, non soltanto sono bombardati dai raggi ultravioletti ma respirano anche i gas tossici delle automobili. Di conseguenza, le professioni esposte vanno ad aggiungersi all’elenco delle professioni mortali.
Più il ritmo di lavoro richiede un’esposizione al caldo e al gelo, più aumenta la possibilità che a svolgerlo sia un uomo: quando a scavare i fossati erano squadre di prigionieri incatenati, si protestava contro lo sfruttamento dei carcerati.[37] Nessuno protesta contro lo sfruttamento degli uomini. Il benzinaio che pompa benzina nel serbatoio sotto la pioggia è di solito un uomo (mentre alla cassa, al riparo, si può trovare sia un uomo sia una donna). Che si tratti della copertura di un tetto o di fare delle saldature, se è un mestiere esposto automaticamente è un mestiere maschile.
La propensione a esporsi al rischio di morte sul lavoro nasconde una più profonda differenza tra uomini e donne nell’atteggiamento nei confronti del lavoro. In una qualsiasi professione mortale, la sensazione di non avere diritto alla protezione è una metafora. Le vessazioni sono chiamate punizioni e le punizioni sono l’elemento che allontana coloro che desiderano una protezione e che fa scegliere loro una squadra di protettori. Questioni quali vessazioni e punizioni impallidiscono di fronte alla necessità di evitare incidenti mortali.
Ciò non significa che punizioni e vessazioni siano una buona cosa per l’individuo. Al contrario, l’atteggiamento stesso che porta a proteggere gli altri diventa distruttivo nei confronti di se stessi, ecco perché fra i poliziotti di New York sono più numerosi i decessi per suicidio che le morti in servizio.[38]
Ogni singolo uomo, nella miniera di carbone non lontana da casa o in trincea «da qualche parte», si aspetta che il suo corpo venga usato. La prostituzione maschile è un dato di fatto; la libertà dalla prostituzione è un lusso. Ecco dunque perché il motto non detto delle professioni mortali è «Il corpo è mio ma non lo gestisco io».
In breve, è un mito quello secondo cui le donne sono relegate a fare i mestieri peggiori. I mestieri che richiedono meno capacità e presentano meno rischi rendono di meno, e i mestieri molto gratificanti rendono meno – e ciò vale per entrambi i sessi. I mestieri peggiori sono quasi tutti «mestieri maschili» che gli uomini più spesso scelgono perché, mediamente, hanno più bocche da sfamare.

Quale investimento facciamo rendendo gli uomini «il sesso a disposizione»?
Lasciar morire gli uomini è un espediente per risparmiare denaro. La sicurezza costa. Quando un imprenditore tiene bassi i costi per ottenere un appalto, deve poi far pressione sugli uomini per completare in fretta i lavori, pena la bancarotta. Come ebbe a dire un funzionario addetto alla sicurezza: «Quando sbrigarsi è la parola d’ordine, gli uomini sono sotto pressione e si prendono delle scorciatoie, le cose possono andare male. E ci scappano i morti».[39] No. E allora degli uomini muoiono. Quanti di noi lavorano in un edificio in cui un uomo ha perso la vita o un arto?
La soluzione? Una rigorosa applicazione delle norme di sicurezza. Perché è sottolineata l’applicazione? Perché le norme di sicurezza sono buone, mentre è carente l’applicazione delle medesime. Solamente quando il governo le rende obbligatorie per le società, tutte obbligate a sostenerne i relativi costi, ciò non viene a condizionare la loro capacità competitiva. L’alternativa è quanto attualmente facciamo: «la scelta» della sopravvivenza di quelle società che prendono delle scorciatoie, che hanno un costo in termini di vite umane.

Il governo: un marito – sostituto sul posto di lavoro
Ho appena letto un articolo che sollecita la protezione dei barbagianni nel Nordest. Sarei curioso dì sapere quanti dello staff del Senato si sono dedicati alla questione, e per quanti anni… Nessun membro dello staff del Senato degli Stati Uniti lavora a tempo pieno, per tutto l’anno, alla questione della sicurezza sul lavoro. Mi darebbe un’immensa gioia tornare nel Kansas, ingabbiare tutti quei benedetti gufi e spedirli tutti a Washington e nell’Oregon.
Joseph Kinney, National Safe Workplace Institute[40]
Non appena fu documentato il rischio molto maggiore di infortuni mortali per gli uomini sui posti di lavoro, subito il governo tagliò i programmi di spesa per la produzione degli uomini e ampliò quelli per la protezione delle donne.
Il governo ridusse la Occupational Safety and Health Administration (OSHA)[41] – che impone norme di sicurezza uguali per i due sessi e che pertanto sarebbe stata d’aiuto a un maggior numero di uomini – e creò programmi speciali per la protezione delle lavoratrici soltanto. Approvò il Federai Pregnancy Discrimination Act,[42] in base al quale si prevede per una gravidanza un indennizzo pari a quello previsto per un infortunio sul lavoro, sebbene la gravidanza sia una scelta che nulla ha a che fare con il lavoro. E questo non è tutto… Allorché delle donne affermarono che il lavoro ai terminali del computer, e dunque l’esposizione alla luce del video, provocava aborti naturali spontanei, immediatamente il governo rispose avviando uno studio su oltre quattromila donne… da cui risultò che le donne che lavorano ai terminali hanno un numero di aborti spontanei inferiore a quello delie donne che non vi lavorano.[43] Quando altre donne denunciarono molestie sessuali, il governo rese più rigida la protezione data alle donne intensificando i provvedimenti contro gli uomini. Nel frattempo, nessuno si preoccupava di fare ispezioni nei cantieri dalle impalcature traballanti e nelle miniere di carbone dai soffitti instabili – e gli uomini restavano senza protezione. In breve, nessuna protezione per gli uomini contro una morte prematura.
Ecco come trascurando la sicurezza degli uomini e proteggendo fino all’eccesso le donne si arriva alla discriminazione nei confronti delle donne
Le donne non abbracciano una professione, almeno non in numero rilevante, finché non diventa sicura. Pertanto, finché non ci preoccuperemo abbastanza della sicurezza degli uomini tanto da trasformare le professioni mortali in professioni sicure, in effetti compiamo un atto di discriminazione nei confronti delle donne. Ma anche un’eccessiva protezione delle donne, e unicamente delle donne, porta a una discriminazione nei loro confronti.
Più le leggi garantiscono la protezione delle donne, e più numerosi sono i datori di lavoro che considerano poco vantaggioso assumerle. Se si tratta di una società in cui si devono rispettare le regole della non discriminazione, preferiscono ricorrere sempre più di frequente a freelancer ed evitare così di assumere donne, per non correre il rischio di dover affrontare eventuali processi per molestie sessuali e la possibilità, per chiunque le critichi o le licenzi, di essere vittima di tali processi.
Se un datore di lavoro valuta i vari rischi – vedere il nome della società trascinato nel fango, dover ricorrere agli avvocati, dover versare un risarcimento di 100.000 dollari alla donna che poi lascia la società perché non ha più bisogno di lavorare, essere citato in giudizio dalla donna che lavora ai terminali, perdere la donna durante la gravidanza pagando per giunta un’assicurazione di invalidità, ritrovarsi con funzionari e dirigenti che temono di criticare le donne e socializzare con loro… allora il datore di lavoro inconsciamente comincia a discriminare quel sesso che gli creerà tutti questi fastidi, o ridurrà le assunzioni offrendo incarichi a dei freelancer, oppure si ritirerà prima del tempo, oppure rischierà la bancarotta.
Il datore di lavoro americano, che è tenuto a dare ai due sessi uguale stipendio ma non uguale protezione, si trova di fronte al nuovo dilemma americano. Dare una paga competitiva è nell’interesse del datore di lavoro, ma dare la stessa paga a una donna che con molte probabilità in più rispetto a un uomo ricorrerà al tribunale (per molestie o rischio sul lavoro) non è certo vantaggioso. L’eccessiva protezione delle donne e la scarsissima tutela degli uomini, pertanto, porta rapidamente a una discriminazione nell’assunzione delle donne.
L’eccessiva protezione delle donne e la scarsissima tutela degli uomini è uno dei modi in cui prepariamo psicologicamente gli uomini a una vita dedicata a proteggere gli altri. Crea l’atmosfera adatta alla disponibilità piena dell’uomo e il vincolo strettissimo di queste tre voci: donne, lavoro e guerra…

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Rita 8:07 am - 6th Agosto:

@Rino:
L’enigma sta nell’origine dei dati che sono di provenienza INAIL. Si deve sapere che ai fini dell’inclusione nei morti per lavoro figurano tutti quelli che muoiono mezz’ora prima o mezz’ora dopo l’inizio/ fine dell’orario di lavoro. Il dato quindi include le donne (e gli uomini) che muoiono in incidenti stradali mentre si recano o tornano dal lavoro. Questo è il punto da chiarire. Quante (e quanti) sono?

E i maschi (e le femmine) morti in incidenti stradali mentre stanno lavorando in quanto lavorano viaggiando (trasportatori, rappresentanti, etc.) figurano solo tra i morti sulla strada o anche nel conto dei morti sul lavoro?
°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°
questi sono i dati tratti dal sito dell’Inail (verificati nel 2008, puo’ darsi che adesso abbiano reso disponibili ulteriori anni) relativi agli anni 2004-2006-2006

Nel 2004 i morti totali furono 1328 di cui 1225 maschi e 103 femmine.
Dei 1225 maschi, 438 morirono a causa di infortuni stradali (di questi 251 erano infortuni in itinere e gli altri inerenti la tipologia di lavoro)
Delle 103 femmine 62 morirono per incidenti stradali (di cui 54 in itinere)

Nel 2005 i morti furono 1280 (di cui 1193 maschi e 87 femmine)

Dei 1193 maschi 612 morirono per incidenti stradali (di cui 235 in itinere); delle 87 femmine 66 morirono in incidenti stradali (di cui 44 in itinere)

Nel 2006 i morti furono 1341 (1242 maschi e 99 femmine)

Dei 1242 maschi 603 morirono in incidenti stradali di cui 214 in itinere); delle 99 femmine 85 morirono in incidenti stradali di cui 52 in itinere.

Quindi gli infortuni in itinere sono circa il 20% per maschi mentre salgono al 50% per le femmine.

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Fabrizio Marchi 8:35 am - 6th Agosto:

Ottimo Silver, i due stralci del libro di Farrell, e in particolare il primo che hai pubblicato in ordine di tempo, dimostrano la giustezza della nostra intuizione. Oppressione di classe e di genere marciano insieme e sono indissolubilmente legate.
E se questo è l’assioma, e io credo proprio che lo sia, ciò significa necessariamente che la QM (Questione Maschile) non può essere “spoliticizzata” né tanto meno collocata in una sorta di terra di nessuno.
Essere dalla parte degli uomini (beta) è una scelta di campo, significa essere dalla parte di chi oggi è realmente oppresso, discriminato e in una posizione di subalternità, di classe e di genere.
Non ha e non potrà mai avere quindi alcun senso né prospettiva porre la QM solo nei termini di una contrapposizione fra “maschile” e “femminile” (che pure esiste) decontestualizzata dal punto di vista sociale, economico, culturale e storico. Sarebbe un’ operazione qualunquistica e interclassista del tutto speculare a quella messa in campo dal femminismo storico e in particolare da quello della differenza (tutti gli uomini da una parte, in quanto oppressori, e tutte le donne dall’altra, in quanto oppresse, sempre, comunque e dovunque).
E noi, fortunatamente, non siamo femministi, sia nel merito che nel metodo.
Fabrizio

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Fabrizio Marchi 8:44 am - 6th Agosto:

Quanto riporti, cara Rita, conferma ancor di più la nostra tesi. Perché quei dati stanno a significare che di fatto la percentuale di maschi morti sul lavoro è anche superiore a quel 92%. Anche perché non mi risulta che siano molte le donne che svolgono la professione di autotrasportatore o di autista.
Fabrizio

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Rita 8:57 am - 6th Agosto:

sì, avevo fatto una tabella in Excel, dato che i dati Inail sono sparsi per il sito e non è così agevole confrontarli in questo senso, che avevo riportato sul vecchio forum della QM nel 3D dei morti sul lavoro.
ne risultava una percentuale (se ci si riferisce alle sole cause di lavoro escludendo gli incidenti sulle strade in generale) che si avvicina al 98%.

Per inciso, gli incidenti stradali NON in itinere possono ricomprendere molte tipologie di lavoro (penso ad esempio ad un medico dell’USL che gira in macchina durante l’orario di lavoro e per servizio, ma anche molte altre tipologie… boh i postini, i pony express in cui magari c’è più presenza femminile, immagino che anche questi non siano catalogati come “itinere”)

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Rita 9:14 am - 6th Agosto:

a proposito di lavoro maschile/femminile e di responsabilità e rinuncia… questo è solo un piccolo episodio: sappiamo che una delle cause di morte sul lavoro abbastanza frequente (credo subito dopo le miniere e gli edili) è la campagna.
Trattori, falciatrici, cadute nel silos etc.
Insomma il quadro classico della divisione del lavoro in epoca pre-industriale.
Ieri è venuto a casa mia un contadino (di quelli vecchio stampo) abita vicino a mia sorella e mentre le è in ferie, provvede ad irrigare il suo orto, mi ha portato i pomodori e le altre verdure che ha raccolto da mia sorella perchè gli dispiaceva buttarle via e si è fermato un po’ a chiacchierare… non è più giovanissimo ed incomincia ad avere problemi di salute, in particolare dovrebbe ricoverarsi per la protesi all’anca. Ma – dice – aspetto ancora, aspetto quest’autunno, adesso come si fa? Con tutte le bestie che abbiamo, non posso lasciare sola mia moglie, fa tutto quel che puo’, ma sarebbe da pazzi lasciare una donna con tutto quel lavoro.. c’è da tirare su le balle di fieno, c’è da pulire la stalla.. sono troppe, le stiamo vendendo e ne venderemo ancora.. nel frattempo tiro avanti.

Ecco, a me è venuto in mente quante volte nella retorica scolastica, sul web, nei fllm, nella vita quotidiana, ovunque insomma si parla e si è parlato della “mamma che si sacrifica per la famiglia anche a costo della salute”, io stessa ricordo le auto-celebrazioni e le celebrazioni di tutte quelle donne (… di un tempo eh, oggi non se ne sentono più) che prima di farsi ricoverare in ospedale provvedevano a cucinare per il tempo della loro assenza perchè il marito e la famiglia ne fossero agevolati.

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Fabrizio Marchi 9:40 am - 6th Agosto:

Cara Rita, mi rivolgo a te perché sei una donna intelligente ed evoluta, e sei anche una di noi. Ma ovviamente la riflessione è estesa a tutti/e.
Non è possibile non notare il silenzio assordante, anche su questo blog, delle donne, rispetto al dramma rappresentato da questa ecatombe di genere e di classe che è la tragedia dei morti (maschi) sul lavoro.
Ormai sono moltissime le donne che leggono e intervengono su questo sito, per parlare di tutto e di più: relazione di coppia, gelosia,sesso, “corna”,adulterio,”darla o non darla”. Va benissimo, sia chiaro, anche noi per primi ci occupiamo di questi temi, anche perché la sessualità è uno dei nodi fondamentali della relazione fra i sessi.
Però non può passare inosservato il fatto che nessuna, ad eccezione di te, abbia avuto o abbia qualcosa da dire nel merito. E allora la domanda (inquietante) sorge spontanea: Perché questo silenzio? Che poi è lo stesso che c’è nella realtà quotidiana non solo da parte delle donne ma di tutto il sistema mediatico che si limita a denunciare il carattere sociale della tragedia ma non quello di genere.
Ripeto. Perché? Troppo scomodo come dato? Troppo palesemente disvelatorio della menzogna dell’oppressione maschile a senso unico? E allora meglio occultarlo, fare finta di nulla? Forse se portato alla luce minerebbe alla radice la vulgata dominante su cui si regge l’intera impalcatura?
Non vedo altre risposte. L’unica è stata quella di una che non voglio neanche nominare (altrimenti ritorna qui a fare polemiche) che, sollecitata dal sottoscritto ad esprimersi in tema, ha risposto:”Vedo che ci sono altri interessati all’argomento”.
Ora, al di là della risposta imbecille e cinica (forse volutamente) di quella tizia, la questione rimane.
Vogliamo provare ad aprire una riflessione nel merito, visto che l’argomento non è cosa da poco, io credo?
E vediamo se ci sarà qualcuna, fra le tante che ormai ci leggono, che avrà qualcosa da dire in proposito. E anche qualche maschio allineato e coperto al pensiero dominante, perché no. Chissà se qualche aderente a Maschile Plurale o a Femminile Plurale (ammesso che ci leggano) se la sente di pronunciarsi. Può darsi che a noi sfugga qualche elemento e che in realtà anche dietro a questi numeri si celi una qualche forma di oppressione maschile, chi può dirlo…
Fabrizio

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Rita 10:33 am - 6th Agosto:

bella domanda: risposte certe non ne ho se non che i morti non si lamentano e non possono lamentarsi, per loro si lamenta chi resta.

Giusto anche cio’ che dici tu: tra l’altro denunciare il carattere sociale del dato e non dell’individualità di genere significa, appunto, denunciare il disagio sociale .. che non puo’ essere di nessun’altro se non di chi resta, vale a dire molto sovente donne e bambini, le vedove e gli orfani che se la devono cavare da soli. E allora anche qui, come un cane che si morde la coda, riapparirà più evidente la lamentela delle donne, la difficoltà delle donne, tanto che, sembra paradossale, ma molte volte si ha l’impressione che i morti sul lavoro diventino un’ulteriore causa di discriminazione per le donne della classe sociale inferiore.
Di contro, succede sovente che si dia maggior risalto e maggior enfasi all’infortunio invalidante femminile (ancorchè molto più raro) perchè (l’avevo letto su qualche articolo tempo fa) la donna invalida avrebbe meno probabilità di ricevimento di cura, meno probabilità di futuro etc.
Come a dire.. un uomo senza una gamba troverà comunque qualche donna che lo cura, una donna senza gamba non troverà nessuno.
L’incredibile è che tutto sembra trasformarsi in un male per il genere femminile… una magia strana.

Un altro aspetto è sempre quello già detto: che, inconsciamente, le donne si siano sempre sentite un po’ inutili… non perchè non lavorassero, onestamente, se devo essere sincera, mia madre ad esempio ha sempre lavorato molto di più di mio padre, ma ha prodotto meno. Laddove predomina il lavoro fisico non puo’ che essere così. Le antiche suddivisioni del lavoro (cura per le donne e produzione per l’uomo) un pochino, secondo me, davano quest’impressione… il prodotto si vede, la cura un po’ meno, di qui il rimarcare continuo di cio’ che la donna fa, oggi ma anche ieri.

Sono di fretta e forse sono stata poco chiara e ho messo troppa carne al fuoco, ma, a mio avviso, questa è l’origine del silenzio maschile e del monologo femminile.

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Luke Cage 10:39 am - 6th Agosto:

Quando parlavo in un altro commento di superiore senso politico di genere delle donne (che sfocia spesso nel cinismo e nella malafede,come nell’esempio citato da Fabrizio) mi riferivo anche a questo opportunistico silenzio attorno a questa tragedia anti-storica e classista,che vede gli uomini beta vittime sacrificali e/o sacrificabili.Persino il New York Times è arrivato,come si evince dall’altro articolo inviatoci da saigon2k nella sezione lettere,a sollevare perplessità sulla divisione del lavoro tra uomini e donne impegnati/e sul fronte afgano..alcune discriminazioni sono meglio di altre, a quanto pare…

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ckkb 10:58 am - 6th Agosto:

Anche i famosi lavori domestici, e non solo quelli sul posto di lavoro, vedono il prevalere assoluto di morti e feriti gravissimi fra i maschi (http://www.maschiselvatici.it/pdf/incidenti_domestici.pdf) , a conferma, se fosse necessario, della recentissima ricerca inglese, sui giornali di oggi, secondo la quale i lavori domestici sono appannaggio più maschile che femminile. E fatti meglio e senza vittimismo. Oltre ai mai citati, pericolosissimi ma indispensabili lavori di manutenzione/riparazione della casa. Ma non eravamo in casa con le pantofole ai piedi, serviti di tutto punto, a far niente e a comandare le povere donne/serve, sfinite da una giornata sul lavoro e dalla affettuosa educazione e cura dei numerosi figli?
Troppa la distanza tra realtà e il racconto di essa.
La vera domanda pertanto, a mio avviso, non è perchè le donne tacciono sul sacrificio maschile della vita da sempre e a loro favore, e invece di nutrire profonda riconoscenza, rovesciano loro addosso ogni sorta di offese e accuse. Ma perchè ci troviamo a dover ogni giorno argomentare in difesa di una realtà evidentissima, su tutto. Ovvero perchè da un quarantennio a questa parte, la realtà è diventata un opzional da beauty-case, la scelta del colore del rossetto. E perchè l’intero sistema mediatico e politico-legislativo, è ormai fermissimo nel ritenere che il primo diritto da tutelare, senza se e senza ma, è questa libertà da beauty-case, il diritto alla libera sostituzione della realtà con fantasie femminili educate nel film femminista. Altrimenti detto diritto all’arbitrio. E’ pur vero che la perdita del rapporto tra realtà e fantasia, consegue a robuste bevute o energiche assunzioni di stupefacenti, o a patologie psichiatriche gravi, dipendenze tutte oggi di massa, ma è anche descritto dall’inizio dei tempi come effetto della sindrome tutta maschile di dipendenza dal femminile. E qualcuno qui, vista la situazione favorevole, ci è cascato e qualcun altro ci ha marciato, alla grande. Come sempre, a man a mano ci si disintossica, si resta di stucco: come hanno potuto i maschi scambiare la dipendenza con l’amore, l’arbitrio con la libertà, la menzogna con la realtà?

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maria 11:05 am - 6th Agosto:

Sventurata la terra che ha bisogno di eroi (B. Brecht). E voi ne siete l’esempio. Proviamo per un attimo a pensare all’immenso clamore mediatico costruito intorno alla legge sulle intercettazioni per farla passare come una legge a tutela della privacy di tutti gli italiani. TG, servizi, interviste tutto teso a dimostrare la bonta’ e l’urgenza di una legge “giusta” e indispensabile. Mai un uomo della strada ha risposto: a me non mi importa..io non ho nulla da nascondere, se le intercettazioni aiutano a scoprire i criminali..benvengano. Mai. Ora proviamo a immaginare se una piccola parte di questo clamore fosse dedicata alla QM nel merito delle morti sul lavoro. Stasera su RAI3 (l’unico che balbetta qualcosa sulle emergenze sociali) M. Cuffaro dice: anche oggi 4 morti sul lavoro, tutti uomini, come ieri e come saranno quasi certamente domani. Perche’? ecco il servizio..a seguire un’intervista del rappresentante dei padri separati che parlera’ di come le ex mogli (non la generica “separazione” ma donne in carne e ossa) rendano di fatto la vita impossibile a molti padri che rivendicano il loro ruolo. Sembra di parlare di scenari fantastici.. e sapete perche’? Innanzi tutto perche’ viviamo in un regime in cui il pensiero unico la fa da padrone e questo governo che fa della Carfagna un ministro dimostra fino in fondo di avere una certa simpatia per il ficapower e poi perche’ si puo’ sorvolare sui morti sul lavoro quando..il lavoro non c’e’. Correre il rischio di morire puo’ diventare un privilegio che al disoccupato non tocchera’. Nell’edilizia si registrano gli incidenti piu’ gravi: vi posso giurare che quando si apre un cantiere moltissimi ragazzi cercano raccomandazioni e promettono “regali” per poter essere assunti, e so bene di cosa parlo. Verita’, fa la tua strada. B Brecht.

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Leonardo 1:01 pm - 6th Agosto:

10 italiani per un tedesco.

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Fabrizio Marchi 2:08 pm - 6th Agosto:

Bè, ragazzi, meglio avere cento adultere dichiarate che ragionano come Maria, che centomila “perbene” e non dichiarate (adultere emolto peggio) che ragionano come chi so io…
Per lo meno io la vedo in questa maniera…
Fabrizio

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iM_pAVIDA 2:38 pm - 6th Agosto:

Quale ovvietà sig. Sotuttoio!!! Facile intuire il perchè della tua “preferenza”…
Ma attenzione, hai espresso un giudizio, non un pensiero:
“che centomila “perbene” e non dichiarate (adultere emolto peggio)”
Eppure tu che ammonisci chi giudica…Che ne sai tu?

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Fabrizio Marchi 3:03 pm - 6th Agosto:

“Quale ovvietà sig. Sotuttoio!!! Facile intuire il perchè della tua “preferenza”…
Ma attenzione, hai espresso un giudizio, non un pensiero:
“che centomila “perbene” e non dichiarate (adultere emolto peggio)”
Eppure tu che ammonisci chi giudica…Che ne sai tu?”. (Impavida)
Impavida, è il quarto commento su questa lunghezza d’onda che invii indirizzato personalmente al sottoscritto (in realtà gli altri sono più offensivi), solo oggi, e che ti ho censurato.
Ho provato a scriverti all’indirizzo di posta elettronica con il quale ci scrivi ma è risultato non essere valido.
Sono costretto a pubblicare sul blog quello che ti avevo scritto in privato per poterti rispondere, nella speranza che questo tormentone finisca:
“Impavida, o chiunque tu sia o qualsiasi possa essere il tuo nome, cerchiamo
di essere ragionevoli.
Nè il sottoscritto nè gli Uomini Beta hanno nulla contro di te.
Figuriamoci. Mi dispiace per le tue vicissitudini personali che d’altronde,
come tu stessa affermi, sono comuni a molti/e, forse la maggior parte delle
persone.
Cerchiamo di porre fine una volta per tutte a questa polemica. Non voglio
neanche entrare nel merito di chi l’abbia iniziata…Non me ne importa
nulla. Se vuoi ti do anche ragione basta che la facciamo finita qui.
Quello che devi capire è che noi siamo impegnati in un progetto
estremamente serio, impegnativo ed ambizioso. A te potrà anche fare schifo
ma è il nostro, quello in cui noi crediamo, ed è a noi che deve piacere,
non a te.
Non possiamo nè abbiamo voglia di perdere tempo ed energie preziose.
Sembra invece che tu faccia di tutto per andare in questa direzione.
Ci eravamo salutati sul blog, ci eravamo augurati buona fortuna e tu torni
per l’ennesima volta con i tuoi commenti indirizzati alla mia persona che non hanno nulla a che vedere con la discussione.
Impavida, lasciaci in pace, non capisco il perchè di tanto incaponimento
nei nostri confronti. Hai detto peste e corna di noi, ci hai insultati,
sbeffeggiati e nonostante ciò continui a scriverci.
Chiudiamola qui una volta per tutte. Che sia la volta definitiva. Abbiamo
chiuso con Nicole che, oltre a sbeffeggiarci anche “lei” (?), fa comunella
con individui come quella Chiara di Notte che se potesse ci
disintegrerebbe. Ora, per favore, cerchiamo di chiudere la questione anche con te. Va bene?
D’altronde tu ci detesti, in primis il sottoscritto, le nostre tesi sono tutte “minchiate”, noi siamo tutti dei frustrati, cosa te ne fai di ometti beta come noi? Nulla,
è evidente.
Quindi ciascuno per la sua strada. Una volta per sempre però. Se poi qualcuno dei nostri utenti vuole mettersi in contatto con te è ovviamente liberissimo di farlo, magari utilizzando come tramite il blog di Nicole, che sarà certamente così cortese da favorire il contatto.
Oppure, in alternativa, se vuoi darci un email vera e mi autorizzi a farlo, posso comunicarla, privatamente, a chi vuoi tu. Va bene?

Fabrizio Marchi

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Luke Cage 3:49 pm - 6th Agosto:

@Fabrizio:
potresti accusarla di “cyber-stalking”…

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Rino 6:12 pm - 6th Agosto:

I dati riportati in testa al thread sono precisamente quelli di cui avevamo bisogno. Grazie a Fabrizio, Rita e Saigon2k. Vedo però che la data del thread è il 30 gennaio…cribbio…erano già là da allora e non l’ avevo visto? Mio rimbambimento senile incipiente…?

Avevamo bisogno di quei dati che ora confermano incontrovertibilmente quel che varie considerazioni ragionevoli ci avevano cmq portato a pensare. Doveva essere così.
E’ così e non può essere che così: i M caduti sul lavoro (extra strada) sono 600/800 l’anno e le F 10/20. Insomma 700/15: 98 contro 2

Questo dunque è il prezzo pagato dai maschi sul fronte del procacciamento del reddito. Le considerazioni che ne derivano sono moltissime e molte sono già state presentate qui o in giro per siti e forum.

Quella sproporzione è, (non solo ma anche e soprattutto) manifestazione dei caratteri specifici dei due generi, uno centrato totalmente sull’autoprotezione e l’altro invece oscillante tra autoprotezione e slancio verso il rischio e persino amore del rischio che diventa talvolta tentazione e passione. Droga.

E’ ovvio che queste due basi di partenza, questi due diversi orientamenti sono stati alla base dell’esistenza sociale umana da sempre ed è pure ovvio che la denuncia quella sproporzione ha lo scopo di smantellare una (delle tante) menzogne femministe.

E’ anche ovvio che quei due diversi (e in parte opposti) orientamenti si riverberano in tutte le relazioni e in tutti gli ambiti, con conseguenze che suscitano questioni di portata fondamentale.

Ad es. sulla dipendenza diretta dei maschi da dirigentesse, cape, direttrici, presidentesse etc.

Quale protezione potrà avere il maschio inferiore dalla femmina superiore? Correrà essa dei rischi per tutelare la posizione dei sottoposti nei confronti dell’esterno? Si prenderà delle responsabilità rischiando al posto dei maschi?

Già è difficile trovare dirigenti UU che si espongano per i subalterni. Troveremo noi delle femmine?

E qui subentra un altro fattore che – sorprendentemente – ci costringe a ripensare il ruolo della pressione sociale sugli uomini paurosi. Rivendichiamo il diritto di avere paura senza per ciò smettere di essere UU. Bene, siamo evoluti e vogliamo liberarci di antichi fardelli. Ottimo.

Ma questo non ci esime dal riconoscere che la vergogna che per millenni è caduta sugli uomini paurosi era ciò che serviva per spingerli a rischiare, ossia, a fare ciò che nessun altro potrebbe.

Insomma, la celebrazione del coraggio maschile e il prestigio del coraggioso, contro cui il femminismo si scaglia da sempre, era ed è una delle condizioni per avere il pane sulla tavola, una delle garanzie che, in caso di bisogno, qualcuno (maschio) sarebbe venuto in nostro soccorso rischiando la pelle. Benefici dunque di cui per prime hanno goduto le femmine.

E di cui ancora godono, visto che i maschi muoiono sul lavoro al posto di esse ancor oggi nonostante tutto e ad onta dell’onta nella quale viene gettato il nostro genere.

E qui ci si allaccia pure alla famosa espressione di Brecht sugli eroi, che – a mio parere – ha un lato illuminante ma ne ha anche uno tetro e regressivo.
In estrema sintesi direi: “Se non ci sono eroi non c’è luce, è la notte perpetua.”

Ne parleremo.

RDV

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Leonardo 7:13 pm - 6th Agosto:

Secondo me iM_pAVIDA si è innamorata, un leader carismatico di un gruppo di maschi ribelli….

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Fabrizio Marchi 7:55 pm - 6th Agosto:

Non ti ci mettere pure tu, Leo…smile che qui la situazione è già complessa di per sè, se ci mettiamo pure noi il carico da undici allora è proprio finita…:-)smile

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armando 10:20 pm - 6th Agosto:

Rino: “Ma questo non ci esime dal riconoscere che la vergogna che per millenni è caduta sugli uomini paurosi era ciò che serviva per spingerli a rischiare, ossia, a fare ciò che nessun altro potrebbe.

Insomma, la celebrazione del coraggio maschile e il prestigio del coraggioso, contro cui il femminismo si scaglia da sempre, era ed è una delle condizioni per avere il pane sulla tavola, una delle garanzie che, in caso di bisogno, qualcuno (maschio) sarebbe venuto in nostro soccorso rischiando la pelle. Benefici dunque di cui per prime hanno goduto le femmine.

E di cui ancora godono, visto che i maschi muoiono sul lavoro al posto di esse ancor oggi nonostante tutto e ad onta dell’onta nella quale viene gettato il nostro genere.

E qui ci si allaccia pure alla famosa espressione di Brecht sugli eroi, che – a mio parere – ha un lato illuminante ma ne ha anche uno tetro e regressivo.
In estrema sintesi direi: “Se non ci sono eroi non c’è luce, è la notte perpetua.”
Grandissimo Rino, grandissimo. La tua frase finale è una perla. Senza il maschile eroico non ci sarebbe stato il mondo. Punto e basta.
Quanto allo “strano” fenomeno per il quale sembra che le maggiori vittime della mortalità sul lavoro siane le vedove dei morti e non i morti stessi , ricordate la tragedia del sommegibile atomico sovietico Kursk affondato nel 2000 con oltre cento uomini a bordo? La Repubblica ebbe il coraggio di scrivere, in un articolo mi sembra di Renata Pisu, che le donne erano le maggiori vittime dei “giochi di guerra maschili”. E non ci si ferma a questo. Quando si scrive delle guerre civili o religiose, un tema sempre presente è la deplorazione degli stupri etnici sulle donne, presentate immancabilmente come le maggiori vittime di questo tipo di guerra. Ci si dimentica sempre di dire, però, che gli stupri etnici (mai deplorati abbastanza), sono preceduti dallo sterminio dei maschi. Per fiaccare un popolo, cioè, si uccidono gli uomini e si stuprano le donne. Ma è peggio essere uccisi o stuprati? La risposta mi pare ovvia, a meno di pensare che la vita di un uomo non ha valore e che conta solo l’integrità fisica della donna.
Voglio essere chiaro. La mia polemica non è contro le donne, e tantomeno una giustificazione delle violenze. Ma non si può, non si può, tacere le verità elementari. Qualsiasi cosa si possa e si debba fare, deve necessariamente partire dalla fotografia della realtà, senza omissioni interessate che hanno sempre un carattere ideologico teso non alla verità degli eventi ma a convalidare una tesi.

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Fabrizio Marchi 10:30 pm - 6th Agosto:

Il sommergibile era russo, Armando, non più sovietico…che sia un lapsus freudiano?…smile
Non cambia la sostanza, ovviamente…
Ciò detto, vorrei sottolineare il fatto che Maria ci ha dato dgli eroi…non se è chiaro o forse vi è sfuggito…pur nella contraddittorietà del concetto, non mi pare cosa da poco…smile
Ammesso e non concesso che lo fossimo, avremmo di gran lunga preferito non esserlo, per lo meno per quanto riguarda il sottoscritto.
Fabrizio

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Alessandro 8:40 am - 7th Agosto:

Perchè non si parla di questi vergognosi dati? Perchè fa comodo occultarli. Fa comodo a taluni imprenditori, che in base al loro reddito annuale potremmo ben definire appartenenti alla categoria “alfa” e che spesso siedono diretttamente o indirettamente in Parlamento, i quali limitando al massimo le spese sulla sicurezza nel posto di lavoro vedono crescere all’inverosimile i loro profitti, contando sul fatto che dei poveri cristi disposti a tutto si trovano sempre sul “mercato del lavoro”, e fa comodo a femministe e affini che possono continuare a raccontare le solite favole senza timore di smentita. Insomma si prendono due piccioni con una stessa fava e ciò è una prova ulteriore di quell’alleanza tra poteri forti, quello ECONOMICO/”politico” e quello femminista che fanno il bello e il cattivo tempo nell’attuale società occidentale. Ma dove sono spariti coloro che dovrebbero denunciare tutto ciò, ossia dove sono i partiti, i movimenti di sinistra? Bè, costoro stanno solidarizzando con l’ultimo demenziale documentario femminista, oramai diventato il nuovo cavallo di battaglia, visto che fa bella mostra di sè in quasi tutti i siti femministi e di sinistra. D’altronde le “emergenze” nazionali sono dettate dal palinsesto televisivo e il popolo teledeficente annuisce convinto. Povera sinistra, con Zapatero come idolo, che invece di vergognarsi per avere un pauroso tasso di disoccupazione maschile e femminile in Spagna, ben superiore a quello italiano, si vanta di aver piazzato qualche donna al governo e giù applausi. Siamo proprio messi male.

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Icarus.10 1:44 pm - 7th Agosto:

Gli unici svantaggi della donna rispetto all’ uomo, in Occidente, sono il travaglio del parto(e della gravidanza) e il non poter pisciare all’ in piedi. Le difficoltà ordinarie della vita colpiscono sia maschi che femmine, e io conosco donne per bene che vanno avanti nella vita tra tanti ostacoli e. difficoltà. Ma la vita dei maschi, in genere, è molto più difficile e dura. Lo dimostrano i dati, i fatti, l’evidenza. Il resto solo solo chiacchiere derivanti dall’ Invidia Penis.
Mentre vi sono tanti e tanti maschi che lavorano ogni giorno in condizioni massacranti e pietose(in luogo delle femmine, 98% dei morti sul lavoro), che vivono nell’atrocità dello strazio dell’ abbandono e/o della solitudine(la maggior parte delle rotture dei rapporti sentimentali sono ad opera delle donne, la stragrande maggioranza dei barboni è maschile, la maggior parte dei single non per propria scelta è maschile, ecc), che vivono l’efferata crudeltà del carcere, che vivono la loro condizione di divorziati tra il dormire nella propria auto e il mangiare alla mensa della Caritas, eccettera eccetera..ecco che le varie ricche, sculettanti e viziate Barbara d’Urso, Chiare di Notte, ecc se ne escono fuori con un “noi donne siamo oppresse dal maschile, gli uomini detengono il potere su di noi..bla..bla..”. La Vergogna, in questo mondo, è sempre merce più rara.
Ah, voglio dire un’ altra cosa sui morti del lavoro. Una volta sentii dire su tv e giornali a riguardo dei morti sul lavoro che le vere vittime non sono i lavoratori che muoiono ma le loro mogli. Ancora una volta uno sporco tentativo di sminuire i meriti e i sacrifici maschili per esaltare la figura femminile, oltre che uno sporco e misero giochetto di disonestà intellettuale.Chi è morto non può più tornare in vita, mente il caro del morto, pur con l’atroce dolore della perdita del caro, continua a vivere e può riprendersi dal dolore. Certo che il dolore a seguito della perdita di un caro è davvero atroce e talvolta insostenibile(e io lo so bene, lo sto provando sulla mia pelle), ma davvero si può dire che la moglie sia un “caro” del marito???. Ma scusate, da quando in qua, queste mogliettine occidentali sarebbero così attaccate ai loro mariti al punto che la perdita di questi ultimi causa loro un dolore così atroce da essere considerato peggiore del morire(cioè la morte marito)?? Trovatemi una, almeno una, di donna che prima o poi, non lascia il marito!!! Trovatemene una!!!! Le statistiche parlano chiaro: tutte le coppie, prima o poi, si sfasciano e a chiedere la rottura sono sempre, o quasi, le donne. Con tutto l’atroce strazio interiore(che culmina sempre nella depressione, e talvolta anche nel suicidio) che subisce il marito(o fidanzato) lasciato. Cioè di quel marito che se non fosse morto sul lavoro, lei prima o poi lo avrebbe lasciato, mandandolo via di casa(dalla casa del marito) e rimanendo sorda, cinicamente e perfidamente sorda all’ atroce strazio dell’ex marito e quindi alle sue suppliche disperate nel tentativo di voler riallacciare il rapporto, culminante nella depressione e talvolta nel suicidio. E ora questi pennivendoli e femministucole se ne escono che le mogli dei morti sul lavoro soffrono, e soffrono al tal punto da dover essere considerate loro le “vere vittime”. Ma a chi vogliono prendere per il culo???!!! Semmai l’unica cosa che le mogli, teoricamente potrebbero perdere a seguito della morte del marito è il suo portafoglio, cioè i suoi soldi. Ma su questo non c’è problema, perchè vengono risarcite(giustamente) dalla pensione apposita di vedovanza a seguito di una morte sul lavoro.

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Roberto 3:08 am - 8th Agosto:

Scusate, ma non credete che anche gli uomini “beta” siano parzialmente responsabili di ciò? Vorrei fare notare che fra di loro ce ne sono molti capaci di scannarsi per una partita di calcio, ma, al tempo stesso, incapaci di mettere due parole di fila riguardo a certi argomenti.
Per esempio, perché gli stessi operai non scrivono in massa alle redazioni dei giornali? Perché non manifestano, non fanno cortei, al modo delle vecchie femministe? Ma un cervello per pensare, lo hanno oppure no? Perché sono così apatici e passivi? Perché non hanno energia?

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Fabrizio Marchi 7:23 am - 8th Agosto:

Roberto, perdona la franchezza ma trovo la tua argomentazione abbastanza simile nello spirito a quella di una utente del blog di cui non ricordo il nome, che un po’ di tempo fa sosteneva che la colpa del proliferare della prostituzione è da attribuire agli uomini che ne usufruiscono…
Quello che hai detto suona un pochino così:”Scusate, ma perché gli schiavi non si ribellano? La colpa è la loro se esistono i tiranni che li opprimono e li schiavizzano…”. C’è solo voluto qualche millennio per superare la schiavitù…
E grazie al cavolo, mi viene da dire, Roberto. Potremmo proseguire all’infinito, con questa logica. Perchè a tutt’oggi il 90% dei poveri del mondo (ai vari livelli, ma questa è la percentuale) non si ribella al 10% dei ricchi che li tengono in quelle condizioni e li manda a cagare una volta per tutte? Eh già, è così facile, che ci vuole…Perché questi poveri non si ribellano, non fanno cortei, non protestano, non scrivono alle redazioni dei giornali, come dici tu?…Tanto più che sono la grande maggioranza della popolazione…
Perché l’umanità è messa come è messa, Roberto, praticamente da sempre? Non potremmo essere tutti fratelli e sorelle, come diceva Qualcuno, e smetterla di scannarci, sfruttarci, opprimerci, farci la guerra ecc.? E’ così facile, che ci vuole…E infatti è così facile che quel Qualcuno lo hanno inchiodato su una croce…E le cose, a distanza di duemila anni, non vanno ancora per il meglio in questo nostro mondo, fin da quando il primo umanoide ha fatto la sua comparsa in qualche savana dell’attuale Botswana…
E su, Roberto, per favore…
Fabrizio

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Alessandro 9:12 am - 8th Agosto:

Roberto: Scusate, ma non credete che anche gli uomini “beta” siano parzialmente responsabili di ciò? Vorrei fare notare che fra di loro ce ne sono molti capaci di scannarsi per una partita di calcio, ma, al tempo stesso, incapaci di mettere due parole di fila riguardo a certi argomenti. Per esempio, perché gli stessi operai non scrivono in massa alle redazioni dei giornali? Perché non manifestano, non fanno cortei, al modo delle vecchie femministe? Ma un cervello per pensare, lo hanno oppure no? Perché sono così apatici e passivi? Perché non hanno energia?
>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>Limitatamente all’argomento relativo alla sicurezza nel posto di lavoro, ai diritti nel posto di lavoro, si vive un costante ricatto del tipo: o ti adegui o ti sbatto fuori. Non è facile far sentire le proprie ragioni in un clima del genere. Gli ultimi venti anni di involuzione da parte della sinistra sui temi del lavoro, del welfare, ecc., e la grande aggressività della destra, che ha cavalcato la grande sbornia neoliberista, dopo la caduta dell’alternativa ideologica, hanno riportato l’Italia a una condizione di arretratezza in questi ambiti. Gli stessi sindacati preferiscono sempre più gli accordi al ribasso piuttosto che procedere a un sano conflito sociale ( a questo proposito mi viene in mente invece il caso francese, in cui tutto si blocca fino a che non viene conseguito il risultato, come spesso accade). Le responsabilità vanno chiaramente distribuite ( siamo oramai impregnati di individualismo, e non riusciamo più a scorgere se non il nostro limitato orizzonte personale, il nostro tornaconto personale o tutt’al più di classe, o di genere, come nel caso di una larga fetta del mondo femminile, ma quasi mai di interrogarci sul benessere collettivo), ma senza dubbio a essere più responsabili sono coloro che stanno in alto, la classe dirigente, che ha abdicato al suo ruolo e si è fatta ancella del grande potere economico, che, come sappiamo tutti, è la vera classe dirigente. In Italia, poi, è tutto molto evidente. Fino a che il potere politico non avrà il coraggio d’imbrigliare il grande potere economico e riportarlo all’ordine, come dovrebbe essere naturale, la situazione andrà sempre più peggiorando. Anche la sinistra ha preferito calvalcare la politica del “disimpegno”, la politica più facile, la politica del laissez faire( ci ricordiamo tutti la retorica sul precariato, definito flessibilità) insomma ha preferito americanizzarsi, piuttosto che rilanciarsi secondo la migliore tradizione europea, liberandosi di alcuni fardelli che invece sono ancora lì vivi e vegeti, tra cui quelli, come giustamente afferma Fabrizio, che mettono contro gli uomini e le donne nella stessa condizione socio-economica.
Sul calcio, hai ragione. Secondo me va considerato il nuovo oppio dei popoli. Sia chiaro, guardarsi una partita di calcio è piacevole, giocare a calcio è appassionante, ma stare lì a celebrare quei quattro miliardari e i loro padroni è veramente ridicolo. L’emancipazione passa anche attraverso questa consapevolezza.

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Roberto 3:03 pm - 8th Agosto:

Limitatamente all’argomento relativo alla sicurezza nel posto di lavoro, ai diritti nel posto di lavoro, si vive un costante ricatto del tipo: o ti adegui o ti sbatto fuori. Non è facile far sentire le proprie ragioni in un clima del genere. (Alessandro)
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D’accordo, ma resta il fatto che noi viviamo nel XXI secolo, ovvero nell’era di internet e dei mezzi di comunicazione di massa, nonché in un’epoca in cui – nonostante i tanti limiti italiani, specie al sud – il tasso di alfabetizzazione è nettamente superiore a quello di quaranta-cinquanta anni fa. Perciò chi impedisce a questi uomini di farsi sentire in massa, perlomeno nel nostro paese, dove non vige alcun regime dittatoriale di stampo sovietico, fascista o nazista? Come mai tanti uomini “beta” non si fanno problemi a urlare pubblicamente il loro dissenso, perché la loro “squadra del cuore” non ha acquistato questo o quel calciatore, ma al tempo stesso non sanno spiccicare due parole come si deve riguardo alla tragedia dei morti sul posto di lavoro, ed al fatto che la quasi totalità di quei morti appartiene al sesso maschile? Alessandro, Fabrizio, sappiate che su questo mondo nessuno regala niente a nessuno, e pertanto, senza lottare, non si ottiene nulla.
Inoltre, come ho già avuto modo di scrivere, io ritengo gli uomini “beta” parzialmente (NON totalmente, mi pare ovvio…) responsabili della loro condizione.
E’ chiaro che prima di loro ci sono altri, ma ciò non toglie che, al riguardo, milioni di uomini non sappiano mettere due parole in fila. Prendetene atto.

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armando 3:43 pm - 8th Agosto:

Fabrizio: Il sommergibile era russo, Armando, non più sovietico…che sia un lapsus freudiano?…smile
Touchè! Si, è anche possibile sia un lapsus freudiano, ma nel senso che non attribuisco alle menzogne o all’eroismo caretteristiche ideologiche ma umane, nel senso che ci sono dappertutto.
A proposito di eroismi aggiungo che non ci sono solo gli eroi guerrieri, ci sono anche gli eroi civili. Appunto come quei marinai russi che tentarono di disinnescare il reattore sapendo di morire anche se fossero arrivati i soccorsi, O come gli operai di Chernobil che si sacrificarono per risparmiare le vite di altri, o ancora come i pompieri di New York.
Questo è un aspettto fondamentale del maschile, che è transpersonale e tendenzialmente universale. Una donna è capace di sacrificarsi per i suoi figli, un uomo anche per i figli altrui. Quì è la differenza ontologica, che si trova in natura e che nessuna cultura ha mai messo in dubbio fino a ieri. Oggi si.
Ma se non riconosciamo a noi stessi questa capacità, se ci appiattiamo sui caratteri del femminile, cosa rimane del maschile?
Per questo trovo la frase di Brecht tragica e terribile (e sbagliata). Non che si debba ambire a diventare eroi, ma la vita necessita di eroi e sarà sempre così a meno di pensare una società irreale e utopica, il mondo delle fiabe politicamente corrette che ci racconta il femminismo buonista. Quando c’è bisogno occorre che un maschio sappia dire “eccomi”, come ancora oggi è. E che, in questi tempi disgraziati, sappia anche rivendicare a piena voce questa sua caratteristica, e rinfacciarla e sbatterla in faccia ogni giorno, ogni minuto, a chi gliela disconosce. Ieri non era così, oggi si, dunque adeguamoci. Ma sarebbe letale rinunciare a ciò che ci distingue. Paradossalmente faremmo ciò che l’avversario vorrebbe facessimo per sminuirci ancora. Insomma non ci si può castrare per punire la moglie.
Agganciato a questo c’è anche la questione degli infortuni sul lavoro. Ogni cosa per limitarli deve essere fatta assolutamente, ma ci saranno sempre, inutile illudersi. Certi lavori sono come la montagna. Presentano rischi oggettivi, che non possono essere eliminati del tutto, e rischi soggettivi (mancanza di esperienza, imprudenza, attrezzature, sistemi di sicurezza e soccorso) che, questi si, possono e debbono essere eliminati. Detto questo, e stgmatizzati mai abbastanza i datori di lavoro che costringono i dipendenti a lavorare non in sicurezza, c’è anche da dire che le statistiche ufficiali indicano una tendenza pluriennale alla diminuzione. Questo per amore di verità, anche se ho un dubbio. Tengono conto quelle statistiche anche dei lavoratori clandestini o solo di quelli regolarmente iscritti all’Inail? E’ chiaro che le cose cambierebbero nella sostanza.

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Rino 7:02 pm - 8th Agosto:

Certamente alcuni si staranno annoiando nel leggere, in calce a molti miei post, la promessa/impegno (…minaccia…!):
“Ne parleremo”. Il fatto è che una volta sollevato il macigno della QM ne escono problemi e questioni sia di portata fondamentale sia di minor rilevanza, ma nell’insieme di una vastità tale da prefigurare una nuova stagione culturale nella quale dovranno essere sviscerate tutte le implicazioni di questa nuova presa di coscienza. Dovrà essere rivisitato l’intero racconto che l’Occidente ha prodotto su se stesso, la storia, la psicologia etc. Ne usciranno rigenerate, modificate o stravolte tutte le scienze umane. Un compito colossale che sta davanti a noi e alle generazioni maschili (ma anche femminili) future. Alcuni temi sono stati già approfonditi sia nella letteratura del Momas internazionale e italiana sia nelle pagine del web (siti, forum, blog, liste). Ma siamo solo agli inizi.

1- Eroi 1. La sentenza di Brecht è ambivalente. Cmq la si giudichi ha almeno il vantaggio di porre la questione.
A suo tempo e luogo (anche qui, perché no?) approfondiremo gli interrogativi che essa pone.

2- Eroi 2: Maria dice che siamo eroi. A prescindere dal motivo per cui lo dice (che non conosco), dice la verità. Su questo punto la mia convinzione è radicata e ogni giorno confermata. Ne ho già suggerito varie volte i motivi. Ma ci tornerò.

3- Morti sul lavoro: maschi e di serie B su questo non ci sono obiezioni. Ci sono due prospettive di fronte a questo problema: augurarsi che le FF cadute siano pari ai MM e che ci siano tanti Alfa quanti Beta. La seconda ipotesi è esclusa in partenza in società piramidali, la prima non si verificherà mai per ragioni diverse e non è detto che sia male, in sé e per sé, che M rischi per F. Beninteso sotto altri cieli e altri valori.

E’ fuori discussione che il numero dei caduti sul lavoro deve essere ridotto ai minimi termini, come è fuori discussione che le responsabilità della mattanza sono chiare e individuabili, sia in ambito sistemico che individuale.
Nondimeno morti sul lavoro ce ne saranno sempre, come ce ne sono stati anche in società non capitalistiche.
La ragione è ovvia: le scrivanie non crollano le miniere invece sì.
Ci sono dunque dei prezzi che stanno sulle spalle maschili e precisamente dei lavoratori manuali. Quel che è in discussione è dunque: la dimensione del fenomeno, la sua valutazione sociale, le compensazioni sociali connesse e il rapporto con la questione di Genere.
I minatori della Slesia – al tempo della Polonia comunista – avevano stipendi più alti, pensione anticipata ed un grande prestigio sociale. Nessuno indicava le mogli come “prime vittime” degli incidenti in miniera dove i mariti morivano. Poi si scoprirà (ma non c’era bisogno di scoprirlo) che la sicurezza nelle miniere dell’Est era ben inferiore che nell’Ovest. Fatto apparentemente contraddittorio e invece banale da prevedere.
Ma qui si apre un altro capitolo, alla cui analisi non mi sottraggo, certo. Parleremo anche di questo.

4- “Gli operai non si difendono, è colpa loro”.
Se i deboli le prendono la colpa è di chi li picchia.
Altro è invece analizzare le cause di quel che è accaduto e sta accadendo e considerare anche le responsabilità individuali e collettive di chi le prende senza reagire. Lo stesso può dirsi degli UU di fronte alla QM ma solo a fini di sfida e provocazione: “Se non ti proteggi e difendi tu stesso che sei il colpito, chi lo farà?”

RDV

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Rita 7:31 pm - 8th Agosto:

262 uomini morti, morti azzurre (mutuo il termine coniato da LesPaul)
un ricordo: oggi è l’8 agosto anniversario della strage di Marcinelle: uomini utilizzati come “merce di scambio” tra il governo italiano e il governo belga con l’accordo minatori-carbone. L’Italia forniva manodopera, forniva uomini in cambio di carbone. Un commercio di corpi legale, accettato dalla maggior parte delle persone, istituzioni comprese.

http://associazionereds.com/2010/08/08/la-tragedia-di-marcinelle-morti-bianche-noomicidi-ad-orologeria/

un’ultima nota: le morti per mesotelioma pleurico (causato dall’amianto) sono aumentate nel periodo tra il 1973 e il 1984 per il 300% tra i maschi caucasici

fonte: http://www.eric-jacob.com/malapedia/info-il+mesotelioma+della+pleura+tumori+maligni+del+pleura+il+mesotelioma+lo+scandalo+amianto+amianto+laasbestosi+il+mesotelioma+della+pleura-it-C45.0-salute.php

Tra il 1973 e il 1984, l″incidenza del mesotelioma pleurico tra i maschi caucasici aumentato del 300%. Dal 1980 alla fine degli anni 1990, il tasso di morte per mesotelioma negli Stati Uniti è aumentato da 2.000 a 3.000 euro all″anno, con gli uomini quattro volte più probabilità di ottenerlo rispetto alle donne. Questi tassi potrebbero non essere precisi, in quanto è possibile che molti casi di mesotelioma sono mal diagnosticato come adenocarcinoma del polmone, che è difficile da differenziare da mesotelioma.

Sulla diatriba amianto segnalo questo articolo dell’Inail relativo a una condanna di risarcimento per le morti di amianto.

http://www.inail.it/Portale/appmanager/portale/desktop?_nfpb=true&_pageLabel=PAGE_SALASTAMPA&nextPage=Per_i_Giornalisti/Rassegna_Stampa/Indice_Cronologico/2010/Agosto/05/INAIL_territoriale/info1013284216.jsp

Nessuno sconto sui risarcimenti. I tre sono stati condannati a pagare all`Inail una maxi provvisionale che strage invisibile che si è consumata nei Cantieri navali di Palermo. Il killer silenzioso – leggasi amianto – ha ucciso 37 operai e ne ha fatto ammalare altri 24 (in vita, ma colpiti da mesotefioma pleurico e asbestosi). Ma non solo. Di amianto è morta anche la moglie di un operaio, colpevole di essersi dedicata alla pulizia della tuta del marito.

La sentenza chiude (seppure parzialmente, considerato che gli imputati sono pronti per il ricorso) uno dei tre filoni dell`inchiesta partita ammonta complessivamente a 4.200.000 euro; un`altra provvisionale, per un milione e mezzo di euro, è IN 24 COLPITI DA MESOTELIOMA PLEURICO E ASBESTOSI. TRA LE VITTIME ANCHE UNA DONNA: A CAUSA DELLA MANCANZA DELLA LAVATRICE, PULIVA CON LE MANI LA TUTA DEL MARITO.

Sconcertante …sembra che l’unico modo per rilevare la tragedia dei morti sul lavoro come MASCHILE sia la presenza di almeno UNA DONNA che possa far pensare alle vittime come uomini per induzione.

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Silver 12:39 pm - 9th Agosto:

IL MITO DEL POTERE MASCHILE, di Warren Farrell
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L’uomo come «negro»?
Agli albori del movimento femminile, un articolo pubblicato su Psychology Today e intitolato: «Donna come negro» indusse subito gli attivisti femministi (me compreso) a stabilire paralleli tra l’oppressione delle donne e l’oppressione dei neri.[29] Gli uomini erano gli oppressori, i «padroni», gli «schiavisti». Fu spesso citata l’affermazione di Shirley Chisholm, membro del Congresso degli Stati Uniti, secondo cui era molto più discriminata come donna che come nera.
Il parallelo consentì di applicare alle donne i diritti a fatica conquistati dal movimento per i diritti civili. I paralleli contenevano in sé parecchi fondamenti di verità. Ma ciò che nessuno di noi comprese era che in modi diversi ogni sesso è schiavo dell’altro, e pertanto nessuno dei due era un negriero, cioè opprimeva unilateralmente l’altro.
Se i «maschilisti» avessero fatto un simile paragone, sarebbero diventati un caso, come le femministe. Il paragone è utile perché soltanto dopo aver compreso che gli uomini sono anche servitori delle donne otterremo un quadro chiaro della divisione sessuale del lavoro e di conseguenza della falsità implicita nel paragone tra un «negro» e uno dei due sessi. Partiamo dalle origini…
Per colpa della schiavitù i neri furono costretti a mettere a repentaglio la vita nei campi di cotone, in modo che i bianchi ne traessero un beneficio economico. Per colpa della leva gli uomini furono costretti a rischiare la vita sui campi di battaglia in modo che gli altri ne traessero vantaggi economici, mentre gli uomini morivano prematuramente. Il numero sproporzionato di neri e di uomini in guerra aumenta la probabilità, sia per i neri sia per gli uomini, di essere vittime di stress post-traumatico, di trasformarsi in killer nella vita civile del dopoguerra e di morire prima. Sia gli schiavi sia gli uomini morirono per dare al mondo la libertà… di cui godono altri.
Agli schiavi venivano strappati i figli contro la loro volontà; agli uomini vengono strappati i figli contro la loro volontà. Diciamo alle donne che hanno diritto ad avere i loro figli, e diciamo agli uomini che devono combattere per i figli.
I neri furono costretti, per colpa della schiavitù, ad accettare i mestieri più pericolosi; gli uomini sono costretti, per colpa della socializzazione, ad accettare i lavori più rischiosi. Insieme, schiavi e uomini svolgevano quasi il 100 per cento delle «professioni mortali». Per gli uomini è tuttora così.
Quando gli schiavi cedevano il posto ai bianchi, parlavamo di servilismo; quando gli uomini cedono il posto alle donne parliamo di buone maniere. E consideravamo un segno di servilismo il fatto che gli schiavi si alzassero immediatamente quando il padrone entrava nella stanza; ma diventa una dimostrazione di cortesia se degli uomini si alzano quando entra una donna. Gli schiavi s’inchinavano al padrone; nelle culture tradizionali tuttora gli uomini salutano le donne con un inchino.[30] Lo schiavo aiutava il padrone a infilarsi il cappotto; l’uomo aiutava la donna a infilarsi il cappotto. E lo fa ancora. Questi simboli di deferenza e di servilismo sono comuni agli schiavi, nei confronti dei padroni, e agli uomini, nei confronti delle donne.
Più frequentemente dei bianchi, i neri sono dei senzatetto; più frequentemente delle donne gli uomini non hanno casa. I neri vanno in prigione più dei bianchi; gli uomini vanno in galera in misura venti volte superiore rispetto alle donne. I neri muoiono più giovani dei bianchi; gli uomini muoiono più giovani delle donne. I neri vanno meno dei bianchi al college e in numero inferiore prendono la laurea. Gli uomini frequentano il college meno delle donne (46 contro 54 per cento) e in numero inferiore si laureano (45 contro 55 per cento).[31]
L’apartheid costrinse i neri a lavorare nelle miniere di diamanti per i bianchi; la socializzazione prevede che gli uomini fatichino in maniere differenti per comprare diamanti alle donne. Mai nella storia si è avuta una classe dirigente che lavora per poter offrire diamanti agli oppressi, nella speranza di ricevere da loro più amore.
I neri più dei bianchi vanno volontari in guerra nella speranza di guadagnare bene e di apprendere; per gli stessi identici motivi gli uomini più delle donne vanno volontari in guerra. I neri più dei bianchi tendono a sottomettersi alla violenza infantile della box e del calcio nella speranza di guadagnare denaro, rispetto e amore; con le medesime speranze gli uomini più delle donne si sottopongono alla violenza infantile della box e del calcio.
Le donne costituiscono l’unico gruppo «oppresso» che cresce grazie a un proprio membro privato della classe degli «oppressori» (detto padre) che lavora per loro. Tradizionalmente, la classe dirigente aveva delle persone che lavoravano per lei: si chiamavano schiavi.
Tra gli schiavi, lo schiavo che lavorava nei campi era considerato uno schiavo di seconda categoria; lo schiavo di casa era invece uno schiavo di prima categoria. Il ruolo maschile (fuori, sul campo) è assai simile a quello dello schiavo che lavorava nei campi, o schiavo di seconda categoria; il tradizionale ruolo femminile (casalinga) è simile a quello dello schiavo di casa – lo schiavo di prima categoria.
I capifamiglia neri hanno entrate nette molto inferiori rispetto ai capifamiglia bianchi; i capifamiglia hanno entrate nette molto inferiori rispetto alle donne capifamiglia.[32] Mai un gruppo oppresso ha guadagnato più dell’oppressore.
Sarebbe assai arduo trovare anche un unico esempio nella storia di un gruppo che detiene oltre il 50 per cento dei voti, e continua a definirsi vittima. O un esempio di oppressi che decidono dì votare per i loro «oppressori» invece di scegliere tra i propri membri coloro che si prenderanno la responsabilità della cosa pubblica. Soltanto le donne costituiscono una minoranza che è una maggioranza; soltanto le donne formano un gruppo che si definisce «oppresso» ed è in grado di controllare virtualmente gli eletti a qualsiasi carica in ogni comunità del paese. Il potere non sta nelle mani di chi assume la carica: il potere è nelle mani di chi sceglie la persona che assumerà la carica. Neri, irlandesi o ebrei non hanno mai avuto oltre il 50 per cento dei voti in America.
Le donne sono l’unico gruppo «oppresso» ad avere i genitori in comune con gli «oppressori» e a essere nato nella classe media o superiore con la stessa frequenza dell’«oppressore»; a possedere più beni culturali di lusso dell’«oppressore»; l’unico gruppo «oppresso» che, grazie al «lavoro non retribuito», può permettersi di comperare la maggior parte dei 50 miliardi di dollari di cosmetici che si vendono ogni anno; l’unico gruppo «oppresso» che spende di più per l’alta moda e per la moda griffata degli «oppressori»; l’unico gruppo «oppresso» che a qualunque ora guarda la TV più degli «oppressori».[33]
Spesso le femministe paragonano il matrimonio alla schiavitù – e la donna, naturalmente, è la schiava. Sembrerebbe un insulto all’intelligenza femminile affermare che il matrimonio è una schiavitù per le donne, quando sappiamo che sono 25 milioni le donne americane[34] che leggono mediamente venti romanzi rosa al mese,[35] spesso sognando il matrimonio. Forse per questo le femministe pensano che 25 milioni di americane abbiano fantasie «di schiavizzazione»? Perché sognano a occhi aperti il matrimonio? È per questo motivo che Danielle Steel è l’autrice più venduta del mondo?
Non è mai esistita una classe di schiavi che abbia passato tanto tempo a sognare di essere schiava e ad acquistare libri e riviste che insegnano «Come indurre un padrone di schiavi a legarsi». Dunque, o il matrimonio è qualcosa di diverso dalla schiavitù, oppure le femministe fanno pensare che le donne non siano molto intelligenti.
La differenza tra schiavi e maschi è che raramente i neri afroamericani considerano la loro schiavitù come «potere», mentre agli uomini hanno insegnato a considerare la loro schiavitù come «potere». In effetti, se gli uomini fossero schiavisti e le donne delle schiave, perché mai gli uomini passerebbero la vita a mantenere le «schiave» e i figli delle «schiave»? Perché non dovrebbero essere le donne a mantenere gli uomini, così come i sovrani erano mantenuti dai sudditi? La consapevolezza dell’impotenza dei neri ci ha consentito di riconoscere come «immorale» quello che facevamo loro, e tuttavia continuiamo a definire «patriottismo» ed «eroismo» quello che fanno i maschi quando uccidono in nome nostro, ma «violenza», «assassinio» e «cupidigia» quando uccidono le persone sbagliate nel modo sbagliato e al momento sbagliato.
Dopo esserci resi conto che ciò che facevamo ai neri era immorale, abbiamo sentito anche il bisogno dì alleviare i nostri sensi di colpa con programmi che apportassero miglioramenti e benessere nella loro vita. Considerando gli uomini come oppressori dominanti che fanno quel che fanno per potere e cupidigia, non ci sentiamo molto in colpa quando muoiono presto. Ma pensando che le donne costituissero una classe di oppressi simili a schiavi, abbiamo esteso alle donne privilegi e vantaggi originariamente destinati a indennizzare i neri.
Gli uomini si sono comportati così perché erano più altruisti, più amorevoli e meno assetati di potere delle donne? No. Entrambi i sessi, in modi diversi, si sono resi «schiavi» l’uno dell’altro. Cerchiamo di capire perché l’hanno fatto, perché nessuno dei due sessi può essere giustamente definito oppresso, perché dovremmo essere contenti invece di lamentarci, e perché le istituzioni che non colgono le nuove occasioni che si presentano si stanno adattando per forza, visto che non sanno adattarsi per amore.

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Silver 9:44 am - 11th Agosto:

Leggete questa…
____________________

CORRIERE NAZIONALE, 10 agosto 2010

DISCRIMINAZIONI
DONNE BELLE? NIENTE LAVORI DA MASCHIO. (*)
A scuola, in politica, nelle professioni a contatto
con il pubblico se madre natura è stata benevola
con l’aspetto esteriore, per le donne tutto sarà
più semplice: voti migliori, maggiore consenso
popolare e successo. Se, invece, il pallino di una
donna attraente è quello di ottenere un lavoro da
ingegnere meccanico, direttore del segmento Ricerca
e sviluppo di un’azienda o vendere computer e
tecnologie affini, la bellezza sarà per lei un ostacolo,
per il quale nessuno le darà credibilità e ancora prima
della credibilità, nessuno le darà un lavoro, perché è
considerato una “cosa da maschi”. Questo comportamento discriminatorio, che in futuro potrebbe fare letteratura nei tribunali, è stato oggetto di uno studio di un team di ricerca americano, a cui hanno aderito due università, la Denver Business School dell’università del Colorado e l’università della Florida che ha pubblicato i risultati sul Journal of Social Psychology. “Abbiamo scoperto che essere attraenti è vantaggioso sia per gli uomini che per le donne che cercavano lavoro; tuttavia, la bellezza è stato un fattore più vantaggioso per le donne che cercavano un lavoro tipicamente femminile”.
———-

No comment.

(*) “Donne ” e “maschi”.
E va beh…

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Alessandro 10:08 am - 12th Agosto:

C’è un’inesatezza in questa statistica: le donne lavorano non due ore in più, bensì due ore, due minuti, due secondi in più degli uomini smile Scappa veramente da ridere. Comunque il comun denominatore in questi siti-blog-forum di orientamento femminista, che sono una marea, è la lagna continua, il vittimismo, il lamentarsi senza sosta, che, sappiamo bene, pagano assai. Soffrono, faticano, muoiono, sono vilipese in strada, in famiglia, sui media solo le donne. Non c’è bisogno di visitarli questi siti-blog-forum: si conosce già il loro contenuto. Alla lunga annoiano. Sono assenti totalmente le battaglie condivise, quelle che fanno veramente crescere una società, quelle che non si declinano nè al maschile nè al femminile. Insomma, è importante solo il nostro tornaconto di genere, il resto non ci interessa: non c’è scritto da nessuna parte, ma in quei siti web, tra le righe, lo “leggi” continuamente.

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Rita 10:04 am - 17th Agosto:

tempo fa, durante una discussione sul tema rischi sul lavoro sul forum, (trattavasi di Metaforum) fu fornito un documento (un brano tratto dalla Relazione di Franco MARTINI, Segretario Generale Fillea Cgil, al Comitato Direttivo – Roma, 29 ottobre 2007) con lo scopo di dimostrare che la mancata assunzione del rischio lavorativo nei settori maggiormente esposti a infortuni gravi e morte da parte delle donne non dipendeva dalla loro volontà (.. non possono .. – mi si disse – perchè anche in quei settori sono discriminate).

Dopo l’inevitabile lamentela sulla mancanza di donne nel settore “dirigente” (laddove fisicamente il rischio non c’è) si parla anche dell’incompatibilità biologica tra il lavoro in edilizia e la donna. E qui Franco Martini fa una dichiarazione che, personalmente, mi lascia un po’ sconcertata …dice:

“la battaglia per la qualificazione del settore, qualità del lavoro, sicurezza, condizioni di vita nei cantieri, deve servire per ridurre le distanze tra questo lavoro e la possibilità delle donne di entrarvi.”

Mi lascia perplessa.. avevo sempre pensato che la battaglia per la sicurezza e la qualità del lavoro servisse a rendere migliore la vita dei dei lavoratori, per diminuire e ridurre al minimo l’eventualità di perdere la propria vità lavorando. Invece la frase di Martini mi dà quasi l’idea che serva per dare alle donne la possibilità di “emanciparsi” e di non considerarsi discriminate.

Questo è il brano completo:

“Su questo tema, credo che il lavoro svolto ancora dopo il Congresso abbia testimoniato quanto la Fillea abbia voluto provare ad andare contro una legge quasi fisica. Tra pochi giorni le donne segretarie generali di province saliranno a dodici, diciamolo francamente, una piccola rivoluzione.

Vale qui, quanto detto in precedenza. Non possiamo fermarci, nonostante i risultati, ma badate, non tanto e non solo perché c’è una regola statutaria che ce lo impone. Per me, quel riferimento, non è mai stato il vero stimolo per agire su questo punto, anche perchè, se realmente le donne non esistessero nel settore non ci sarebbe barba di commissione di garanzia che potrebbe imporre una cosa che non esiste.

Abbiamo detto di credere a due cose. La prima, che vogliamo combattere l’idea di una incompatibilità biologica tra il nostro settore prevalente, l’edilizia, e la presenza delle donne nei cantieri. Certamente, si tratta di una attività pesante, soprattutto per le modalità di svolgimento del lavoro. Ma la battaglia per la qualificazione del settore, qualità del lavoro, sicurezza, condizioni di vita nei cantieri, deve servire per ridurre le distanze tra questo lavoro e la possibilità delle donne di entrarvi.

L’altra è che, là dove le donne sono presenti, debbono essere rappresentate e impegnate agli stessi livelli di responsabilità degli uomini, sapendo che per rimontare lo squilibrio vale quello che ancora Carla diceva a Napoli, portando questo problema come esempio. Non solo a parità di condizioni occorre scegliere la donna, ma occorre anche che una donna non entri nei gruppi dirigenti solo per sostituire una donna, ma anche e soprattutto per sostituire un uomo.

Ovviamente, questo non significa che le donne debbono saltare i processi democratici e trasparenti di verifica del consenso. Ma, essendo tutti adulti e vaccinati, sappiamo che alle donne si è soliti presentare un conto più salato, esami supplementari, invece di favorire la creazione di queste condizioni di consenso. E’ triste quando ogni tanto si sentono affermazioni del tipo “ma quella non può farlo, c’ha anche i bimbi da badare e non potrebbe garantire…” E’ triste, ma è anche grave, quando è soprattutto se non esclusivamente l’uomo a fare queste affermazioni.

La nostra volontà di rispettare la regola dello Statuto, lavorando per costruire le condizioni, è innanzitutto una scelta culturale. Vorrei ricordare che già in diversi paesi, anche nel nostro, il tema della parità tra i sessi nella rappresentanza politica ed istituzionale –anche in riferimento all’Art. 51 della Costituzione- è gia oggetto di iniziative, che assumono come obiettivo la presenza paritaria di entrambi i sessi. Non dico che dobbiamo assumere quel riferimento come obiettivo vincolante, ma faccio per ricordare quale sia oggi l’orizzonte che sta orientando la discussione sulla presenza di genere, per far si che la Fillea vi partecipi sia come adesione culturale alla campagna, che come impegno ad una coerente applicazione della norma statutaria”

dalla Relazione di Franco MARTINI, Segretario Generale Fillea Cgil, al Comitato Direttivo – Roma, 29 ottobre 2007

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Marco 10:31 am - 17th Agosto:

@
dalla Relazione di Franco MARTINI, Segretario Generale Fillea Cgil, al Comitato Direttivo – Roma, 29 ottobre 2007
@

Franco Martini, cioè un UOMO, per giunta segretario generale di un sindacato di sinistra, che afferma che a parità di condizioni bisogna scegliere una donna. Puro sessismo. E allora perché questo signore non lascia il suo posto a una donna? Che ci sta a fare lì? Hanno proprio ragione quei vecchi membri del MoMas, che sostengono che i principali nemici degli uomini beta sono gli stessi uomini, soprattutto quelli di potere e frequentissimamente di sinistra. (?)

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Alessandro 11:06 am - 17th Agosto:

Molto interessante quanto postato da Rita. Un discorso come quello del rappresentante della CGIL, celebrativo nei confronti delle “discriminazioni positive”, viene accolto dal popolo di sinistra, perchè a esso principalmente si rivolge, con consenso generale. Il che appare tragi-comico: quel mondo nato per combattere le discriminazioni oggi le avalla, Ma perchè questo accade? Il consenso femminile non mi appare certo strano, si tira l’acqua al proprio mulino, ma dov’è la voce maschile? La voce maschile a sinistra non esiste su questi temi. In generale gli uomini di sinistra si suddividonosono in due categorie: da una parte vi sono i pezzi grossi, dalla politica, al sindacato, all’associazionismo vario, i quali cercano, con un gioco al rialzo in fatto di concessioni, sostegno femminile pur di mantenere o acquisire posizioni di potere; dall’altra tutta quella numerosissima schiera di uomini cresciuti a pane e ideologia, per i quali le istanze femminili sono sempre e comunque, quindi acriticamente, da sostenere. I primi sono spesso degli opportunisti, i secondi dei poveri ingenui, gli uomini sempre con la”mimosa in mano”, il modello ideale di uomo secondo i dettami della nostra società. Poi ci sono gli “spiriti liberi”, ma questi sono talmente pochi che preferiscono, spesso, starsene zitti.

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armando 3:48 pm - 17th Agosto:

Non c’è commento per quelle parole del dirigente CGIL. La sicurezza sul lavoro non deve essere vista in funzione della salvuaguardia della vita, ma dell’accesso femminile. Come dire che se i maschi crepano pazienza, non è tanto importante in sè ma perchè il rischio di crepare non si addice alle signore, che “vorrebbero” fortissimamente salire sulle impalcature per lavorare di cazz…uola (scusate ma quando ci va ci vuole), ma non lo fanno perchè sono discriminate perchè si impedisce loro di rischiare o non se la sentono.

“E poi uno si butta a…….” diceva Totò .
Questo razzismo sulla base del sesso da parte della sx è ciò che mi ha allontanato definitivamente. Perchè vedi, Alessandro, di spiriti liberi non ce ne sono pochi, ce ne sono pochissimissimi. E sono solo e soltanto quelli che non tacciono. Chi, per qualsiasi motivo ,e sottolineo qualsiasi, se ne sta zitto non è affatto uno spirito libero. E’ uno spirito vile. E chi è vile non è libero.
armando

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Damien 6:38 pm - 17th Agosto:

Discriminazioni…a mio avviso è’ una questione di misura: ogni comportamento sulla bilancia è autoreferente per la propria giustezza.

Gli uomini vengono attaccati generalizzando e criminalizzandoli per avere abusato tempo addietro dei poteri fisici oltre la misura del giusto.

Le donne oggi sono tutto meno che donne: sono partite da giuste rivendicazioni etiche e morali, per divenire maschie e fare guerre sessiste.

Nessuno può vederci più femminilità e dolcezza, e certamente metterti in casa o nella vita una bestia che ti porta in tribunale nelle mani della delinquenza bianca non può essere visto come un atto di amore.

Ma, essendo questa la fine che un uomo certamente farà, l’emancipazione femminile viene quindi cavalcata dalla magistratura che, di nascosto, ne profitta per modificare la società in senso forcaiolo, lucrando la cresta su consulenze e processi, sequestri di minori e lotte sessiste, bigottismo e frustrazioni di semi maschi addomesticati.

Quadro terrorizzante per un uomo, che oltre ad un pò di sesso (trovabile oramai ovunque a € 20,00) non può trovare alcun riscontro, tantomeno immaginare la famigliola del mulino bianco che millanta chi parla di “amore” mentre è incapace di amare.

Da maschi ingiusti, che giornalmente muoriamo ben piu’ delle donne, siamo divenuti vittime, quindi siamo tutti esseri umani scagliati donne contro uomini da un disegno fuori della nostra Costituzione, manovrato (come per lo stato di polizia attuale), da chi ha i fili del potere, siamo sempre e comunque carne da macello, sia in senso mediatico che reale.

Innescate voi donne guerre con lo stesso meccanismo di quelle per il petrolio, il sistema giustifica il proprio intervento invasivo e lucrativo con le nostre stesse istanze, non essendo noi – ignoranti per volontà governativa – capaci di auto sedarci, arrogandosi poteri che sfociano nell’arbitrio più sfrenato dei giudici.

Le nostre carceri sono piene di capri espiatori innocenti previe condanne su teoremi pazzeschi, le nostre famiglie sono distrutte e non se ne formano altre, i nostri figli sono omosessuali e si invoglia a divenirlo via TV, la polizia fa solo cassa con le multe e null’altro, i politici rubano e promettono sorridendo, il controllo giudiziario è una spaventosa barzelletta, ai padri vengono sequestrati i figli previo annullamento in nome “dell’interesse preminente del minore” (divenuto quello di essere orfano di genitore vivo).

Come difendono e rispettano i propri uomini le attuali donne? Usurpando loro le case, i figli, il frutto del loro lavoro addizionato al proprio reddito, puttanando ogni dove, compiendo crimini in nome della depressione post partum e beneficiando di archiviazioni in barba all’esercizio dell’azione penale, false violenze denunciate per sfregio all’ex, e via fino a domani! e quando muoriamo sul lavoro.. per la pagnotta che portavamo a casa, alla fine sono le vedove quelle da compatire… il 3% delle donne muore… il restante 97% campa benissimo!

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Alessandro 7:26 am - 18th Agosto:

Armando: Questo razzismo sulla base del sesso da parte della sx è ciò che mi ha allontanato definitivamente. Perchè vedi, Alessandro, di spiriti liberi non ce ne sono pochi, ce ne sono pochissimissimi. E sono solo e soltanto quelli che non tacciono. Chi, per qualsiasi motivo ,e sottolineo qualsiasi, se ne sta zitto non è affatto uno spirito libero. E’ uno spirito vile. E chi è vile non è libero.>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>
La tua preciszione, Armando, è giusta. In questo sito ci sono degli esempi di chi ha preferito, tra quelli “spiriti liberi”, prendere la parola su questi temi. Taluni mettendoci anche la faccia, una scelta coraggiosissima, perchè viviamo in una realtà dove professarsi nazifascista ti fa quasi correre meno rischi di criticare il pensiero unico in questo specifico ambito. D’altronde a parziale scusante di quegli spiriti liberi-vili di cui si parlava, vi è il fatto che la sinistra, e faccio riferimento alla sinistra radicale ed ex Ds, si regge, per quanto riguarda il rapporto tra i sessi al proprio interno, su equilibri molto fragili. E’ possibile tenerla unita, da questo punto di vista, solo se la componente maschile si fa da parte sulle questioni che qui si trattano, e lascia la parola a quella femminile. Se così non fosse, sono sicuro che si andrebbe incontro a una scissione, con la formazione di gruppi politici a forte prevalenza femminile. Di conseguenza anche tra coloro che sono un pò stufi di questo andazzo vi è il timore che, avanzando qualche critica, salti tutto per aria. E’ brutto affermarlo, ma ciò che qui, a ragione, si critica rimane uno dei collanti a sinistra. Una prova di ciò che affermo la si può riscontrare anche nella storia pur breve di Uomini Beta. Sono state le donne di “sinistra” ad attaccare il sito, i suoi partecipanti, a bollarlo come maschilista, nonostante abbia un’impronta chiaramente progressista. Ciò che però conta per costoro, non è che cosa tu pensi sui temi del lavoro, dell’immigrazione, della redistribuzione del reddito, insomma della critica al sistema neo-liberista, che dovrebbe essere l’anima di un partito o movimento di sinistra, bensì allinearsi all’ideologia di genere che costoro propongono. Gli unici accordi bipartisan che nascono in Parlamento sono quelli fra donne sui temi che a loro stanno principalemnete a cuore. Quersto deve far riflettere, purtroppo anche quando ci si accinge a depositare una scheda dentro un’urna. E’ brutto affermarlo, e mi costa molto, ma è sciocco nascondersi dietro un dito.

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mauro recher 9:24 am - 18th Agosto:

ho sempre pensato che .essere di sinistra dovesse portare ad uguaglianza ,dove il colore della pelle ,dove sei nato ,ed il sesso di appartenenza ,non fossero discrimanti ,che poi ,mi sembrava anche la cultura comunista…adesso che questo sindacalista ,dica queste cose ,mi lascia un pochino perplesso ,sono nella stessa linea di Rita…

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Rita 10:29 am - 18th Agosto:

velocemente: ieri sera al TG1, un servizio sui militari italiani impegnati all’estero. Pochi minuti e poi il discorso verte sulle compagne/mogli di questi militari e sulla difficoltà di condivisione di vita e di gestione della famiglia con un uomo che, per lavoro, è costretto a stare per lunghi periodi lontano da casa.
Intervistano un militare che dichiara: ” è vero, le nostre mogli hanno molte difficoltà, infatti spesso mia moglie mi dice che la medaglia che mi hanno dato è stata meritata più da lei che da me”

ha sparato pure una percentuale di presunto “merito” che non ho capito bene se 80% o addirittura 90%

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armando 5:44 pm - 18th Agosto:

Alessandro: “vi è il fatto che la sinistra, e faccio riferimento alla sinistra radicale ed ex Ds, si regge, per quanto riguarda il rapporto tra i sessi al proprio interno, su equilibri molto fragili. E’ possibile tenerla unita, da questo punto di vista, solo se la componente maschile si fa da parte sulle questioni che qui si trattano, e lascia la parola a quella femminile. Se così non fosse, sono sicuro che si andrebbe incontro a una scissione, con la formazione di gruppi politici a forte prevalenza femminile. Di conseguenza anche tra coloro che sono un pò stufi di questo andazzo vi è il timore che, avanzando qualche critica, salti tutto per aria. E’ brutto affermarlo, ma ciò che qui, a ragione, si critica rimane uno dei collanti a sinistra.”
Gruppi politici a forte prevalenza femminile? Magari, così getterebbero la maschera. Vedremmo allora il loro peso reale senzo gli uomini che fanno loro da supporto. Mi chiedo però: che senso ha una formazione politica in cui una parte degli iscritti/simpatizzanti si autocastra non osando esprimere quello che sente e che vede e che pensa? Non si è, in questo modo, appaltato se stessi ad altri?
Ciò per coloro che nel loro intimo la pensano diversamente dalla linea ufficiale. E gli altri, non so quantificare, che invece credono davvero sia giusta?
Non è questo il luogo per dibattere la questione e non lo farò, tuttavia una domanda non può non affiorare. Perchè la sx (anche la dx, ma quelli lo fanno per leccaculismo) ha sposato in pieno quell’impianto teorico?
armando

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armando 6:03 pm - 18th Agosto:

Rita: ha sparato pure una percentuale di presunto “merito” che non ho capito bene se 80% o addirittura 90%

Diciamo pure 97%, così tutte le percentuali collimano. Morti sul lavoro: 97 % uomini.
Meriti femminili: 97%. E diamogliela, dunque, una bella medaglia al merito civile a tutte quelle del 97% di donne sacrificate.

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Anselmo 6:12 am - 19th Agosto:

Strano, ma vero …

“Un numero equivalente a cinque Jumbo Jet carichi di donne muore ogni giorno sul lavoro, un numero che fa impallidire l’equivalente maschile. Ogni 10 secondi una ragazza nel mondo viene legata al suolo e mutilata nei genitali senza anestesia. Questo oggi e per secoli, più ogni altra sorta di orrore, in quello che i due americani chiamano “un genocidio”.

Paolo Barnard

http://www.paolobarnard.info/intervento_mostra_go.php?id=191

Come mai il mitizzato Paolo Barnard scrive cose del genere?

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Silver 9:58 am - 19th Agosto:

Anselmo:
“Un numero equivalente a cinque Jumbo Jet carichi di donne muore ogni giorno sul lavoro, un numero che fa impallidire l’equivalente maschile”.
__________

In proposito, non conservo più (salvo che nella mia mente) un articolo specifico che lessi anni fa, su Magazine del Corriere della Sera, ma ricordo benissimo che vi si evidenziava che nel mondo (ripeto: nel mondo, non in Occidente), gli uomini erano il 73 per cento dei morti sul posto di lavoro.
__________

Anselmo:
“Come mai il mitizzato Paolo Barnard scrive cose del genere?”
_________

Forse perché quello è… il suo vero volto.

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Rita 12:43 pm - 19th Agosto:

tsk.. giornalisti laugh

che vizio quello di usare iperboli.

Dunque, statistiche mondiali sui morti del lavoro certe non ce ne sono, va da sè che sono stime, visto che in molti paesi (soprattutto fra quelli meno sviluppati) non esistono enti assicurativi e di conseguenza registri sui morti sul lavoro.

L’ILO fa una stima di circa 6000 morti al giorno.

http://www.inail.it/Portale/appmanager/portale/desktop?_nfpb=true&_pageLabel=PAGE_SALASTAMPA&nextPage=Prodotti/News/2008/Infortuni/info-2137348186.jsp

Ho dovuto cercare su Wikipedia quanti passeggeri puo’ trasportare un Jumbo Jet …

http://it.wikipedia.org/wiki/Boeing_747

qui dice al massimo 524: quindi 524×5 = 2.620

43% dunque… siamo lontani dal far impallidire l’equivalente maschile.

Al di là dei numeri (che difficilmente sono verificabili, anche perchè la stima di 6000 morti si riferisce ad infortuni e a malattie professionali come si legge nel dettaglio qui sotto)

http://www.inail.it/repository/ContentManagement/node/N670419722/quadro_internazionale.pdf

è interessante il fenomeno (cui non si sottrae Barnard) per cui, per evidenziare un disagio o una sofferenza che riguardi la donna bisogna non solo paragonarlo ma costantemente sminuire il corrispondente maschile.

Ma qualcuno ha mai sentito (o s’immagina) un giornalista che si occupa .. chessò di violenza sessuale sugli uomini (per esempio nelle carceri) e definisce la loro sofferenza come capace di far impallidire la sofferenza delle donne vittime di stupro?

Per dire questo ho seguito però il consiglio che Barnard da in fondo all’articolo:

“Usate la vostra testa, sempre”.

e usando la testa mi pare che anche Massimo Fini abbia scritto un articolo giocando molto sulla “provocazione” e, si sa di provocazione in provocazione… la testa la si finisce per usarla di meno.

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Fabrizio Marchi 12:47 pm - 19th Agosto:

Sorprende anche me, Anselmo. Tuttavia dobbiamo fare alcune considerazioni:
1) Nessuno da queste parti ha mitizzato nessuno, tanto meno Paolo Barnard, il quale, in effetti, è diventato, per i suoi scritti e le sue posizioni in tema, bersaglio di attacchi e aggressioni da parte di femministe o pseudo tali (maggiormente di quest’ultime);
2) Noi abbiamo pubblicato sul nostro sito quegli articoli che lui stesso ci ha autorizzato a pubblicare e che, per quanto mi riguarda, condivido totalmente. Relativamente ad altre posizioni da lui assunte, è evidente che queste sono sue personali e infatti sono state pubblicate sul suo blog, come quella che tu ci hai segnalato.
Sorpresa a parte, nessuno può vietare ad altri di esprimere opinioni altre e/o diverse dalle proprie, soprattutto in altra sede o addirittura nel suo spazio personale. Se Barnard ha scelto di scrivere quelle cose che ha scritto e che tu ci segnali, avrà la sue ragioni. Quello che conta, per quanto mi riguarda, sono i contenuti dei suoi articoli che noi abbiamo scelto di pubblicare. Il resto sono affari suoi. Barnard non rappresenta gli Uomini Beta. E’ “solo” un collaboratore, sia pur autorevole, data la sua esperienza e fama giornalistica. Al momento e finchè non ci saremo dotati di una direzione politica ufficiale, il sottoscritto è il solo autorizzato ad assumere e a rilasciare posizioni ufficiali in nome e per conto degli Uomini Beta.
3) In riferimento all’articolo di Barnard in questione, è’ doveroso sottolineare che un conto è la condizione delle donne (e degli uomini) nel mondo occidentale e un’altra quella di molti altri contesti del pianeta.
Ciò detto, va evidenziato un aspetto. Ogni tanto, ormai da molti anni, qualcuno si alza e comincia a sciorinare dei dati relativamente alla violenza sulle donne nel mondo, salvo poi smentirli clamorosamente, come è accaduto di recente con Amnesty International che è stata costretta a rettificare i dati da lei stessa divulgati relativamente alla mano omicida degli uomini come prima causa di morte per le donne nel mondo. Quegli stessi dati, non si sa come e in che maniera rilevati, erano però nel frattempo stati fatti propri da tanti altri enti internazionali, fra cui l’Unicef, che sosteneva appunto il fatto che circa 60 milioni di donne ogni anno fossero assassinate.
Il che è semplicemente ridicolo perché se fosse vero, come spieghiamo in un articolo dal titolo “La grande menzogna”, l’umanità si sarebbe già dovuta estinguere da un pezzo…
Ora, in quello stralcio del libro dei due autori americani riportato da Barnard sul suo blog si afferma che oggi (si presume quindi ogni anno) dai 60 ai 100 milioni di donne spariscano nel nulla e vengano ridotte in schiavitù.
La considerazione che viene spontanea è la stessa relativa alle morti. Se questi dati corrispondessero al vero l’umanità si sarebbe già estinta, oppure il fenomeno sarebbe talmente grande, direi macroscopico, che non potrebbe essere oggettivamente occultato, sia pure parzialmente, come invece sembrerebbe essere oggi.
Abbastanza grottesca anche l’affermazione sulle donne morte sul lavoro. Se in Italia, cioè uno dei paesi più avanzati e industrializzati al mondo (aree sviluppate a parte, per lo meno in relazione al resto del pianeta) nel terzo millennio, a morire sul lavoro sono quasi esclusivamente gli uomini, figuriamoci quale può essere il dato percentuale in un qualsiasi paese africano, asiatico o sudamericano.
Naturalmente, come dicevo prima, nessuno in questa sede disconosce che la condizione delle donne (per lo meno, della maggioranza) in una gran parte del terzo e quarto mondo, sia di sottomissione e subalternità all’interno di sistemi sociali e culturali fortemente repressivi. Così come, se è per questo, nessuno è cieco di fronte alla ignobile pratica dell’infibulazione, peraltro prevalentemente praticata da donne ai danni di altre donne (senza con questo voler disconoscere le responsabilità di quelle culture e di quei sistemi che le tollerano e le alimentano) o, ancora peggio, quella di gettare dell’acido in faccia alle donne che respingono un fidanzato o un marito. Pratica, quest’ultima, di una violenza e di una ferocia inaudite, in voga in alcune aree, fortunatamente molto limitate, del Pakistan e dell’India.
E’ però assolutamente altrettanto certo che questa condizione di sottomissione e di subalternità ha riguardato e riguarda in egual misura anche masse sterminate di uomini (maschi) che nel corso della storia hanno subito e subiscono violenze altrettanto inaudite e feroci.
Se le donne, nel corso delle guerre civili, vengono stuprate, mutilate e poi uccise, è altrettanto vero che gli uomini vengono torturati, fatti a pezzi, spesso castrati e poi uccisi. Se ci sono state e ci sono donne ridotte in schiavitù, ci sono stati e ci sono uomini ridotti in schiavitù. Da altri uomini e da altre donne. Questa piaga è purtroppo ancora in voga, anche se in maniera spesso camuffata, in diverse aree dell’Asia, dell’Africa e del Sudamerica, ma non riguarda certamente solo le donne ma anche gli uomini e, se è per questo, ahinoi, anche e soprattutto i bambini e le bambine, indipendentemente dall’appartenenza di genere.
Potremmo in questa sede elencare innumerevoli esempi di atrocità, sevizie e torture che tuttora gli umani (uomini e donne) infliggono ad altri umani (uomini e donne). Senza andare a ritroso nel tempo basterebbe citare Abu Ghraib e Guantanamo per capire che alcune donne, al pari di alcuni uomini, sono capaci delle stesse identiche nefandezze.
Ma non credo che avrebbe molto senso fare questa sorta di passerella da museo degli orrori…

In conclusione, la mia opinione è che ciò che deve essere respinto con forza è il concetto di violenza di genere a senso unico, un concetto profondamente sessista e razzista che non può che condurre alla criminalizzazione di un intero genere, quello maschile. Anche perché, se si arrivasse a riconoscere universalmente che la “violenza è sempre e solo maschile”, nessuno potrebbe a quel punto esimersi dal prendere decisioni drastiche. Di fronte ad una simile “certezza” la risposta non potrebbe che essere altrettanto drastica. Come è stato legittimamente impedito ai nazisti di perseguire il loro criminale disegno di assoggettamento e riduzione in schiavitù dell’umanità sulla base dell’appartenenza razziale, lo stesso dovrebbe essere fatto con il genere maschile, una volta che questo venisse riconosciuto come unico generatore e responsabile della violenza.
Contro i nazisti è stata fatta una guerra, sconfitto un esercito, bombardato e raso al suolo un intero paese, la Germania.
Cosa si farebbe in questo caso? Quali sarebbero le “soluzioni”?

Fabrizio Marchi
P.S. leggo solo ora le considerazioni nel merito di Rita che trovo, come spessissimo accade, assai puntuali ed estremamente lucide e che condivido al 100%…

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Rita 1:52 pm - 19th Agosto:

riprendendo il filo del discorso di Franco Martini sull’incompatibilità biologica col lavoro a rischio (quello di “fatica” insomma) delle donne che dev’essere superata… ecco com’è la situazione nelle miniere sudafricane

http://www.ioacquaesapone.it/articolo.php?id=554

«Non possiamo portare nessuno nella miniera, il calore è fortissimo, sopra i 40 gradi. Ogni minatore prima di scendere sottoterra affronta delle prove di simulazione a terra per vedere se è capace di resistere – ci spiega il manager -. Finora nessuna donna ce l’ha fatta».

…………
Tutti sanno dei minatori illegali, gli impiegati della società rivendono loro cibo e acqua a dieci volte il prezzo. Per una società però è impossibile contrastarli. I minatori hanno in mente l’intera mappa dei cunicoli sotterranei, una città calda e buia di anfratti e tunnel, un labirinto enorme dove un uomo può vivere un’intera vita senza essere mai trovato.
«È anche pericoloso. Qualche tempo fa abbiamo trovato i corpi di 85 minatori illegali morti nella miniera. Inoltre, quando li trovi sottoterra, possono diventare violenti. Loro difendono quello che pensano sia giusto, noi pensiamo agli interessi della società».
Anche senza attività illegali il lavoro in miniera è particolamente rischioso, specialmente in Sudafrica. Nel 2009 nelle miniere del paese sono morti 165 minatori, poco meno dei 171 del 2008. Molti vengono dai paesi confinanti: Lesotho, Botswana, Mozambico. Durante l’anno vivono in sistemazioni vicine alle miniere, messe a disposizione dalle società. Ogni anno hanno un mese e mezzo di licenza per tornare a casa. La paga minima è di 4.000 rand al mese, circa 400 euro.

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Rino 4:14 pm - 19th Agosto:

La QM ci inoltra in un diverso universo. Anomalo e irriducile, sotto molti riguardi, rispetto ad ogni altro conlfitto del passato.
Qui emerge ancora una volta la stupefacente incapacità di una infinità di pensatori pur critici e ipercritici nei confronti della società, della cultura e dei valori attuali, di discernere qualcosa del conflitto F/M.
Ci sono autori di gran valore in moltissimi campi che, avvicinandosi alla questione dei sessi, cadono uno dopo l’altro nella medesima trappola e tutti ci invitano a pensare con la nostra testa.
L’elenco è sterminato. Non si salva praticamente nessuno. Non solo tra i cultori di scienze umane (filosofi, psicologi, sociologi, storici), ma anche tra i biologi, i fisici, i cosmologi, gli economisti etc.
Quando si imbattono nel conflitto F/M cadono tutti nel sacco e propagandano in perfetta buona fede e con incantevole ingenuità …numeri impossibili ad essere.
Lo abbiamo visto con U. Galimberti, ma quel che vale per lui vale per tutti.

Un momento! E noi? Verso quali aspetti della realtà siamo a nostra volta ciechi?
Possibile che solo noi, usciti da quella nebbia, non ci siamo imbattuti in altre?
Ma come possiamo vederle se …non le vediamo?

La determinazione, per quanto infrangibile, nel sostenere una causa non deve coincidere con la presunzione di avere la vista netta a 360°.

RDV

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Dav_ide 3:15 pm - 21st Agosto:

Che dire…. si rimane senza parole, senza pensieri, senza forza di reagire.
Queste pagine sono un viaggio nella sofferenza, nella rassegnazione di chi accetta lavori umili, sottopagati, faticosi, pericolosi.

Chissa perche’ non vengono mai lette nelle scuole pagine come queste, al posto dei Promessi Sposi o dell’Inferno dantesco.
Questo e’ il vero inferno della nostra epoca.

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Marco 10:19 am - 23rd Agosto:

@ Rino

Qui emerge ancora una volta la stupefacente incapacità di una infinità di pensatori pur critici e ipercritici nei confronti della società, della cultura e dei valori attuali, di discernere qualcosa del conflitto F/M.
Ci sono autori di gran valore in moltissimi campi che, avvicinandosi alla questione dei sessi, cadono uno dopo l’altro nella medesima trappola e tutti ci invitano a pensare con la nostra testa.
L’elenco è sterminato. Non si salva praticamente nessuno. Non solo tra i cultori di scienze umane (filosofi, psicologi, sociologi, storici), ma anche tra i biologi, i fisici, i cosmologi, gli economisti etc.
Quando si imbattono nel conflitto F/M cadono tutti nel sacco e propagandano in perfetta buona fede e con incantevole ingenuità …numeri impossibili ad essere.
@

In questo ultimo anno, cioè da quando ho scoperto UB ed i vari forum dedicati alla QM, ho notato che ad occuparsene non sono letterati di grido, giornalisti famosi, scienziati o chissà chi, ma uomini comuni come me, che come me svolgono comunissimi lavori.
Anzi, uno un po’ famoso ci sarebbe, ed è Claudio Risé. Solo che a me, il suo approccio alla QM appare troppo “psicologistico”, nonché poco comprensibile per l’uomo medio (opinione personale, naturalmente).
Perciò ti chiedo: a tuo avviso l’essere troppo colti, “specializzati” o eruditi, è un limite anziché un vantaggio? Secondo te è esagerato sostenere che riguardo al conflitto fra i due sessi, un semplice barista (è un esempio) può possedere una consapevolezza nettamente superiore a quella di un professore universitario o di un famoso scrittore?

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Leonardo 11:50 am - 23rd Agosto:

Con le donne è difficile essere obbiettivi, c’è il desiderio sessuale, ma soprattutto una forza che spinge l’uomo a rispettarle ed essere ammirati da esse per la forza fisica e il coraggio: tipo il ragazzo che porta una ragazza in automobile e fa lo sbruffone premendo sull’acceleratore…
Sin dall’antichità ci sono stati filosofi e religioni che ci hanno masso in guardia dalle donne, ultimamente anche la psicoanalisi, ma tutti se ne fregano.

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Fabrizio Marchi 12:42 pm - 23rd Agosto:

Non c’è dubbio sul fatto, Marco, che oggi chi vive sulla propria pelle le maggiori difficoltà provocate dal conflitto fra i sessi, sono gli uomini che appartengono al basso ceto, come si suol dire, proprio quelli a cui noi ci rivolgiamo.
Nondimeno è altrettanto vero che una gran parte di essi sono tuttora inconsapevoli, alcuni invece sono coscienti ma hanno timore di portare alla luce il loro disagio. Ttanti addirittura, pur di non ammettere la loro condizione di subalternità e di sostanziale sottomissione, giocano a chi la spara più grossa; insomma recitano i soliti copioni del più trito e ritrito “machismo”. Altri ancora sono stati piegati psicologicamente e hanno interiorizzato anche a livello profondo il dogma femminil-femministoide-dominante diventato “verità” ufficiale a 360°.
Gli “intellettuali” invece hanno completamente abdicato al loro ruolo, e questo è uno dei più grandi e gravi problemi del mondo contemporaneo. Nessuno si prende la briga di ricominciare a tessere le fila di un pensiero realmente critico nei confronti dell’ordine dominante. La Questione Maschile è forse, anzi, senza alcun dubbio, il terreno dove più di altri si manifesta l’inettitudine e la vigliaccheria dei cosiddetti intellettuali. Chi più chi meno, a destra come a sinistra, nessuno osa non solo mettere in discussione ma addirittura avanzare anche solo una perplessità nei confronti delle magnifiche sorti e progressive dell’universo femminile “liberato” e declinato secondo i dettami e l’ideologia del sistema dominante ormai a livello planetario. Siamo forse di fronte ad una delle più grandi contraddizioni che la storia abbia mia conosciuto; l’esplosione del femminismo e dell’irruzione delle donne nel contesto sociale ha corrisposto e corrisponde al momento più alto e sofisticato di affermazione del capitalismo (cioè del sistema dominante) sia in termini quantitativi che soprattutto qualitativi, eppure, soprattutto ovviamente a “sinistra”, ci si ostina ancora nel considerare il “femminile” come il principale fattore di cambiamento e trasformazione della società e del mondo. In gran parte è vero, sia chiaro, ma in quale direzione?
Una contraddizione gigantesca, un paradosso di dimensioni colossali (per lo meno per la “sinistra” dovrebbe esserlo) che deve essere negato. E più è evidente e più è negato, questo è l’altro apparente paradosso, altrimenti salterebbe tutto per aria.
La domanda che ti porrai è perché gli intellettuali, in questo caso tutti o quasi, abbiano abdicato al loro ruolo. Viltà, opportunismo, cialtroneria? Sicuramente. Ma c’è anche dell’altro. La QM va a toccare dei tasti evidentemente insopportabili, ingestibili ai più.
Perché però tanti intellettuali si sono fatti esiliare, imprigionare, giustiziare, torturare, per le proprie idee in epoche diverse? Oggi in fondo rischiano “solo” il pubblico ludibrio, l’emarginazione, la perdita della cattedra, l’oscuramento mediatico, l’oblio, il dimenticatoio, l’indifferenza. Tutte cose molto gravi ma certamente molto meno del carcere o della perdita della vita.
Questo di dimostra che c’è dell’altro, non c’è dubbio, qualcosa di più profondo che paralizza gli uomini, più della paura di essere uccisi o incarcerati.
E’ incredibile, assurdo, incomprensibile, paradossale, chi più ne ha più ne metta, ma questa è la situazione. Perché anche ammettendo che noi siamo dei pazzi e abbiamo preso un colossale abbaglio, non è comunque altrettanto realisticamente possibile pensare che dall’altra parte sia tutto giusto e perfetto. Qualche nota stonata ci dovrà pur essere, nulla è perfetto e mai lo sarà. Eppure, anche ammettendo che le cose stiano in quel modo, nessuno si permette anche minimamente di avanzare un dubbio, una perplessità, sia pur minima. Nulla di nulla.
Non è realistico. Ci si faceva sbranare dai leoni nel Colosseo pur di non rinnegare le proprie convinzioni e oggi non si ha neanche il coraggio di avanzare un sia pur minima critica a questa nuova forma di dominio invisibile ed occulta? E’ evidente che siamo di fronte a qualcosa di nuovo, forse è la prima volta che accade qualcosa di simile. E’ la potenza di una grande forza che si è dispiegata su un terreno e in una dimensione forse sconosciuta agli uomini. Probabilmente è questo il nodo e proprio qui è da rintracciare la ragione prima della paralisi quasi patologica (e forse senza il quasi) di ogni forma di criticità e di pensiero autonomo.
Fabrizio

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Rino 1:15 pm - 23rd Agosto:

Marco:
>>
Secondo te è esagerato sostenere che riguardo al conflitto fra i due sessi, un semplice barista (è un esempio) può possedere una consapevolezza nettamente superiore a quella di un professore universitario o di un famoso scrittore?
>>
Non è esagerato. E’ paradossale ma è così: il barista può, l’intellettuale DOC non può. A ‘stasera.

RDV

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Fabrizio Marchi 1:33 pm - 23rd Agosto:

Questo è il testo della lettera che ho inviato a Paolo Barnard, in seguito alla sua risposta a Massimo Fini:
“Caro Paolo, la tua risposta a Massimo Fini relativamente al tema della relazione fra i generi, ha sorpreso negativamente, per la verità, diversi utenti del blog di Uomini Beta che avevano molto apprezzato gli articoli che tu stesso ci hai autorizzato a pubblicare (e te ne sono grato) sul nostro sito.
Avendo un blogger, tale Anselmo, “scovato” quel tuo pezzo e pubblicatolo sul nostro blog, sono stato “obbligato” ad una risposta che è quella di seguito a questa lettera.
Non entro nel merito perché il discorso sarebbe troppo lungo, ci ho perfino scritto un libro e aperto un sito per affrontarlo e quindi non lo faccio di certo ora. Tuttavia alcune considerazioni sono inevitabili.
In tutta sincerità e rinnovandoti la mia stima (ed è proprio e solo per questo che ti scrivo), trovo che le argomentazioni che hai utilizzato per controbattere Fini siano decisamente fuori luogo. Insomma, quella tua replica in bocca ad una femminista militante del Collettivo di Via del Governo Vecchio di Roma di 40 anni fa, può anche starci, ma non in quella di un uomo critico (anche nel senso marxiano del termine), lucido, evoluto, consapevole e capace di interpretare e analizzare la realtà al di fuori dei più banali e scontati luoghi comuni, diventati ormai “verità” e cultura (vulgata) dominante.
“Ci vogliono cinque jumbo jet pieni per contare le donne che ogni giorno muoiono sul lavoro”, questo, fra le altre cose, hai scritto.
In tutta sincerità, caro Paolo, mi sembra (insieme a tutte le altre per la verità) un’affermazione molto “ad effetto” (oltre che molto demagogica). E’ talmente ad effetto (e talmente scontata), scusami ancora per la estrema franchezza, che sembra quasi forzata, come se in qualche modo avessi voluto lanciare un messaggio del tipo:”Ragazze/i, guardate che non ho mica perso la bussola, sì, sono uscito dal seminato con quegli articoli in cui vi rimprovero di non darla (e di mercanteggiarla) però sono sempre con voi, sono sempre un uomo di “sinistra” e non me la faccio con quel cattivone destrorso maschilista e reazionario di Fini al quale, proprio per colpa di quegli articoli, sono stato accomunato…”.
Capisco la tua preoccupazione in tal senso, Paolo, però potevi chiarire la tua posizione e prendere le distanze da Fini in modo diverso.
Nessuno nega che anche le donne muoiano sul lavoro, ma allora Paolo, se tanto mi da tanto, quante navi mercantili, quanti bastimenti o quanti treni dovrebbero essere riempiti per contare gli uomini (maschi) che ogni giorno muoiono sul lavoro nel mondo? Dieci, venti, cento, mille? Che senso ha rispondere in quel modo, peraltro occultando di fatto la realtà che è, nel suo complesso, ben diversa?
Proprio da poche settimane abbiamo pubblicato un articolo sulla homepage del sito dal titolo “Morti sul lavoro, il 3% sono donne…” perché abbiamo intenzione di lanciare una campagna su questa tragedia di classe e di genere (il secondo aspetto è letteralmente occultato da tutti). E queste non sono le percentuali del Rwanda ma dell’ Italia, uno dei paesi più industrializzati del mondo. Immagina quali possano essere in altri paesi del terzo mondo. E guarda che chi scrive è uno che ha viaggiato e che viaggia…Sono appena tornato dal Marocco (solo per citarne uno fra i tanti) e sono andato a visitare le concerie di Fes; una specie di girone infernale dantesco dove lavorano solo uomini, ragazzi e bambini (tutti maschi), non ti dico in quali condizioni ma puoi immaginarlo (voglio fare, se ci riesco, un’indagine per verificare la durata media della vita, la nocività, gli infortuni, le malattie, le morti ecc…) E francamente, caro Paolo, se proprio mi trovassi nella condizione di dover scegliere tra essere la moglie di quel conciatore, anche in un contesto “retrivo” e conservatore come quello del Marocco (sia pure in relativamente rapida trasformazione) o quel conciatore, sceglierei centomila volte di essere la prima, anche se mio marito fosse King Kong prima maniera…(e non lo dico metaforicamente, credimi…). E guarda che quella è la condizione di pressoché tutti i lavoratori marocchini (maschi)…Una condizione di privilegio? “Comunque privilegiata rispetto a quella delle loro mogli” oppresse e discriminate, tuonerebbe subito una femminista che nel 99% dei casi non sa neanche cosa significhi trascorrere la propria esistenza in quell’inferno… (e non lo so neanche io fortunatamente però per lo meno mi guardo bene dal dire stronzate…)
Ho i miei dubbi, Barnard…e credo che li abbia anche tu, nella speranza (spero non mal riposta) di aver capito qualcosa di te…
Ma conosco già l’obiezione alla quale ho risposto mille altre volte (non pensavo però che avrei dovuto rispondere anche a te…). Le donne in quei contesti muoiono ancora di aborto clandestino, sono stuprate, infibulate, marginalizzate all’interno dei vari sistemi sociali e culturali, compreso il nostro…
E chi lo nega? Chi nega che ANCHE le donne, come gli uomini, come i bambini, come gli animali, come tutti, subiscano forme insopportabili e intollerabili di violenza.
Noi non siamo qui per scimmiottare a parti invertite il paradigma femminista, Barnard. Stiamo lavorando proprio per superare quei luoghi comuni, ipocriti, demagogici e strumentali, per sviluppare un’analisi seria, lucida ed equilibrata della realtà, nel nostro caso della realtà della relazione fra i generi e delle sue implicazioni di classe, per cercare di comprendere come all’interno dell’attuale dominio (quello capitalista contemporaneo), per lo meno nella nostra parte di mondo, si sia “evoluta” o trasformata quella relazione, chi ci abbia guadagnato e chi ci abbia rimesso. Non entro ancora una volta nel merito e ti rimando alla lettura del nostro sito e soprattutto del nostro Manifesto (Il Movimento Beta).
Noi non siamo interclassisti, qualunquisti, sessisti, razzisti e profondamente “borghesi”. Perché il femminismo, è finalmente giunta l’ora di affermarlo senza veli né maschere, è veramente un’ideologia borghese anche se è stata molto abile a camuffarsi estrapolando, con un banalissimo ma molto astuto copia-incolla, il concetto marxiano di conflitto di classe, e applicandolo alla relazione fra i sessi.
Noi invece, caro Paolo, non mettiamo tutto e tutti o tutte nello stesso calderone. Noi siamo capaci di una analisi lucida, non manichea, non ideologico/religiosa. La nostra formazione, il nostro approccio e il nostro spirito ce lo consentono.
“Le donne, tutte, sono sempre, comunque e dovunque le oppresse, vittime innocenti del potere maschilista, e gli uomini, tutti, sono sempre, comunque e dovunque gli oppressori, i violenti, gli stupratori, i guerrafondai”. Indipendentemente dalla loro condizione sociale, economica, culturale, ambientale, dal ruolo che occupano nella gerarchia sociale e dalla funzione che svolgono, perché comunque nell’ambito della relazione con le donne, in qualsiasi contesto (sociale, pubblico o privato), gli uomini, tutti, si trovano in una posizione di dominio”.
Questo è stato ed è il mantra del femminismo, sposato a tutto tondo da tutte le “sinistre”, siano essere “moderate” o “radicali” (mi viene da ridere…). Un mantra che è diventato cultura dominante (anche per le varie “destre”, naturalmente), “verità” ufficiale, al punto tale da riuscire ad occultare anche un dato macroscopico e raccapricciante che, a parti invertite, solleverebbe e avrebbe già sollevato un uragano, e cioè che a morire sul lavoro, nel terzo millennio, sono sempre e comunque gli uomini, con percentuali più che bulgare. E non lo affermo io ma le stesse statistiche ufficiali, quelle del “sistema” dominante” che, anche volendo, proprio non riuscirebbe a deformarle pro domo sua. E allora non se ne parla. Neanche una parola. Tutti tacciono, per viltà, per opportunismo, perché questa verità è troppo vera, troppo destabilizzante. Quella verità che urla a gran voce che gli “oppressori” (i maschi poveri) muoiono sul lavoro, al posto e anche per conto delle donne… Una verità troppo rivoluzionaria, come diceva un famoso rivoluzionario non più di moda…
Prova ad immaginare cosa sarebbe successo e cosa succederebbe se le parti si invertissero e se quel 97% di morti fosse composto da donne…
E invece andiamo avanti con le solite solfe; quote rosa di qua, quote rosa di là, nei CdA, nelle assemblee elettive, (nella scuole e nella pubblica amministrazione le donne sono ormai la stragrande maggioranza dei dipendenti, ma guarda un pò…) ma a morire nei cantieri edili, nelle fonderie, nelle miniere, negli altiforni, sulle piattaforme petrolifere o su un cavo elettrico, sono sempre e solo uomini, e poveri, perché non si sono mai visti notai o presidenti d’azienda morire precipitando dalle loro scrivanie…
Ma via Barnard, perdona la presunzione ma alla provocazione di Fini (dal quale siamo assolutamente distanti e per un motivo molto semplice: lui è di destra e noi di sinistra) si poteva rispondere in modo diverso.
Ribadisco che ciò che anima questa lettera è la stima nei confronti di un serio professionista ma soprattutto, e sottolineo soprattutto, di un uomo e di un compagno di lotta di cui condivido al 100% tante battaglie, in primis quella per la libertà del popolo palestinese.
Un abbraccio!”
Fabrizio Marchi

Di seguito, il mio precedente post già pubblicato:
“Sorprende anche me, Anselmo. Tuttavia dobbiamo fare alcune considerazioni:
1) Nessuno da queste parti ha mitizzato nessuno, tanto meno Paolo Barnard, il quale, in effetti, è diventato, per i suoi scritti e le sue posizioni in tema, bersaglio di attacchi e aggressioni da parte di femministe o pseudo tali (maggiormente di quest’ultime);
2) Noi abbiamo pubblicato sul nostro sito quegli articoli che lui stesso ci ha autorizzato a pubblicare e che, per quanto mi riguarda, condivido totalmente. Relativamente ad altre posizioni da lui assunte, è evidente che queste sono sue personali e infatti sono state pubblicate sul suo blog, come quella che tu ci hai segnalato.
Sorpresa a parte, nessuno può vietare ad altri di esprimere opinioni altre e/o diverse dalle proprie, soprattutto in altra sede o addirittura nel suo spazio personale. Se Barnard ha scelto di scrivere quelle cose che ha scritto e che tu ci segnali, avrà la sue ragioni. Quello che conta, per quanto mi riguarda, sono i contenuti dei suoi articoli che noi abbiamo scelto di pubblicare. Il resto sono affari suoi. Barnard non rappresenta gli Uomini Beta. E’ “solo” un collaboratore, sia pur autorevole, data la sua esperienza e fama giornalistica. Al momento e finchè non ci saremo dotati di una direzione politica ufficiale, il sottoscritto è il solo autorizzato ad assumere e a rilasciare posizioni ufficiali in nome e per conto degli Uomini Beta.
3) In riferimento all’articolo di Barnard in questione, è’ doveroso sottolineare che un conto è la condizione delle donne (e degli uomini) nel mondo occidentale e un’altra quella di molti altri contesti del pianeta.
Ciò detto, va evidenziato un aspetto. Ogni tanto, ormai da molti anni, qualcuno si alza e comincia a sciorinare dei dati relativamente alla violenza sulle donne nel mondo, salvo poi smentirli clamorosamente, come è accaduto di recente con Amnesty International che è stata costretta a rettificare i dati da lei stessa divulgati relativamente alla mano omicida degli uomini come prima causa di morte per le donne nel mondo. Quegli stessi dati, non si sa come e in che maniera rilevati, erano però nel frattempo stati fatti propri da tanti altri enti internazionali, fra cui l’Unicef, che sosteneva appunto il fatto che circa 60 milioni di donne ogni anno fossero assassinate.
Il che è semplicemente ridicolo perché se fosse vero, come spieghiamo in un articolo dal titolo “La grande menzogna”, l’umanità si sarebbe già dovuta estinguere da un pezzo…
Ora, in quello stralcio del libro dei due autori americani riportato da Barnard sul suo blog si afferma che oggi (si presume quindi ogni anno) dai 60 ai 100 milioni di donne spariscano nel nulla e vengano ridotte in schiavitù.
La considerazione che viene spontanea è la stessa relativa alle morti. Se questi dati corrispondessero al vero l’umanità si sarebbe già estinta, oppure il fenomeno sarebbe talmente grande, direi macroscopico, che non potrebbe essere oggettivamente occultato, sia pure parzialmente, come invece sembrerebbe essere oggi.
Abbastanza grottesca anche l’affermazione sulle donne morte sul lavoro. Se in Italia, cioè uno dei paesi più avanzati e industrializzati al mondo (aree sviluppate a parte, per lo meno in relazione al resto del pianeta) nel terzo millennio, a morire sul lavoro sono quasi esclusivamente gli uomini, figuriamoci quale può essere il dato percentuale in un qualsiasi paese africano, asiatico o sudamericano.
Naturalmente, come dicevo prima, nessuno in questa sede disconosce che la condizione delle donne (per lo meno, della maggioranza) in una gran parte del terzo e quarto mondo, sia di sottomissione e subalternità all’interno di sistemi sociali e culturali fortemente repressivi. Così come, se è per questo, nessuno è cieco di fronte alla ignobile pratica dell’infibulazione, peraltro prevalentemente praticata da donne ai danni di altre donne (senza con questo voler disconoscere le responsabilità di quelle culture e di quei sistemi che le tollerano e le alimentano) o, ancora peggio, quella di gettare dell’acido in faccia alle donne che respingono un fidanzato o un marito. Pratica, quest’ultima, di una violenza e di una ferocia inaudite, in voga in alcune aree, fortunatamente molto limitate, del Pakistan e dell’India.
E’ però assolutamente altrettanto certo che questa condizione di sottomissione e di subalternità ha riguardato e riguarda in egual misura anche masse sterminate di uomini (maschi) che nel corso della storia hanno subito e subiscono violenze altrettanto inaudite e feroci.
Se le donne, nel corso delle guerre civili, vengono stuprate, mutilate e poi uccise, è altrettanto vero che gli uomini vengono torturati, fatti a pezzi, spesso castrati e poi uccisi. Se ci sono state e ci sono donne ridotte in schiavitù, ci sono stati e ci sono uomini ridotti in schiavitù. Da altri uomini e da altre donne. Questa piaga è purtroppo ancora in voga, anche se in maniera spesso camuffata, in diverse aree dell’Asia, dell’Africa e del Sudamerica, ma non riguarda certamente solo le donne ma anche gli uomini e, se è per questo, ahinoi, anche e soprattutto i bambini e le bambine, indipendentemente dall’appartenenza di genere.
Potremmo in questa sede elencare innumerevoli esempi di atrocità, sevizie e torture che tuttora gli umani (uomini e donne) infliggono ad altri umani (uomini e donne). Senza andare a ritroso nel tempo basterebbe citare Abu Ghraib e Guantanamo per capire che alcune donne, al pari di alcuni uomini, sono capaci delle stesse identiche nefandezze.
Ma non credo che avrebbe molto senso fare questa sorta di passerella da museo degli orrori…
In conclusione, la mia opinione è che ciò che deve essere respinto con forza è il concetto di violenza di genere a senso unico, un concetto profondamente sessista e razzista che non può che condurre alla criminalizzazione di un intero genere, quello maschile. Anche perché, se si arrivasse a riconoscere universalmente che la “violenza è sempre e solo maschile”, nessuno potrebbe a quel punto esimersi dal prendere decisioni drastiche. Di fronte ad una simile “certezza” la risposta non potrebbe che essere altrettanto drastica. Come è stato legittimamente impedito ai nazisti di perseguire il loro criminale disegno di assoggettamento e riduzione in schiavitù dell’umanità sulla base dell’appartenenza razziale, lo stesso dovrebbe essere fatto con il genere maschile, una volta che questo venisse riconosciuto come unico generatore e responsabile della violenza.
Contro i nazisti è stata fatta una guerra, sconfitto un esercito, bombardato e raso al suolo un intero paese, la Germania.
Cosa si farebbe in questo caso? Quali sarebbero le “soluzioni”?

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Gioia 3:47 pm - 23rd Agosto:

una fonte a caso.. ma ce ne sono tantissime altre che smontano questa puerile gara a chi crepa di più sul lavoro:
http://www.nannimagazine.it/articolo/Incidenti-domestici-colpite-il-70-delle-casalinghe-sicurezza-in-casa-ancora-poco-diffusa-

1. “l’INAIL rende noto che a fronte di 1.100 morti sul lavoro all’anno, le morti tra le pareti di casa in seguito ad incidenti domestici ammontano a circa 8mila; un rapporto di otto a uno”.
2. e chi crepa in casa? “La donna in casa è prima di tutto un lavoratore e la casa è anche il luogo di lavoro dove le donne (casalinghe o lavoratrici poco importa) sono esposte a gravi rischi”. (Umberto Sacerdote, Ispesl).

sugli altri luoghi di lavoro… certo, la stragrande maggioranza dei lavoratori femmine sta negli uffici, a fronte di una stragrande maggioranza che sta in produzione; quindi le statistiche questo pesa. Ma alla fine, cui prodest una polemica così ridicola?
Senza offesa; baci.

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Rita 4:12 pm - 23rd Agosto:

in casa crepano il 56.5% delle femmine contro il 43.5% dei maschi. Nonostante in casa obiettivamente ci lavorino di più le femmine

http://www.sicurezzalavoro.fvg.it/uploads/media/MARCOLIN_Infortuni.pdf

Vedi grafico a pag. 14 del link, divisa per fasce d’età. Le uniche fasce d’età in cui le donne muoiono di più in casa sono quelle over 65 peraltro, (che fanno salire le percentuali), fascia d’età in cui le donne sono numericamente maggiori degli uomini… (ci sono 6 vedove per ogni vedovo)

‘nzomma… sono d’accordo che è brutto far la gara a chi “soffre” di più o è più svantaggiato, ma, come dicevo anche nell’articolo “Glory of the women” pare che se le donne si vedono sfuggire il primato del vittimismo si preoccupano molto… bisogna subito correre ai ripari… eh ma anche noi anche noi…laugh

Per farla breve, gli ultimi quarant’anni sono stati una corsa (anche, come si è visto, nelle cifre) a mettere il cappello sul posto di “vittima” da parte del femminile. E’ dura eh .. riconoscere che in qualche campo anche l’uomo puo’ avere svantaggi.

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Marco 4:50 pm - 23rd Agosto:

Lo aveva già postato ckkb.
http://www.maschiselvatici.it/pdf/incidenti_domestici.pdf
@ Gioia
Ma alla fine, cui prodest una polemica così ridicola?
@
Dovresti chiederlo alle appartenenti al tuo stesso sesso, in particolar modo alle ministre, alle giornaliste, alle sindacaliste, alle prof universitarie e compagnia cantante.
Sono loro che hanno dichiarato guerra agli uomini, mica il contrario…

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Alessandro 4:50 pm - 23rd Agosto:

Gioia: una fonte a caso.. ma ce ne sono tantissime altre che smontano questa puerile gara a chi crepa di più sul lavoro:
http://www.nannimagazine.it/articolo/Incidenti-domestici-colpite-il-70-delle-casalinghe-sicurezza-in-casa-ancora-poco-diffusa->>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>
Interessante articolo, però mancano dei dati importanti a mio avviso: come sono ripartiti in base al sesso i morti per incidenti domestici? Che cosa s’intende per incidenti domestici? Per esempio, morire a causa di una scossa elettrica mentre un uomo ripara un proprio elettrodomestico è una morte imputabile a un incidente domestico?
Comunque per me le casalinghe, che svolgono un lavoro a tutti gli effetti, dovrebbero essere più tutelate e godere anche di una retribuzione. Vai a dirlo però alle femministe…mi sbranerebbero vivo.>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>
Gioia: Ma alla fine, cui prodest una polemica così ridicola?>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>
Questo bisognerebbe farlo presente soprattutto a quei movimenti, siti d’impronta femminista, che vivono mettendo a raffronto tutto ciò che è maschile con tutto ciò che è femminile. O forse le loro sono polemiche serie? Per me un morto è un morto a prescindere dal sesso di appartenenza, ma quando non fai altro che sentire o leggere chi distingue in base al sesso per qualsiasi cosa accada, allora a un certo punto cerchi di vederci più chiaro.

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Alessandro 4:52 pm - 23rd Agosto:

A rispondere alle mie domande è intervenuta subito Rita, pur non avendole lette. Come al solito precisissima e preziosissima.

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Marco 5:26 pm - 23rd Agosto:

Gioia, noto che anche nel tuo blog non si scherza in quanto a faziosità…
http://www.sbilanciamoci.info/Sezioni/italie/Donne-in-attesa-fine-degli-alibi

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Silver 5:58 pm - 23rd Agosto:

IL MITO DEL POTERE MASCHILE, di Warren Farrell
________________
Nasce la donna dalle scelte multiple e l’uomo senza scelta.
Oggi, quando la single di successo incontra il single di successo, i due sono apparentemente alla pari. Ma se si sposano e prendono in considerazione la possibilità di avere dei figli:

Lei quasi invariabilmente prende in esame tre possibili opzioni:
Opzione 1 : Lavorare a tempo pieno
Opzione 2: Essere madre a tempo pieno
Opzione 3: Conciliare in qualche modo lavoro e maternità

Lui prende in considerazione tre opzioni «leggermente diverse»:
Opzione 1 : Lavorare a tempo pieno
Opzione 2: Lavorare a tempo pieno
Opzione 3: Lavorare a tempo pieno

Tuttora le madri, quarantatré volte più dei padri, prendono un congedo di sei o più mesi per motivi di famiglia.[8] Nella maggior parte dei casi, a questo punto lui è costretto non soltanto a lavorare a tempo pieno, ma anche a fare gli straordinari, o un doppio lavoro.
E allora, guarda caso, è proprio il successo del partner a rendere la donna più che pari a lui, a offrirle tre opzioni mentre a lui non ne resta neppure una. Ovviamente, la scelta della maternità può danneggiare la carriera di una donna, ma lei può comunque scegliere tra la maternità e la carriera. Invece, gli uomini che scelsero la paternità intesa nel senso di diventare «pionieristici uomini di casa», ben presto scoprirono che molti reporter li cercavano per ottenere un’intervista, ma pochissime donne erano disposte a sposarli.
Le donne non si limitarono comunque a richiedere nuove opzioni. Specificarono i problemi creati dalle nuove opzioni. Sentimmo così parlare dell’«atto-truffa». I padri non misero l’accento sul fatto che si sentissero in dovere di impegnarsi di più sul lavoro quando arrivavano dei figli. Né gli uomini parlarono di quanto si sentivano feriti per essere tenuti fuori dalla famiglia.
La prima volta che domandai a un gruppo di uomini se avrebbero scelto di restare a casa facendo i padri full time per un periodo da sei mesi a un anno – se lo avessero potuto – e oltre l’80 per cento rispose che avrebbe scelto di restare con il neonato a tempo pieno qualora ciò non avesse danneggiato le finanze della famiglia e se la moglie fosse stata d’accordo, pensai di trovarmi di fronte a un gruppo di bugiardi, o a un campione scelto del tutto speciale. La percentuale risultò solamente di poco inferiore quando la domanda fu posta a un gruppo di subappaltatori edili,[9] e allora cominciai a capire fino a che punto gli uomini non avevano neppure mai pensato a delle possibili scelte.
Ripetiamo spesso: «Nell’odierna economia, le donne devono lavorare fuori casa: non è una scelta». Dimentichiamo che le donne che lavorano fuori casa esercitano di solito l’opzione di pagare la tecnologia che ha ridotto il carico di lavoro delle donne dentro casa.
Per lo più le donne dalle scelte multiple avevano una cosa in comune: un marito arrivato. Ma il divorzio eliminò molti mariti arrivati, lasciandoci con sei classi fondamentali di donne.

Le sei classi di donne
1. La donna sposata della I Fase. Non diede mai a se stessa il permesso di lavorare, oppure pensava: Mio marito non mi lascerà mai. Psicologicamente, era una donna senza scelte.
2. La donna che ha tre scelte, ma un matrimonio infelice. Resta sposata, ma è infelice, spesso per evitare di dover lavorare.
3. La madre single sposata al governo. II governo si è sostituito al marito, offrendole tre opzioni purché restasse al livello di sussistenza.
4. La single che lavora della I Fase. Questa donna lavorava affinchè lei o la sua famiglia non morissero di fame. Se aveva avuto dei figli in un precedente matrimonio, di solito non riceveva alcun aiuto.
5. La single che lavora della II Fase. Non è mai stata mantenuta da un uomo né ne ha mai mantenuto uno. Se aveva figli da un precedente matrimonio, si poteva considerare nella II Fase solamente se riceveva contributi per i figli.
6. La donna che ha tutto. Questa donna era sposata a un uomo che provvedeva ampiamente al sostentamento e grazie a ciò poteva tranquillamente scegliere tra le sue tre opzioni. Questa donna era felicemente sposata. Si creò così una classe di persone mai esistite prima. In un certo senso, le donne che hanno tutto costituivano la «nuova classe privilegiata». E nessun uomo si trovava in una posizione equivalente.
Il movimento femminista dimostrò il suo genio politico quando si rese conto che poteva appellarsi a tutte e sei le classi solamente sottolineando l’acquisizione di diritti e sottacendo l’ampliarsi delle responsabilità. Se la National Organization for Woman avesse lottato affinché anche le diciottenni venissero iscritte nelle liste di leva, forse avrebbe perso qualche adepta. Se il femminismo avesse sottolineato le responsabilità delle donne, con il relativo rischio di dover sopportare un rifiuto sessuale, o di dover pagare la cena a un uomo, o di scegliere un lavoro meno gradito per mantenere meglio la famiglia, il suo impatto sarebbe stato più egualitario ma avrebbe avuto un più blando successo politico.
«Sei stata tu a volerti sposare. Sei stata tu a volere dei bambini. Hai voluto la casa e i mobili, e adesso TU vuoi essere LIBERATA!»
(HERMAN copyright Jim Unger. Riproduzione autorizzata da UNIVERSAL PRESS SYNDICATE. Tutti i diritti riservati.)

Che cosa ha provocato la collera delle donne contro gli uomini?

Le donne si sono arrabbiate con gli uomini in parte perché questi ultimi si identificavano nell’uomo bianco eterosessuale di successo, e non nella condizione del nero e del nativo americano, o nell’ostracismo che colpisce il gay, o nell’invisibilità del povero. Ma ciò contribuiva solo in parte a far montare la collera.
Le donne come sesso «da buttare»
Il divorzio ha espulso milioni di donne dalia classe di quelle che hanno tutto. Ma la donna che divorziava – più spesso una quarantenne che una ventenne – veniva scaraventata sul mercato tra uomini più interessati a due ventenni che a una sola quarantenne. È dunque comprensibile la sua collera…
Nella I Fase il rafforzamento dell’inclinazione maschile per le ventenni operava a favore della donna – quell’inclinazione induceva infatti l’uomo ad accettare di mantenerla per tutta la vita; i tabù sul divorzio lo inducevano a rispettare il patto. Quando i tabù cominciarono a non costituire più un condizionamento e lei era ormai una quarantenne, l’inclinazione maschile per le ventenni operò a suo sfavore. Si sentì «una signora da buttare». Il divorzio aveva modificato il rapporto psicologico tra maschi e femmine.
Più la donna era bella da giovane, più era trattata come una celebrità – quella che io chiamo una celebrità genetica. Di conseguenza, tanto più si sentiva una ex bella. È duro perdere una cosa posseduta, molto più che non sapere neppure che cosa significhi possederla. Diventando sempre più invisibile, percepì come sempre più precaria la sua posizione, e la sua collera montò ancora.
Contemporaneamente, anche le donne che non erano mai entrate nella classe di quelle che hanno tutto si sentivano un fallimento. In modi diversi, tutti e due i gruppi si sentivano rifiutati… dagli uomini. E pertanto in collera… con gli uomini.
La donna divorziata con figli si sentiva doppiamente vulnerabile. Non era una donna soltanto, ma un intero «pacchetto»: una donna-con-figli. Rammento quando un mio amico tornò, in estasi, da un appuntamento con Carol. Una settimana dopo andò a casa di Carol e lei lo presentò ai suoi tre figli. Quando andarono in montagna a sciare durante un weekend, spese oltre 1000 dollari per i bambini. Sapeva di non essere obbligato, ma «non volevo fare il taccagno, e così ho pagato per loro lo ski-lift, le stanze separate dalla nostra, qualche pranzo, qualche divertimento…»
Il mio amico già doveva mantenere l’ex moglie e due figli. Temeva di diventare il padre di due famiglie, il sostegno economico di due famiglie. Temeva di diventare un uomo con quattro lavori. Più precisamente, temeva di non dimostrarsi all’altezza in nessuno dei quattro. Ben presto fece marcia indietro e troncò la relazione. Carol si sentì ferita e non volle parlargli per arrivare a una «spiegazione». Lui era disponibile soltanto come amico, perché non poteva permettersi di impegnarsi con il portafogli; lei era disponibile come partner matrimoniale. In realtà erano entrambi vittime di quel fenomeno postdivorzio che definisco «donna-come-pacchetto» (lei non era infatti una donna soltanto, ma una donna-con-tre-figli). Se avessero capito di essere entrambi vittime di una particolare situazione, forse sarebbero potuti restare amici.
Il divorzio ha costretto la donna della classe media che poteva prima permettersi un lavoro a lei più gradito (anche se meno retribuito), a cercarsi un lavoro meno attraente che fosse meglio pagato. Allorché il femminismo spiegò che le donne erano relegate nei posti peggio retribuiti e di nessun rilievo, si sentì deprezzata. Il femminismo era talmente potente da accecarla, non consentendole più di vedere gli uomini che erano relegati in tipi differenti di lavori di poco conto, e poco pagati: l’inserviente e il lavapiatti del suo bar, gli immigrati che raccoglievano la verdura per la sua tavola, i guardiani e gli addetti al lavaggio delle auto… Ma non avendo la visione dell’intero quadro – cioè che quando, indipendentemente dal sesso, si hanno capacità minime si hanno di conseguenza salari minimi in tipi differenti di lavori di poco conto – la collera delle donne montò ulteriormente.
Le donne interpretavano la tendenza degli uomini a guadagnare di più con lavori diversi come il risultato del predominio maschile piuttosto che della subordinazione maschile: non la consideravano il risultato di un ben preciso obbligo per gli uomini – l’obbligo di andare là dove si trovava il denaro, e non là dove c’era appagamento. Per lui, seguire il denaro era primario; seguire l’appagamento, secondario. Per lui, anche il divorzio implicava un cambiamento: continuava a seguire il denaro per il sostentamento della famiglia, ma senza che la famiglia lo sostenesse a livello emotivo.
Contemporaneamente, le femministe si focalizzavano sul fatto che le donne nel loro insieme guadagnavano di meno, ma senza focalizzarsi su nessuna delle tredici ragioni principali per cui ciò accadeva (per esempio, sul posto di lavoro per gli uomini il tempo pieno significa lavorare nove ore di più la settimana rispetto alle donne che lavorano full time;[10] gli uomini sono più pronti a trasferirsi in posti poco piacevoli, a lavorare nelle ore meno desiderabili[11] eccetera). Definendo la differenza di paga «discriminazione» e non spiegando le ragioni di quella differenza, nelle donne aumentò la collera ma non il potere (se avessero conosciuto le ragioni che determinano la differenza, sarebbero state investite del potere di eliminare la differenza).
Poiché l’atteggiamento offeso e la collera delle donne creava un’atmosfera che non favoriva l’espressione dei sentimenti da parte degli uomini, questi diventarono più passivi-aggressivi. Sempre di più sentivano che la loro unica forma di rapporto di potere consisteva nel non farsi coinvolgere ìn un rapporto. Le donne etichettarono questo atteggiamento come paura di impegnarsi, accusarono gli uomini di avere paura dell’intimità, e della mascolinità fecero un sinonimo del male: «Papà lo sa» si trasformò in: «Quanto scocciano i padri». Le donne diventarono «donne che amavano troppo»; gli uomini diventarono «uomini che tormentavano troppo». Per le donne si trovò l’etichetta di super-women, per gli uomini di superviziati.
La politica dei lavori domestici
Fu ben presto chiaro alla maggioranza delle donne che loro avevano due lavori e gli uomini uno solo: soltanto la fatica della donna stava aumentando. In realtà lei aveva meno obblighi in casa e più obblighi fuori: ci trovavamo di fronte, in effetti, a una divisione dei luoghi del suo lavoro. Uno studio condotto a livello nazionale fece chiarezza in proposito.
Nel 1991, il Journal of Economic Literature riferì che, mentre tuttora le donne in casa lavorano circa 17 ore la settimana più degli uomini, gli uomini fuori lavorano circa 22 ore di più la settimana (compreso il tempo per gli spostamenti).[12] Che cosa succede quando paragoniamo le ore della donna media alle ore dell’uomo medio sia in casa sia fuori? Lei arriva a 56 ore, lui a 61 ore di lavoro. Usando lo stesso metro. Perché mai? La donna media lavora 26 ore la settimana fuori, l’uomo medio 48 ore.[13]
Gli studi condotti sulle mogli che lavorano, da cui risulta che le mogli fanno due lavori mentre i mariti ne fanno uno solo, evitando accuratamente il secondo, dicono soltanto una mezza verità. Sono talmente fuorvianti da essere considerati una sorta di menzogna: sono studi di donne-vittime. Per giunta fanno montare la collera delle donne e aumentare il numero dei divorzi, il che a sua volta accresce la collera, che a sua volta…
Virginia Slìms ricorda come funzionò l’unione del 1908.
I doveri dì lei: raccogliere la legna, accendere la stufa, preparare ì banchetti, lucidare i pavimenti, sbattere i tappeti, raccogliere l’acqua, zappare il giardino, seminare il giardino, curare il giardino, conservare i cibi, organizzare la dispensa, lucidare gli argenti, pulire i vetri delle finestre, lavare il cane, nutrire il cane, fare la spesa, ornare le stanze, spazzare il sentiero, cucire gli abiti, rammendare, spazzolare i panni, tenere in ordine la soffitta, arieggiare le camere, gestire il budget. I doveri di lui: provvedere ai mezzi di sostentamento e approvare l’uso dei medesimi.
Attenzione:il fumo nuoce gravemente alla salute

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Silver 6:10 pm - 23rd Agosto:

IL MITO DEL POTERE MASCHILE, di Warren Farrell
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Perché gli uomini non sono cambiati?
Il divorzio ha prodotto un mutamento nelle donne anche perché ne ha cambiato la fonte di reddito. Il divorzio non ha prodotto invece alcun mutamento nella pressione esercitata sugli uomini affinché sì focalizzino sulle entrate per ottenere l’amore delle donne. Milioni di divorziati si sono accollati cinque carichi che raramente toccano alle donne:
• Mantenimento dei figli
• Pagamento del mutuo di una casa in cui non vivono più
• Affitto per un appartamento
• Alimenti alla ex moglie
• Spese per corteggiamento
Gli uomini si sono trovati sottoposti all’antica pressione a guadagnare, per giunta intensificata. Pertanto, invece di cambiare si sono ritrovati a essere ancor più «sempre i soliti». Malauguratamente, lo studio femminista che arrivò alla conclusione che gli uomini traevano beneficio e le donne soltanto danni dal divorzio, ignorò completamente quasi tutti e cinque gli impegni finanziari che devono assumersi gli uomini, e passò sotto silenzio quasi tutte le entrate delle donne. (Fu l’unico studio a presentare simili dati e l’unico a ottenere l’attenzione dei media.)[14]

Come il governo è diventato il surrogato del marito mentre nessuno diventava il surrogato della moglie.
Di fronte al divorzio, la più grande preoccupazione di una donna era di natura economica: temeva di essere deprivata. L’uomo temeva di essere deprivato a livello emotivo. Nella II Fase le leggi che regolano il divorzio hanno aiutato Alice a passare dalla dipendenza economica all’indipendenza economica. Ma nessuna legge ha aiutato Jack a passare dalla dipendenza emotiva all’indipendenza emotiva. (Ecco perché Alice è corsa in tribunale per ottenere gli alimenti e Jack è corso da una donna per i suoi bisogni affettivi.)
Quando il divorzio significava che il marito non garantiva più la sicurezza economica alla moglie, il governo si trasformò in surrogato del marito. Garantiva alla donna parità di salario e priorità nell’assunzione (azione affermativa). Offriva alla donna dei sussidi per i figli a carico; prevedeva programmi speciali per donne, neonati e bambini; preferibilmente affidava i figli alla madre e si rivaleva sullo stipendio dell’uomo se non venivano versate le somme previste per il mantenimento dei figli; offriva speciali opportunità alle donne nei college e nelle forze armate, alle donne artiste e alle donne imprenditrici. Tagliava fuori l’uomo dai servizi che in futuro avrebbe potuto avere dalla donna.
Ad Alice era riservata un’opzione soltanto per la sua sicurezza economica, e a Jack un’opzione soltanto per la sua sicurezza emotiva. Ora Alice gode di parecchie opzioni per ottenere la sicurezza economica (grazie al lavoro, al marito o al governo) mentre a Jack ne resta meno di una: reddito da lavoro meno mantenimento dei figli, meno alimenti all’ex moglie e meno tasse più pesanti da pagare al governo in quanto surrogato del marito. Grazie a tutto ciò è rimasto prigioniero del denaro, senza la possibilità di approfondire la conoscenza di se stesso.

Perché le istituzioni della I Fase erano oppressive e in che modo le istituzioni della II Fase possono essere liberatorie
In parte la collera delle donne contro gli uomini deriva dalla convinzione che siano stati gli uomini a stabilire le regole, elaborandole in modo da opprimere le donne e favorire se stessi. Dal momento che a capo delle istituzioni ci sono prevalentemente uomini, quando tali istituzioni non soddisfano le nostre necessità tendiamo a incolpare gli uomini. La sfida è duplice: innanzitutto, riconoscere che queste istituzioni hanno aiutato le donne ad arrivare alla II Fase prima ancora degli uomini; in secondo luogo, rendersi conto che istituzioni che erano funzionali nella I Fase possono, con un processo di transizione, diventare funzionali nella II Fase.
Come la famiglia funzionale si trasformò in disfunzione famigliare
Così come accadeva quando portavamo i matrimoni della I Fase agli standard della II Fase e li definivamo un fallimento, quando portiamo le famiglie della I Fase agli standard della II Fase le definiamo non funzionali. Vengono così etichettate, per il 97 per cento, le nostre famiglie d’origine. Di conseguenza, mentre nella I Fase valeva il detto «Chi ama bene, castiga bene», e quindi bisognava intervenire con decisione, nella II Fase se si interviene con decisione si fa un danno. Se non si castigava un figlio con decisione al momento opportuno si faceva il suo male, ma ora, nella II Fase, se si castiga si fa violenza al figlio. Perché mai?
Nella I Fase, ricorrere al castigo era considerato funzionale: insegnava ai bambini che la disobbedienza era fonte di sofferenza. Il che era vero: le regole erano previste per evitare l’estrema povertà, l’inedia. Ma nella II Fase gli obiettivi della realizzazione di sé imponevano il contatto con i propri sentimenti. Il castigo separa i bambini dai loro sentimenti, e presumibilmente sarà tutt’altro che funzionale.
Nella I Fase la dipendenza reciproca era il cemento delle fondamenta di una famiglia. Pertanto era difficile che fosse eccessiva. Nella I Fase la codipendenza era dunque funzionale. Ma quando il divorzio ci costrinse a prepararci all’indipendenza, allora la codipendenza spesso divenne eccessiva, e pertanto non risultò più funzionale. Così la famiglia funzionale della I Fase si trasformò in disfunzione famigliare nella II Fase.
Vorrei proprio che si smettesse di definire non funzionali le nostre famiglie d’origine e si cominciasse invece a considerarle funzionali alla I Fase. Si riconosce così loro il merito di aver dato un contributo preoccupandosi delle nostre necessità fondamentali, il che ci ha consentito di avere la libertà di decidere che cosa è funzionale nella II Fase.
Il matrimonio
Secondo le femministe, la tradizione che vuole sia il padre ad accompagnare la sposa all’altare e a consegnarla al futuro marito era un riflesso del patriarcato. Ma il padre «consegnava» la sposa perché era lui a cedere la responsabilità di proteggerla. (Nessuno «consegnava» lo sposo perché nessuno avrebbe protetto un uomo. Il compito dei genitori era di trasformare il figlio in un protettore, e non di consegnarlo a un protettore.)
I nostri genitori sono stati spesso criticati per aver scoraggiato un figlio dal «fare quello che voleva». Ma siccome un Vincent van Gogh poteva a mala pena mantenere se stesso (men che meno una famiglia di dieci persone), era compito dei genitori far sì che il figlio non facesse l’artista, e di insegnare alla figlia che essere corteggiata da un uomo del genere equivaleva all’andarsi a cercare guai. Spesso tali suggerimenti suonavano come un esercizio di potere da parte dei genitori. In effetti, non si trattava di potere parentale quanto di un differimento di tale potere il differimento della capacità dì Tevye e dì Golde di cercare la realizzazione di sé e un amore più profondo. E così Tevye riuscì a fare a Golde delle domande della II Fase solamente quando la figlia stava per sposarsi e «andarsene di casa».
Siccome la felicità era secondaria, il bere, la frustrazione e la violenza erano all’ordine del giorno. Ma nella I Fase il divorzio non era funzionale: con otto figli e l’impossibilità di mantenere due case, andarsene non era un’opzione possibile. Pertanto abbiamo tollerato violenze e ubriachezza invece che divorzio e miseria.
In breve, le generazioni impareranno meglio e prima ad amarsi se consideriamo la loro socializzazione funzionale alla I Fase invece di parlare di disfunzioni e se riconosciamo che i ragazzi oggi più bravi nel perseguire i valori della II Fase spesso devono ciò al fatto che i loro genitori avevano i valori della I Fase. Le discussioni sui valori famigliari che non tengono conto delle distinzioni tra le famiglie della I e della II Fase diventano di conseguenza fonte di disapprovazione invece che di apprezzamento.
La religione in un momento di transizione
Nella I Fase la chiesa stabiliva regole rigide e precisi rituali allo scopo di indurre la gente a sacrificarsi per la generazione successiva senza fare domande e senza mettere nulla in discussione. Nella II Fase gli interrogativi diventano necessari per affrontare le opzioni che la vita offre, e la rigidità serve ben poco di fronte alle ambiguità dell’esistenza.
Nella I Fase le religioni avevano dovuto imporre dei limiti al sesso prematrimoniale perché si mettevano al mondo dei bambini senza alcuna garanzia per i bambini stessi e per la salvaguardia della donna. Nella II Fase il controllo delle nascite permise al sesso di rientrare nella sfera dell’appagamento, della comunicazione e del legame spirituale – ovvero gli obiettivi di un rapporto nella II Fase. Di conseguenza, nella II Fase le religioni possono preoccuparsi meno di stabilire misure restrittive e repressive per quanto riguarda il sesso e focalizzarsi di più sul compito di assistere la coppia affinché migliori la comunicazione e lo scambio spirituale.
Nella II Fase le chiese sono più libere di insegnare che l’inibizione sessuale diventa spesso inibizione spirituale. Per esempio, insegnare alle donne a reprimere artificialmente il sesso vuoi dire insegnare agli uomini a dire alle donne ciò che loro pensano che le donne vogliano sentirsi dire, e non ciò che essi veramente provano. La mancanza di sincerità inibisce la spiritualità. Allora le donne cominciano a usare la sessualità per sentirsi dire quello che vogliono ascoltare, invece di imparare a gioire della propria sessualità. Spesso oppongono la sessualità alla spiritualità, non vedendo quanto il legame sessuale renda più forte il legame spirituale. La repressione sessuale nelle donne è un metodo efficace per dare loro il controllo sugli uomini, rendendo questi ultimi tutt’altro che sinceri. Ormai sono molte le donne che cominciano a preferire la schiettezza negli uomini al controllo sugli uomini. In breve, l’enfasi posta dalla religione sulle regole rigide e severe nella I Fase preparava la coppia a una vita di partner con ruoli ben precisi. L’enfasi posta dalla religione sulla comunicazione nella II Fase prepara invece la coppia all’unione spirituale.
Le chiese della I Fase continueranno a cercare uomini da mostrare come simboli della responsabilità maschile. Queste chiese attrarranno soprattutto le seguaci della I Fase e i leader della I Fase. Le chiese della II Fase cercheranno di guidare i due sessi, non biasimando gli uomini per essere stati leader in passato, ma aiutando entrambi i sessi nel passaggio a un futuro diverso.
Le politiche sessuali: la I Fase contro la II Fase
In tutto il mondo, all’improvviso i politici cresciuti secondo l’etica sessuale della 1 Fase furono giudicati secondo l’etica della II Fase.
Furono protette dal segreto le relazioni amorose di John Kennedy, mentre Ted Kennedy e Bill Clinton sono stati considerati dei dongiovanni. I primi ministri giapponesi della I Fase avevano delle geishe, mentre il primo ministro Uno venne defenestrato non appena si scoprì che aveva una geisha. Il ministro della
Guerra britannico John Profumo, il più probabile candidato alla carica di primo ministro, cadde in disgrazia e fu costretto ad abbandonare la politica quando il fatto che avesse un’amante fu giudicato secondo l’etica sessuale della II Fase.
Perché questo cambiamento? Nella I Fase non veniva concesso il divorzio, e quindi le relazioni amorose degli uomini non mettevano in pericolo la sicurezza economica delle donne; nella II Fase una relazione poteva portare al divorzio, e quindi le relazioni amorose degli uomini mettevano a repentaglio la sicurezza economica delle donne. Non volevamo assolutamente avere dei leader politici che diventassero modelli di un comportamento che avrebbe messo in pericolo la sicurezza economica delle donne.
La nostra presunta preoccupazione per le donne contrasta forse con il doppio standard sessuale che sembra essere servito soltanto agli uomini? No. Due erano i doppi standard: 1) un uomo poteva avere delle relazioni, una donna no; e 2) una donna sposata poteva costringere il marito a mantenere i figli da lei avuti in seguito a relazioni extraconiugali; un uomo sposato non poteva costringere la moglie a mantenere i figli nati dalle sue relazioni amorose. (Anzi, lui era messo al bando se si rifiutava di prendersi cura di un figlio nato da una sua relazione.)[15] Ecco il secondo doppio standard di cui non abbiamo mai sentito parlare.
Peraltro, tutti e due i doppi standard proteggevano le donne. Come? Se degli uomini sposati avessero avuto sentore che le mogli avevano delle «storie» da cui sarebbero nati figli che avrebbero poi dovuto mantenere loro, pochissimi uomini avrebbero accettato il matrimonio e pochissime donne e relativi figli avrebbero ottenuto protezione.
Comunque, le società della I Fase si trovarono di fronte a un dilemma: il matrimonio garantiva alle donne la sicurezza economica a vita, ma non garantiva agli uomini la gratificazione sessuale a vita. Pertanto le società della I Fase crearono uno speciale accordo: quello che definisco il «triangolo coniugale».
Il triangolo coniugale era formato da marito, moglie e amante (o, a seconda delle culture, geisha, prostituta, seconda moglie, oppure un intero harem). L’accordo era questo: «Marito, il tuo primo dovere è prenderti cura delle necessità di tua moglie e dei tuoi figli a livello economico. Se continui a ottemperare al tuo dovere ma non ottieni in cambio il sesso, la giovinezza, la bellezza, l’attenzione e la passione che ti hanno indotto ad assumerti quel dovere per tutta la vita, allora puoi anche soddisfare qualcuno dei tuoi bisogni, ma a due condizioni: devi continuare a mantenere la tua famiglia (il divorzio non è contemplato neppure se i tuoi bisogni non sono soddisfatti), e devi anche provvedere ad alcune delle necessità economiche di questa donna più giovane e attraente (geisha, amante, prostituta) le cui necessità economiche potrebbero essere altrimenti soddisfatte».
Nella I Fase, nessuno sentiva appagati i propri bisogni di intimità – né il marito, né la moglie, né l’amante, né i figli. Ovviamente ad alcuni individui capitava, ma non era questa la preoccupazione primaria del matrimonio della I Fase: la preoccupazione primaria era la stabilità, e il triangolo coniugale era il «grande compromesso per la stabilità».
Secondo gli standard della II Fase, i politici che si dichiaravano rispettosi della morale ma avevano delle relazioni, erano chiaramente degli ipocriti. Nella I Fase moralità significava preoccuparsi della propria famiglia. Per la maggior parte degli uomini, una relazione extraconiugale avrebbe costituito un rischio. Ma l’uomo che riusciva a fare le due cose con discrezione non veniva messo al bando perché in qualche modo ciò veniva inteso come un incentivo ad avere successo e a migliorare nel suo ruolo di protettore. Le cose cambiarono quando le relazioni extraconiugali furono causa di divorzi, con il risultato che il mercato del lavoro si ritrovò saturo di milioni di donne prive di qualsiasi qualifica. Allora i politici che avevano delle relazioni ben presto si ritrovarono disoccupati.
Definendo i nuovi standard come una forma di più alta moralità, parve che le donne possedessero una più elevata moralità. Ma in realtà le donne non possedevano affatto una più alta moralità. Perché no? Ogni relazione coinvolgeva entrambi i sessi.
La differenza? Negli Anni Ottanta e Novanta, Donna Rice (vedi Gary Hart) ottenne ruoli in TV e negli spot pubblicitari, Gennifer Flowers (vedi Bill Clinton) intascò una somma valutata intorno ai 100.000 dollari per rivelare la sua storia… tutti e due i sessi avevano partecipato, ma gli uomini erano visti come imputati e le donne come vittime, anche se gli uomini rischiavano la carriera e le donne ottenevano un trampolino di lancio.
La politica nella II Fase
Quando pensiamo ai boss della politica, alle tangenti e al clientelismo, in linea di massima pensiamo al potere maschile, alla corruzione maschile, alla rete creata da vecchie amicizie e connivenze, allo sciovinismo maschile e al predominio maschile. Si associa la revisione di questo processo alla revisione dei simboli del predominio maschile. Ma nella I Fase i boss, le tangenti e il clientelismo erano accettabili non perché facevano comodo agli uomini, ma perché facevano comodo alle famiglie, donne e bambini compresi. Il boss conservava il potere soltanto finché creava posti per mantenere quelle famiglie. Costruiva la sua «macchina» sulla classe più bisognosa, così questi impieghi permettevano ai poveri di sopravvivere. Il fatto che si trattasse di un lavoro e non di assistenza, generava il rispetto delle famiglie.
Quando un uomo diventava il boss, si trattava spesso del primo segno del fluire nella corrente principale dell’economia di una classe di diseredati – irlandesi o italiani o ebrei o neri. La si può definire forma assistenziale della I Fase, o corruzione, oppure addestramento al lavoro, a seconda dei punti di vista, ma in ogni caso ne trassero beneficio le famiglie e non soltanto gli uomini. Nelle sue forme estreme (per esempio, la mafia), non soltanto provvedeva al sostentamento delle famiglie ma disponeva degli uomini molto più spesso che delle donne.

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Fabrizio Marchi 6:41 pm - 23rd Agosto:

Cara Gioia, naturalmente i nostri preziosissimi e preparatissimi “statistici”si sono subito messi al lavoro e hanno portato altri numeri da altre fonti, altrettanto autorevoli della tua, che smentiscono e ridimensionano fortemente i tuoi. Mancano ancora all’appello altre voci, soprattutto quella di uno dei più assidui utenti del nostro blog che, ne sono certo, non tarderà a farsi sentire..
Ciò detto, ammettiamo anche che i “tuoi” numeri” siano quelli corrispondenti al vero. Il tuo intervento conterrebbe comunque un doppio vizio, sia di metodo che di merito.
Il primo. Mentre solo una minoranza (sia pur robusta) di uomini (maschi), quantificabile intorno ai 5/6 milioni di lavoratori, svolge lavori rischiosi (lavoratori edili, agricoli, minatori, siderurgici, autotrasportatori ed altri), la pressoché totalità delle donne (con l’eccezione delle signore borghesi che hanno la domestica filippina) e una robusta minoranza di uomini (il 30% circa, sempre facendo fede ai tuoi dati) svolgono attività domestiche. Ergo, è maldestro o capzioso da parte tua (opto per la prima ipotesi perché non ti conosco e non ho motivo di dubitare della tua buona fede) confrontare gli 8.000 morti per incidenti domestici con i 1100 morti sul lavoro. Per la semplice ragione che il dato degli 8.000 morti in ambito casalingo deve essere rapportato a circa 40 milioni di persone (diciamo 30 milioni di donne e 10 milioni di uomini), escludendo gli anziani, i bambini e un considerevole numero di uomini (sempre stando ai tuoi numeri) , cioè a tutte/i coloro che svolgono un’attività domestica e/o che comunque danno un loro significativo contributo in tal senso, e non ai 1100 morti sul lavoro, i quali, a loro volta, devono essere confrontati con i 5/6 milioni di cui sopra. L’equazione insomma non è: 8.000 sta 1100 ma 8.000 sta a 40.000.000 così come 1100 sta a 5/6 milioni. Nonostante ciò, se vogliamo fare i conti della serva (in realtà, è vero, assai squallidi, ma purtroppo necessari), il tuo dato dimostra che c’è comunque una robusta minoranza di uomini (il 30%) che muore o si infortuna svolgendo lavori domestici mentre è praticamente inesistente la percentuale di donne che muore o si infortuna svolgendo lavori extradomestici rischiosi. Non mi sembra un particolare da poco, anche ammettendo che i dati in tuo possesso siano gli unici validi. La matematica non è un’opinione e fra il 3% e il 30%, c’è una bella differenza. Non trovi? Ciò sta a dimostrare che, anche nella peggiore delle ipotesi, e cioè che i numeri da te riportati siano esatti e incontrovertibili, c’è una tendenza degli uomini ad assolvere o comunque a completare e compensare il lavoro domestico mentre, al contrario, questa tendenza è assolutamente assente da parte delle donne per ciò che concerne i lavori pericolosi.
Ma andiamo alla questione di merito che è ciò che più mi preme e lasciamo da parte la conta dei morti.
Noi non siamo qui per condurre una sciocca, qualunquistica e puerile guerricciola contro il genere femminile, come tu stessa affermi, Gioia. Noi siamo qui per lavorare alla costruzione di una diversa relazione fra i generi fondata sui valori di una vera eguaglianza e di una vera parità. Ciò non potrà essere possibile né tanto meno realizzato finchè gli uomini e la maschilità nel suo complesso continueranno ad essere criminalizzati e ridotti alla stregua di oppressori, violenti, stupratori, molestatori, sopraffattori, sempre comunque e dovunque.
Il senso e la finalità dell’articolo in questione non sono quindi quelli di dividere il mondo tra i ”buoni” e le “cattive”, come invece ha fatto il femminismo storico e militante a parti invertite, ma accendere i riflettori su una tragedia sociale e di genere dimenticata e volutamente occultata che ci dice che forse è sbagliato ridurre il genere maschile ad una sorta di specie malata e violenta capace solo di opprimere e sopraffare le donne. Se fossimo veramente tutti degli oppressori e dei privilegiati, sotto le presse a finire schiacciati oppure a cadere dal ponteggio di un cantiere edile, ci manderemmo qualcun altro, non credi?
Ora mi risponderai che tu personalmente non lo hai mai pensato, ma in realtà è proprio questo che ci viene ripetuto in maniera ossessiva da circa 40 anni.
Ma a questo punto c’è un’altra considerazione che mi sorge spontanea. Quando le femministe hanno posto la questione di genere, ormai tanti anni fa, nessuno, per lo meno a sinistra (alla quale sia te che io apparteniamo) le ha accusate di scatenare una puerile guerra contro gli uomini. Perché a noi deve essere mossa questa accusa?
Le donne lo possono fare e gli uomini invece no? Ma come? Forse quando le donne denunciavano le morti per aborto clandestino, gli uomini si sono sognati di accusarle di puerilità e di controbattere quei numeri con altri numeri, quelli dei morti sul lavoro? Ma cosa c’entra? Ma che castroneria è questa, scusa ma a volte è necessario essere schietti.
Oggi che sono alcuni uomini a sollevare la questione di genere, con i vari risvolti del caso, non va bene e sono tacciati di essere puerili. Allora lo erano anche le femministe e quelle centinaia di migliaia di donne che hanno partecipato alle lotte degli anni ’70 che si sono scagliate a 360° contro il genere maschile mettendo tutto e tutti in uno stesso unico gran calderone e che, fra tanti deliri ideologici, qualche cosa giusta l’hanno anche detta. Ad esempio che non è accettabile morire di parto o di aborto clandestino (al di là di come la si pensi sul tema aborto).
Questo significa essere puerili? Io non credo proprio. E allora non vedo veramente perché dovremmo esserlo noi quando denunciamo la tragedia degli uomini (in esclusiva, non al 40, al 50 o al 70%) che muoiono sul lavoro.
Fabrizio

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Rita 7:45 pm - 23rd Agosto:

vabbè dopodichè mi sto zitta.. a proposito di tendenza degli uomini a completare e compensare il lavoro domestico mentre, al contrario, questa tendenza è assolutamente assente da parte delle donne per ciò che concerne i lavori pericolosi.

Rimaniamo pure nell’ambito prettamente domestico: la mia personale esperienza è quella di una famiglia con madre casalinga a tempo pieno e padre tranviere.

Oh.. ci stavo pensando adesso… mio padre non ha mai cucinato, lavato i piatti, steso il bucato, fatto i letti o le pulizie e nemmeno mai pitturato le pareti di casa o cambiato le lampadine e aggiustato piccoli elettrodomestici, tutti lavori di cui si faceva carico mia madre, eppure l’unico che è finito al pronto soccorso in più occasioni per “incidente in ambito domestico” è stato mio padre.

Una volta per essersi fratturato due dita del piede perchè gli era sfuggita la bombola del gas (chissà se qualcuno si ricorda delle vecchie bombole che si usavano quando non c’era l’allacciamento diretto, piuttosto pesantine da trasportare…), e una volta per essersi affettato una mano con l’affettatrice del prosciutto (una volta si compravano i prosciutti interi e si conservavano in cantina).

Non conto la volta che si strappò le prime due falangi di un anulare armeggiando con le cinghie del mulino che macinava le granaglie per i polli perchè lo considero già extra-domestico visto che è avvenuto in cortile.

E non conto nemmeno la volta che fu ferito all’occhio dal colpo d’ala di un tacchino gigante

E dire che mia madre si è sempre lamentata del suo totale disinteresse della casa, rispetto a quello degli altri mariti smile che ha sempre dovuto fare tutto lei, occuparsi della casa, dell’orto, del pollaio, persino dei lavori di manutenzione straordinaria della casa che gli altri mariti facevano.

Ma nonostante tutto, lo stabbio dei tacchini (che in qualche modo potevano essere più pericolosi di una gallina o di una quaglia) le era precluso …;-)

Figuriamoci gli altri che (a detta di mia madre) erano mooolto più attenti di lui a ‘ste cose e alle loro mogli manco facevano piantare un chiodo per paura che si martellassero le dita

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Rino 8:31 pm - 23rd Agosto:

Gioia.
Sarò cinico ma non trovo niente di gioioso nel tuo nick.
Lo trovo beffardo, a meno che non si riferisca al sentimento che nutri nei confronti di te stessa per essere quello che sei.

Biasimi la moda del bilancino sui morti e poi ci rifili una panzana faraonica, alla quale tu probabilmente credi.
Scambiando “incidenti” con “morti” e dimenticandoti dei maschi, ci stai dicendo che ci sono 8000 DD che muoiono in casa, quasi il doppio dei morti sulle strade.
Non dovrebbe essere necessario ma vai a vedere questo ottimo lavoro dell’ignoto ma grande e bravo Eugenio Pelizzari (uno dei pionieri della QM) ,
Un uomo di parte: sta dalla parte dei numeri.

http://www.maschiselvatici.it/pdf/incidenti_domestici.pdf

>>
Ma alla fine, cui prodest una polemica così ridicola?
>>
Giova alla Liberata, la femmina occidentale del XXI secolo che non ha più bisogno degli UU e che pertanto sta tentando (compensibilmente e giustamente) di eliminarli psicologicamente.
Non vi è nulla di ridicolo in questa strumentalità. Inventata dal femminimo essa è una delle tecniche con le quali …si ottengono le quote nei CDA (compresi i quelli delle società minerarie: vedi Cile…, vedi Cina, vedi Russia, vedi Sudafrica… vedi dove vuoi).
Senza pudore e senza scrupoli: i maschi B sottoterra a morire, le femmine Alpha sulle poltrone dei CDA.

Niente di ridicolo. Carne e sangue maschili versati per conto di tutti.

Maschi di serie B.
“Malriusciti”, per dirla con Nicce.

Le ariane gioiscono, i negroidi muoiono.

RDV

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Marco 11:38 pm - 23rd Agosto:
ALEX 4:45 pm - 4th Settembre:

Francamente, che me ne può fregare a me sulla percentuale di morti al femminile o al maschile sul lavoro?

è meno grave o più grave che muoia una femminuccia o un maschietto?

l problema riguarda le persone in quanto tali che lavorano e che quindi “rischiano” (ogni attività, anche il semplice dormire, è statisticamente a “rischio” incidente”).

semmai si dovrebbe parlare della scarsa “cultura della sicurezza” che c’è in italia, che provoca migliaia di morti ogni anno nei cantieri, nelle case e sulle strade, come nelle fabbriche e nei campi.

E quello che non uccide l’IGNORANZA DEL CONCETTO DI SICUREZZA, uccide l’ECONOMIA quando si risparmia sulle procedure e le attrezzature per la sicurezza.

Ma sapete che sono tantissime persone che muoiono in casa per stupidissimi incidenti domestici, perfine cambiare una lampadina può essere fatale. E per strada gli incidenti stradali? sono la prima causa di morte per gli individui fino a 12 anni di età.

a me frega più questo che tanti discorsi sessisti che leggo qui, scusatemi…

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Strider 5:53 pm - 4th Settembre:

Complimenti Alex, anche tu hai capito tutto…

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Luke Cage 6:20 pm - 4th Settembre:

Ottimo Alex,dato che sei così equanime,non leggere questo sito che definisci sessista e partecipa pure alle varie campagne di solidarietà a favore delle donne .
Non è tanto per invitarti a levarti dalle scatole,ma se non hai colto che il sessismo vero viene diffuso tutti i giorni dalle TV nazionali ed ha come bersaglio gli uomini allora,invece che scomodarti a dirci che non te ne frega niente,occupati d’altro no?
Se invece che uomini fossero state le donne a morire con quella percentuale (97%!!!), te ne saresti analogamente uscito dicendo,come in pratica dici,”chissenefrega (del fatto che muoiono cosi tante donne)”?Non credo proprio,quindi vai a pure a fare il qualunquista altrove..e qui mi fermo perchè di fronte alla cecità di chi non vuol prendere atto della realtà nuda e cruda c’è poco altro da dire.

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Alessandro 6:33 pm - 4th Settembre:

Alex: Francamente, che me ne può fregare a me sulla percentuale di morti al femminile o al maschile sul lavoro?>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>
Questi dati sono stati riportati per dimostrare come uomini e donne comuni vivano un disagio e una sofferenza che li accomuna, e quindi per confutare la vulgata femminista, che sostiene che le donne siano,sempre e comunque, discriminate e svantaggiate rispetto agli uomini. Qui si sositiene che la discriminazione è di classe e non di genere, e se proprio volgliamo trovare un genere messo peggio forse è prorpio quello maschile, beta ovviamente. Si tratta di controinformazione e tu, da quello che ho letto, dovresti apprezzarla, perchè non mi sembri omologato al pensiero dominante.

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sandro 7:22 pm - 4th Settembre:

“Francamente, che me ne può fregare a me sulla percentuale di morti al femminile o al maschile sul lavoro?”
Neppure a me frega niente di sapere che percentuale hanno gli omicidi per mano maschile tra le cause di morte per le donne, dato che si tratta di cifre da prefisso telefonico.
Pur tuttavia sono costretto a sorbirmi quotidianamente balle colossali del tipo “ne uccide di più l’ amore che il tumore” ogni volta che apro un giornale, accendo la televisione o la radio.
Allora perché tacere una grande verità come quella sopra riportata, peraltro deliberatamente occultata?
Contano forse di più le balle delle verità?

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Fabrizio Marchi 9:22 am - 5th Settembre:

http://www.ansa.it/web/notizie/postit/inail/2010/07/16/visualizza_new.html_1853137807.html
Naturalmente neanche una parola sul risvolto di genere della tragedia. Naturalmente sarà nostra cura approfondire ma abbiamo ragioni fondate per ritenere che la percentuale M/F dei caduti sul lavoro sia sostanzialmente invariata rispetto a quella degli anni precedenti. Non ci risulta infatti che siano state applicate nè tanto meno richieste quote rosa al di fuori delle assemblee elettive e dei CdA.
In ogni caso sono andato a spulciare il sito dell’Inail e questo è quello che ho trovato: http://www.inail.it/repository/ContentManagement/node/N670420288/Dati%20Inail%20N6-2010.pdf
Sono sempre stato un po’ distratto e la ricerca dei dati, anche un po’ per pigrizia, lo ammetto, non è il mio forte. Non mi risulta però che dica nulla sulla questione di genere. Se qualcuno vuole cimentarsi farà un lavoro certamente migliore del mio.
Fabrizio

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alex 5:12 pm - 5th Settembre:

Strider
evidentemente devi avere dei problemi…

Luke Cage
qualunquista io? Siete voi che vi ponete male. sembrate un circolo di maschietti frustrati ed insoddisfatti che se la cantano e se la suonano e che rispondono acidamente a chi la pensa in modo diverso… fate pure, intanto io “mi tolgo dalle scatole”…

Alessandro
alle vulgata femminista non ci credono più le donne, se è per questo.
Comunque dare dati parziali non credo che sia d’aiuto, non è credibile.

Sono d’accordo invece sul fatto che le discriminazioni sono di classe, ma riguardano da una parte la CASTA al potere e l’altra i semplici cittadini (uomini e donne).
I cittadini, tutti, muoiono di tumore per il fumo, come per l’amianto e per gli inceneritori.
I cittadini, tutti, sono vessati dalle banche e dalle eccessiva pressione fiscale
i cittadini, tutti, hanno problemi economici, diminuiscono i posti di lavoro, aumentano i disoccupati, sono grossi i problemi per sbarcare il lunario.
i cittadini, tutti, soffrono questa politica corrotta, non trasparente, che si stà letteralmente “mangiando” il paese.

Questo è importante, altrimenti perdiamoci pure in percentuali -quante donne-quanti uomini che non servono a nulla.

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alex 5:32 pm - 5th Settembre:

vabbeh, al di la della polemica, per quanto riguarda invece l’argomento “percentuale decessi sul lavoro” diviso per sessi, è ovvio che la percentuale è così sbilanciata per un semplice motivo:

Tutti i lavori a più alto rischio sono lavori prettamente maschili, ovvero:
– agricoltura ( ad esempio la guida dei trattori)
– edilizia (lavoro sui cantieri edili – ponteggi – macchine di cantiere )
– trasporto (conduzione camion, pulman, mezzi vari)

Inoltre i lavori “pesanti” o usuranti sono in gran parte “maschili”

Tutto questo è in evoluzione, infatti nei cantieri si vedono sempr più donne (a livello di tecnici), mentre i lavori fisicamente più pesanti rimangono di gran lunga ad appannaggio degli uomini.
Ma le cose si modificano, basta pensare ai netturbini, una volta erano solo uomini, adesso ci sono moltissime donne, che svolgono lo stesso lavoro degli uomini, spesso fisicamente molto impegnativo.

In fabbrica, da molti anni, invece la presenza femminile è rilevante, anche se minoritaria.

Col tempo le distanze tra uomini e donne in questo campo si andranno ad accorciare.

Ultima motivazione, il fatto che gli occupati uomini sono più delle occupate donne. Ci sono le donne che lavorano a casa e che subiscono incidenti domestici, che andrebbero conteggiati anche questi tra gli incidenti sul lavoro, visto che l’attività domestica è “lavoro”.

per il resto ognuno la pensi come vuole..

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Fabrizio Marchi 6:28 pm - 5th Settembre:

“qualunquista io? Siete voi che vi ponete male. sembrate un circolo di maschietti frustrati ed insoddisfatti che se la cantano e se la suonano e che rispondono acidamente a chi la pensa in modo diverso…” (Alex)
Alex, normalmente non pubblichiamo commenti contenenti insulti, offese o provocazioni gratuite. Ci siamo dati da tempo delle regole proprio per evitare di abbassare il livello e la qualità del dibattito.
In questo caso specifico ho fatto un’eccezione per il motivo che ben puoi immaginare. E cioè che proprio ieri sera, incontrandoti ad una cena presso altri amici sono venuto casualmente a sapere, perché tu stesso ti sei dichiarato, che “Alex” sei tu. Non conosco il tuo vero nome perché ti ho visto ieri sera per la seconda volta.
Ti avevo peraltro detto proprio iersera, accomiatandoci, che ero comunque ben lieto del tuo contributo, sia pur critico. Ma un conto è la critica e un conto gli insulti e la cattiva educazione. Dare dei frustrati e degli insoddisfatti ad altri uomini, a maggior ragione quando non li si conosce, non è un bel modo di comportarsi. A meno che non fosse un messaggio rivolto al sottoscritto. La qual cosa, permettimi di dirtelo, proprio perché ho avuto modo di conoscerti dal vivo, mi farebbe un po’ sorridere…
Il tuo comportamento, nella fattispecie, è doppiamente maleducato, proprio perché abbiamo avuto la ventura di conoscerci di persona, tramite amici e amiche comuni.
E’ un po’ penoso, consentimelo, vedere uomini come te che danno degli “sfigati” ad altri uomini. Il tuo comportamento assomiglia molto a quello dell’autista del “siur padrun” nei confronti dei suoi operai, oppure quello del “negro da cortile” che prende a frustate per conto del padrone lo schiavo dei campi di cotone, facendo finta di nascondere a se stesso ciò che in realtà è: un servo.
Francamente sono deluso. Non mi sarei aspettato un simile comportamento da parte tua, ma evidentemente mi sbagliavo. Non so se avremo l’opportunità di incontrarci nuovamente ma certamente non sarò io a cercarla.
E’ scontato a questo punto che, a meno di tue formali e sostanziali scuse a tutti per le tue parole e il tuo modo di porti, sei bannato dal nostro sito. Per quanto, naturalmente, te ne possa importare.
E comunque, caro Alex, meglio Sfigati che servi. Quando poi i servi sono anche sfigati (senza maiuscola) è veramente dura….
Fabrizio Marchi

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Strider 6:31 pm - 5th Settembre:

alex
>>>>>>>>
Strider
evidentemente devi avere dei problemi…

Luke Cage
qualunquista io? Siete voi che vi ponete male. sembrate un circolo di maschietti frustrati ed insoddisfatti che se la cantano e se la suonano e che rispondono acidamente a chi la pensa in modo diverso… fate pure, intanto io “mi tolgo dalle scatole”…
>>>>>>>>>

Gia’ dal fatto che parli di “maschietti” si capisce chi sei: un SUCCUBE delle femmine.
Per quanto riguarda la tua osservazione nei miei confronti, ritieniti fortunato di essere su uomini beta, perche’ in altri forum ci saremmo “divertiti un mondo”…

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Luke Cage 7:28 pm - 5th Settembre:

Sei imbarazzante Alex…fatti un esame di coscienza invece di dire sciocchezze e lascia perdere la questione dei frustrati:ti ho risposto in malo modo perchè il tuo intervento non è stato critico ma provocatorio.Se entri ad esempio in un sito frequentato da donne che parlano del tasso di mortalità femminile,te ne usciresti con le banalità che hai scritto?Ovviamente no.Se entri in un associazione ebraica che commemora le vittime dell’Olocausto,te ne usciresti dicendo “chissenefrega se i morti erano ebrei,la guerra ha ucciso senza guardare in faccia a nessuno!” ??Sei psicologicamente disarmato e disarmante..

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armando 10:17 am - 6th Settembre:

Chiariamo una cosa fondamentale. Gli uomini non si sono mai lamentati di morire più delle donne sul lavoro o in guerra. Pur, ovviamente, non godendone e cercando di limitarla, hanno sempre considerato questa eventualità come inerente ai propri doveri. Le donne, di doveri, ne avevano altri, il cui adempimento era riconosciuto dai maschi come quello maschile dalle donne.
La questione della contabilità di genere per i tipi di morte nasce solo e unicamente nel momento in cui gli uomini sono stati descritti come i grandi privilegiati oppressori delle donne sempre e comunque vittime di qualcosa per causa maschile. Per troppo tempo gli uomini hanno assunto questa falsa verità come vera, tacendo e vergognandosi di sè. Poi, raggiunto un livello di disagio e di sentimento di deprivazione di dignità intollerabile, qualcuno ha iniziato a vedere bene come stanno esattamente le cose. E soprattutto a DIRLO a voce alta. Non per rifiutarsi di fare ciò che da sempre gli uomini hanno fatto e continuano a fare, ma per far cessare lo scempio della colpevolizzazionee ristabilire quel minimo di verità che solo può permettere un dialogo in cui le parti di buoni e cattivi non siano già assegnate a priori.
A questo punto apriti cielo! I maschi sono lamentosi, la contabilità di genere delle morti non serve. Insomma, quello che è stato fatto contro gli uomini, diventa disdicevole quando gli uomini reagiscono in modo difensivo sullo stesso registro. La storia di Tecoppe la conoscono tutti. E’ quella di chi si lamenta perchè l’avversario non ci sta ad essere infilzato con la spada, schiva e si difende. Allora l’infilzatore si lamenta che quello non sta fermo a farsi uccidere buono buono. Certo, ci avevano sperato, ma hanno sbagliato e più passa il tempo più se ne accorgeranno. Anzi, io sostengo che senza l’azione benemerita di alcuni movimenti maschili che cercano di analizzare le cause del fenomeno e di canalizzare il montante risentimento degli uomini in azione culturale e/o politica positiva e costruttiva, questo risentimento finirà per deflagare incontrollato e incontrollabile, distruttivo e davvero antifemminile in senso lato.

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il rompipalle 11:12 am - 6th Settembre:

mi avete massacrato, insultato e bannato…
complimenti per la democraticità e per la voglia di dialogare.
Accettate solo quelli che la pensano come voi.
Badate che l’impressione per uno che viene dall’esterno è pessima.. ma contenti voi..
Buon divertimento e buona continuazione
era inutile bannarmi tanto non ci rimetterò più piede.
raccontalo pure ai tuoi amichetti visto che questo non lo pubblicherai
Alessandro

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Fabrizio Marchi 11:29 am - 6th Settembre:

Concordo, Armando, con entrambi i tuoi due post.
E aggiungo, relativamente al secondo, che paradossalmente (lo dico ironicamente ma fino ad un certo punto…) dovrebbero darci una medaglia al valor civile, per il ruolo che, come movimenti maschili, stiamo assolvendo, sia solo in minima parte, data l’entità della questione (e la quantità e la qualità della sofferenza che provoca) e le nostre, per ora limitate, possibilità di offrire una sponda, un approdo a tanti uomini.
E d’altronde è scontato che se rabbia, frustrazione e senso di impotenza non vengono elaborati in qualche modo, non c’è alcun dubbio che l’esito sia quello della violenza cieca e distruttiva. Il tutto nasce ovviamente dal disconoscimento della sofferenza e del disagio maschile e quando questo avviene è solo per un ulteriore sovraccarico in termini di criminalizzazione e colpevolizzazione a senso unico: gli uomini che uccidono le ex mogli e/o fidanzate lo fanno perchè, considerando la donna come un oggetto di loro proprietà, non riescono ad accettare che queste li abbandonino…
Ci sarebbe da ridere se non ci fosse da piangere, anzi, da incazzarsi, e molto. La sociologia e la psicologia di regime, è il caso di dirlo, hanno già formulato la loro analisi e dato la risposta: i maschi hanno perso ruolo e potere nei confronti delle donne e non potendo continuare ad opprimerle come vorrebbero e come sempre hanno fatto, le uccidono oppure si suicidano. Un po’ (molto un po’, sia chiaro…) come i samurai giapponesi, che piuttosto che accettare il disonore della sconfitta, facevano harakiri.
Interessante, molto profonda e acuta come analisi, scientifica direi, per nulla viziata da elementi di ordine ideologico (ideologico in questo caso è veramente un parolone, direi piuttosto dalla vulgata corrente)…
Fabrizio

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Fabrizio Marchi 11:47 am - 6th Settembre:

Naturalmente il “Rompipalle” in questione è Alex, che dopo averci detto che siamo un club di frustrati e insoddisfatti (lui invece è molto soddisfatto della sua vita sessuale e della sua relazione con l’altro sesso, si capisce subito appena lo si conosce …) ha il pudore di dirci che lo abbiamo massacrato e insultato solo perché lui non la pensa come noi. Non solo, ci spiega anche che all’esterno non offriamo una bella impressione. Una cosa è certa, avendolo conosciuto di persona, l’impressione che possiamo suscitare noi non è e non sarà mai quella che suscita lui, di questo potete star sicuri, e la cosa, anche se non ce n’era certo il bisogno, mi solleva molto.
Che Alex/Rompiballe continui in ciò che sa far meglio: servire
Fabrizio

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ckkb 12:01 pm - 6th Settembre:

Anch’io credo come Armando che l’attuale attività maschile di difesa della verità circa il rapporto tra i sessi, fra cui la verità fondamentale che la Storia è storia dello sforzo maschile (sforzo riuscito con pieno successo) di sollevare la donna dai limiti imposti dalla Natura, è un gesto di responsabilità e tutela a favore delle donne più che degli uomini.
Le donne non si rendono conto che rispondere con accuse maldicenti e false a quella libertà di cui godono, libertà che è con tutta evidenza dono maschile, è, ingiustizia gravissima, e in quanto tale percepita come inaccettabile violenza psicologica e morale a livelli molto profondi della psiche maschile. Agire polticamente poi, in modo da trasformare queste falsità in strumenti ideologici per imporre attraverso il monopolio statale della forza, l’ estorsione di privilegi ingiusti e dispositivi di coazione arbitraria, per di più nell’area degli affetti più profondi (relazioni famigliari e di coppia), significa passare alla violenza effettiva e porsi al limite di tolleranza possibile nei rapporti umani. E’ un tragico errore.
I maschi che più sentono verso la donna la naturale propensione alla sua protezione, e in parole semplici, vogliono profondamente bene alle donne, sono quelli che appunto non rinunciano a segnalare loro che hanno imboccato la strada sbagliata; e a dire loro che i maschi si aspettano esattamente il contrario della mal-dicenza, della male-volenza e della male-dizione femminile attuale, ovvero si aspettano un profondo sincero sentimento di riconoscenza.
Verso colui cui si deve moltissimo del proprio bene, le strade possibili sono due: o la riconoscenza, la bene-volenza e la bene-dizione, o l’invidia, la male-volenza e la male-dizione. Si può immaginare quale straordinaria bellezza, intensità e verità, nella relazione coi maschi tutti, le donne otterrebbero se maturassero la grandezza affettiva, morale e intellettuale di esprimere agli uomini il sentimento di sincera e appassionata riconoscenza per il bene ricevuto grazie alla capacità, all’impegno e al sacrificio maschile.

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sandro 1:59 pm - 6th Settembre:

“Sono d’accordo invece sul fatto che le discriminazioni sono di classe”
Io invece di discriminazioni palesi ne noto almeno tre:
– di classe (contro i meno abbienti)
– anagrafica (contro i più giovani)
– di genere (contro il sesso maschile)
che si intersecano tra di loro.
Sarà che recentemente ho sostituito le lenti degli occhiali.

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Simone 12:25 pm - 11th Settembre:

http://www.ansa.it/web/notizie/rubriche/associata/2010/09/11/visualizza_new.html_1784315336.html

Incidenti sul lavoro, 1.050 morti nel 2009
11 settembre, 13:03
Le morti sul lavoro hanno toccato nel 2009 il minimo storico. Secondo i dati dell’Inail, diffusi in luglio, mai dal dopoguerra – per l’esattezza dal 1951, inizio delle rilevazioni statistiche – si era registrato un livello, seppur ancora drammatico, così basso: 1.050 le vittime nel 2009. Un numero in flessione del 6,3% sul 2008 (quando i casi mortali erano stati 1.120). In linea generale, continua a calare anche il numero degli infortuni, scesi a quota 790.000 (dagli 875.144 del 2008), con una flessione annua del 9,7% che risulta la più alta dal 1993. Su cui, in parte, incide la crisi dello scorso anno, con il calo occupazionale e produttivo. In controtendenza, invece, l’andamento delle malattie professionali, per le quali il 2009 risulta un anno record quanto a denunce: il 15,7% in più sul 2008, il valore più alto degli ultimi 15 anni. Sulla riduzione dei casi registrati e denunciati all’Istituto, come detto, in parte ha influito anche la congiuntura negativa del 2009, con il calo degli occupati (-1,6% per l’Istat) e delle ore effettivamente lavorate. Tra le novità per la prima volta gli infortuni tra i lavoratori stranieri risultano in flessione: dai 143.641 casi del 2008 si è passati ai 119.193 dello scorso anno, con un calo del 17%; mentre per i casi mortali, scesi a 150 dai 189 dell’anno precedente, il calo si attesta al 20,6%. In generale, il calo maggiore ha riguardato gli infortuni in ‘occasione di lavoro’, quelli cioé avvenuti effettivamente sul luogo di lavoro, per i quali il numero delle denunce si è ridotto del 10,2%, a fronte di un calo del 6,1% degli infortuni ‘in itinere’, ossia durante il tragitto casa-lavoro; rispettivamente -7,5% e -2,7%, invece, i decessi. Anche se, sempre nell’ambito degli infortuni mortali, quelli occorsi su strada a lavoratori come autotrasportatori, rappresentanti di commercio, addetti alla manutenzione stradale pur essendo scesi dai 338 casi del 2008 ai 303 del 2009 (-10,4%), continuano a rappresentare quasi un terzo del totale (28,8%). Ancora: la flessione degli incidenti risulta molto più accentuata per gli uomini (-12,6%) rispetto alle donne (-2,5%). E più evidente al nord e nell’Industria (-18,8%) invece che nei Servizi (-3,4%) e nell’Agricoltura (-1,4%).
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Ancora: la flessione degli incidenti risulta molto più accentuata per gli uomini (-12,6%) rispetto alle donne (-2,5%).
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Indirettamente ci dicono che anche in questo caso le donne sono “discriminate”. Peccato che anche l’ANSA “dimentichi” regolarmente di evidenziare che a morire sul posto di lavoro sono quasi esclusivamente uomini.

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Simone 12:41 pm - 11th Settembre:

http://napoli.repubblica.it/cronaca/2010/09/11/news/capua_tre_morti_sul_lavoro_morti_soffocati_in_in_una_cisterna-6964390/
Capua, tre morti sul lavoro
soffocati in una cisterna
L’incidente nello stabilimento Dsm, ex Pierrel. I tre, dipendenti di una ditta esterna di Afragola, sono stati investiti dalle esalazioni. Sul posto anche una squadra di specialisti Nbcr (Nucleo batteriologico chimico radioattivo)

Tre operai sono morti in un incidente sul lavoro avvenuto a Capua (Ce). Due delle vittime erano residenti in provincia di Caserta mentre la terza abitava nel napoletano. Secondo le prime informazioni dei vigili del fuoco, i tre stavano lavorando alla bonifica di una cisterna dell’azienda farmaceutica ex Pierrel, ora “Dsm”, e sarebbero deceduti a causa delle esalazioni. La Dsm è una multinazionale olandese che ha più di 200 siti produttivi nel mondo in 49 paesi con quasi 30mila dipendenti. Nell’ex stabilimento Pierrel, attivo da trent’anni, lavorano circa ottanta dipendenti.

Stando ai primi accertamenti i tre operai erano di una ditta di Afragola, stavano lavorando in ore di straordinario e sono stati investiti dai fumi tossici provenienti dal silos, probabilmente dovuti ad un processo di fermentazione che si è innescato quando l’hanno aperta. Al momento dell’incidente nessuno è stato in grado di accorgersi di quello che stava avvenendo.

Ma l’ipotesi è che uno dei tre abbia tentato di soccorrere i suoi compagni. Una prima ricostruzione ipotizza che i tre operai avessero da poco iniziato le operazioni di bonifica della vasca. Due sono stati colti immediatamente da un malore, il terzo ha provato a salvarli, finendo però nel fondo della cisterna privo di sensi. Quando è scattato l’allarme, per i tre non c’è stato più nulla da fare.

Sul posto – il tratto di Strada provinciale che da San Tammaro porta a Capua – oltre ai carabinieri è giunta anche una squadra di specialisti Nbcr (Nucleo batteriologico chimico radioattivo) per i rilievi.

Accorsi davanti all’industria chimica anche i familiari delle tre vittime. In preda alla disperazione, attendono notizie dai soccorritori e dalle forze dell’ordine che stanno presidiando i cancelli. Sono giunti anche numerosi residenti nella zona che, appresa la notizia, stanno portando la loro solidarietà ai familiari degli operai decedeuti.

E’ terminato da poco un sopralluogo del questore di Caserta, Guido Longo mentre all’interno vi è ancora il sostituto procuratore di Santa Maria Capua Vetere, Donato Ceglie.

Ha espresso il suo cordoglio il ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali, Maurizio Sacconi: ”il Governo partecipa al dolore dei congiunti e dei colleghi dei tre lavoratori caduti oggi a Capua. Colpisce in parrticolare il fatto che ancora una volta siano vittime di infortuni gravi o mortali nel lavoro coloro che operano in appalto specificamente nei servizi di manutenzione”.

(11 settembre 2010)

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Raffaele 12:10 pm - 12th Settembre:

Però bisognava rispondere alle misere obiezioni di Alex.
Alex dice: “Tutti i lavori a più alto rischio sono lavori prettamente maschili”.
Ecco,Alex, hai scoperto l’acqua calda. Noi non lo sapevamo mica 😛 A parte gli scherzi, caro Alex, se come giustamente dici tu i lavori più rischiosi e usuranti sono stati sempre svolti e sono tutt’ora svolti esclusivamente da uomini, evidentemente significa che questa società non è maschilista, non lo è mai stata(in passato è stata patriarcale, ma patriarcato e maschilismo non sono la stessa cosa) e che è una perfetta balla quella secondo cui gli uomini eserciterebbero un “potere” sulle donne: ma come? i “padroni” che si accollano i lavori e le mansioni più degradanti e rischiose, mentre le “schiave” ne vengono esentate? Assurdo, vero? Del resto il femminismo si basa su un rovesciamento, su una inversione, dei più elementari principi logici. La vittima che diventa aggressore, l’agnello che mangia il lupo, la menzogna che diventa verità. La cosa più grave, però, Alex, è la tua malafede quando cerchi miseramente di attribuire la mortalità maschile sul lavoro ad una “discriminazione contro le donne”. Un classico rovesciamento della frittata, tipico della propaganda femminista: “se solo gli uomini fanno i lavori più rischiosi e usuranti è perchè le donne sono discriminate. Grazie al femminismo, anche le donne faranno questi lavori.” Questo è ciò che vuoi far capire. Ma tu, Alex, domanda a qualunque donna, a qualunque femminista, se vogliono che anche le donne facciano questi lavori. Vedrai quante pedate e urla ti beccherai.”Noi donne diamo la vita, siamo biologicamente superiori, non possiamo morire sul lavoro.” “Prima le donne e i bambini”. “Voi uomini siete fisicamente più forti”. Così ti urleranno. E lo sai, perciò non fare il finto tonto con noi.Del resto, ti sei mai chiesto perchè le quote rose vengono chieste solo per i CdA, per i posti in parlamento, e non invece anche per l’ingresso in questi lavori rischiosi e usuranti? Questa è la “parità” femminista. Parità solo quando fa comodo a loro, cioè quando c’è da stare sedute comode dietro ad una scrivania, magari a comandare.

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Raffaele 12:11 pm - 12th Settembre:

Per quanto riguarda invece le morti per incidenti domestici tirate miseramente in ballo da quella sciacquetta femminista dal nick “Gioia” e da Alex stesso, ammesso che sia veramente vero(e non è vero) che gli incidenti domestici siano a prevalenza femminile,cito le morti in incidenti stradali, quest’ ultimi a netta prevalenza maschile(almeno per quanto riguarda i morti conducenti l’auto).

Qui vediamo i dati relativi all’anno 2005 sul numero di morti e feriti, ripartiti per sesso, di conducenti di auto.

Vediamo che i morti maschi sono 3260, mentre le morti femmine sono 377.

http://www.istat.it/salastampa/comunicati/non_calendario/20061127_00/testointegrale.pdf

Quindi cari femministi e femministe, cercate di non fare i furbi nella misera speranza di trovare impossibili compensazioni alla tragedia TUTTA MASCHILE sui morti sul lavoro.

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Rita 9:36 pm - 12th Settembre:

L’Anmil (associazione nazionale mutilati ed invalidi del lavoro) riporta sul suo sito una raccolta dei caduti sul lavoro e degli incidenti gravi riportati dalla stampa.

Per il 2010

http://www.anmil.it/Portals/0/Immagini/Caduti%20e%20incidenti%20sul%20lavoro/Gravi%20Incidenti%202010.pdf

415 incidenti gravi (io ho contato 11 donne scorrendo le pagine).

e i caduti

http://www.anmil.it/Portals/0/Immagini/Caduti%20e%20incidenti%20sul%20lavoro/Caduti%202010.pdf

297 di cui 6 donne.

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ckkb 11:22 am - 13th Settembre:

La fabbrica delle menzogne è dura a morire: i lavori domestici, (rinfacciati ogni momento come schiavitù femminile), quelli davvero pesanti e rischiosi, li fanno i maschi e ci lasciano la vita e restano gravemente mutilati in percentuali ben maggiori delle donne:
http://www.maschiselvatici.it/pdf/incidenti_domestici.pdf.
Resta da domandarsi perchè i maschi abbiano lasciato costruire negli anni questo incredibile castello incantato di dati falsi circa la loro condizione di vita e il rapporto tra i generi. Castello di menzogne trasformate in false accuse dentro cui sono stati rinchiusi idealmente, identificati come il genere portatore del male. L’unica risposta possibile è uno straordinario quanto malinteso senso di protezione, affetto e cavalleria verso le donne.

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Unapersona 4:31 pm - 13th Settembre:

E’ ovvio che sono più le morti maschili sui posti di lavoro, mica tante le donne che vanno in miniera, sui ponteggi ecc…ecc…Che ci piaccia o no siamo geneticamente e strutturalmente diversi, pertanto ogni specie più adatta e “fatta” anche fisicamente per un lavoro piuttosto che ad un altro. Infatti le donne partoriscono i figli e gli uomini no, le donne muoiono di parto e gli uomini no. Anche questa secondo voi una discriminazione femminista????

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Strider 7:20 pm - 13th Settembre:

Unapersona
>>>>>>>>>
Infatti le donne partoriscono i figli e gli uomini no,
>>>>>>>>>
Ma va ?

Unapersona
>>>>>>>>>>>>>
le donne muoiono di parto e gli uomini no.
>>>>>>>>>>>>>
Quindi ?
Unapersona
>>>>>>>>>>>>
Anche questa secondo voi una discriminazione femminista????
>>>>>>>>>>>>
Amica/o mia/o, a quanto pare pure a te “sfugge” l’ humus del discorso e siccome comincio ad essere veramente stufo di dover ripetere sempre le stesse cose, lascio ad altri l’ onore e l’ onere di spiegarti il perche’.

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Rita 7:22 pm - 13th Settembre:

ah be.. se parli di morti di parto non c’è statistica siamo al 100% di morti femminili.
Così come posso affermare con sicurezza senza nemmeno guardare che le morti per tumore all’utero sono il 100% femminili e le morti per tumore alla prostata sono al 100% maschili.

Ecco, forse solo questo è “ovvio”

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Raffaele 7:28 pm - 13th Settembre:

“E’ ovvio che sono più le morti maschili sui posti di lavoro, mica tante le donne che vanno in miniera, sui ponteggi ecc…ecc…”

Ma tu sei tonto davvero o lo fai?Hai letto ciò che ho risposto ad Alex, grande provocatore che non sei altro??!!!Bene, come ho risposto anche ad Alex, chiedete le quote rosa pure lì, e non solo nei CdA, nel parlamento. le quote rosa sono buone solo quando si tratta di stare comode dietro ad una scrivania?
E poi basta con questa stronzata secondo cui le donne fisicamente non potrebbero sostenere questi lavori, infatti la maggior parte di questi operai non sono affatto energumeni, ma piuttosto piccoletti ed esili. Io stesso,per pagarmi gli studi ho fatto il muratore, rischiando la pelle.Di donne, più forte e grosse di me ne vedo tante, eppure nessuna, nessunissima donna, si sognerebbe mai di svolgere questi lavori. Sei un provocatore, va a provocare a qualche altra parte!

p.S. anche nella nettezza urbana ci vuole la forza fisica? no, ovvio. Eppure nemmeno lì di donne, nemmeno l’ombra.

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Fabrizio Marchi 7:32 pm - 13th Settembre:

Cara/o Una Persona, gli uomini non possono partorire né abortire, ne converrai, mentre le donne, se lo vogliono, possono condividere con gli uomini anche i lavori rischiosi, nocivi e pesanti. Chi glielo impedisce? Ma come? Il soldato sì (ma non in prima fila, come dimostrano anche le percentuali di chi tuttora cade in guerra) e il minatore no? La culturista sì ma l’operaio in acciaieria no? Le quote rosa nei CdA e in Parlamento ma non per le piattaforme petrolifere o la pesca d’alto bordo?
Ma poi che razza di discorso idiota e è questo? Sulla tua stessa lunghezza d’onda potrei risponderti che gli uomini muoiono per tumore alla prostata. Ma ti rendi conto della assoluta imbecillità della tua osservazione?
Ciò detto, onde evitare di scivolare nella tua stessa banalità (scusa ma è ciò che penso perché la tua obiezione farebbe venire il latte alla ginocchia a anche a Sant’Antonio), nessuno di noi vuole fare liste di proscrizione o militarizzare le donne per costringerle a lavorare nelle miniere, nelle fonderie o quant’altro. Vogliamo solo evidenziare il fatto che non è vero affatto che il privilegio e l’oppressione siano sempre e solo da una parte, quella maschile, come viene ipocritamente sostenuto da troppo tempo, e questo dato drammatico delle morti sul lavoro lo dimostra. Così come il fatto che a tutt’oggi, nel terzo millennio, i lavori più pesanti e pericolosi vengono svolti dagli uomini. Se questo significa essere degli oppressori allora io voglio essere un oppresso…
Cerca di essere più onesto/a, Una Persona, specialmente con te stesso/a, fai più bella figura, credimi. O al limite trova altri argomenti. Se ci riesci.
Fabrizio

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