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04 Mar 2016  |  0 Commenti

Paternità surrogata?

La maternità surrogata, apparentemente una possibilità di ritrovata paternità che potrebbe mettere in discussione il mito della madre-Madonna, fintamente scomodo a tutti ma in realtà ben funzionale per le donne, ed al contempo una magnifica occasione di coinvolgimento attivo della figura paterna nella crescita di figli, in realtà mira esattamente allo scopo contrario, ossia la celebrazione del femminile come proprietario dei figli.

Se in un primo momento le discussioni sulla maternità surrogata (in un futuro prossimo anche l’utero artificiale) e la stepchild adoption erano state salutate dal mondo dei padri separati come una opportunità di sfondare il muro della esclusione dalla vita dei figli, o meglio dalla continua affermazione e celebrazione della madre come “proprietaria” degli stessi, che si arroga diritto di vita, morte e regolamentazione della loro esistenza unilateralmente, a dispetto del concetto di bigenitorialità, con la speranza (finalmente!) di un riconoscimento del diritto a vivere la paternità da parte dei bambini e dei padri, una maggiore diffusione del senso di paternità e delle loro capacità sconosciuto e deriso dall’opinione pubblica ma ben rappresentato dalle centinaia di movimenti di padri separati (che, val la pena ricordarlo, si battono unanimemente per l’affidamento condiviso, per essere parte attiva nella vita dei bambini, e mai per quello esclusivo, né alla madre né al padre, mentre  la maggioranza dei movimenti materni chiede appunto l’esclusivo a sé stesse, realtà tristemente incontestabile) e di esempi eccellenti di padri accudenti ed affettivi, tale speranza si è frantumata nel giro di pochi giorni, rivelando invece esattamente il rischio contrario.

Ossia, una aumentata celebrazione della maternità come proprietà. Vediamo come.

Per tutta la cultura mondiale imposta all’uomo, la cura dei bambini è cosa di donne: l’educazione, la cura materiale, l’istruzione (con una presenza quasi esclusiva di insegnanti ed operatrici donna, sia nella scuola che nelle strutture assistenziali come i Servizi Sociali); la presenza sproporzionata nei Tribunali, nelle discipline medico-psicologiche, nelle separazioni, dove i bambini vengono collocati presso la madre in barba alla legge sulla bigenitorialità. Si è mai applicato un processo di quote azzurre in tali ambienti? Non scherziamo.

Come mai quindi l’Italia si sveglia improvvisamente con questa smania di veder riconosciuto il diritto alla PATERNITA’? Come mai, nel caso di uomini gay ci si strappano le vesti in difesa del loro diritto alla paternità quando MILIONI di padri sono ogni giorno ignorati nello stesso diritto? Come mai NESSUNO, nel dibattito odierno, mette in dubbio le capacità di accudimento e cura (dal cambiare il pannolino al dare un biberon  a tutte le questioni pratiche ma soprattutto affettive) di un padre gay mentre le mette continuamente in discussione nel caso di padri etero? Come mai nessuno si scandalizza per le percentuali del 98% di figli collocati presso la madre ed il relegare il padre a visitatore? Come mai si ignorano le realtà di discriminazione di genere praticate impunemente nei tribunali verso i padri ma ci si dice indignati per il mancato riconoscimento della paternità ad un gay?

Come mai?

Perché, miei signori, le questioni di famiglia, in Italia, sono cose di femmine, cose di donne. E la paternità si concede solo attraverso SOTTOMISSIONE alle modalità femminili. Solo aderendo ad un processo di femminilizzazione del maschio si ottiene la concessione del diritto alla paternità. Solo accettando che la donna, in quanto donna, sia l’unica ad avere le capacità di amare e curare i figli ed è l’unica a potercelo insegnare, a poter rieducare noi uomini ad una femminilizzazione, che otteniamo riconoscimento. Papà? Si, ma ad immagine e somiglianza della donna. Questo assunto che l’accettazione di due padri è subordinata alla femminilizzazione è dimostrato da quello che diremo più avanti, riguardo alla revoca della paternità o dei diritti di padre se non approvati dalla donna (ovviamente anche in fase di trattativa commerciale sulla maternità surrogata; vediamo come si comportano questi due uomini). Decido io se sei un bravo padre o no. E se non lo sei ti cancello o ti sostituisco, dimostrando tra l’altro che non è assolutamente per questioni maschiliste che la donna viene “forzatamente relegata ai ruoli di cura” ma è una sua scelta autonoma e spesso prepotente, giacché basterebbe, ad esempio, che la madre stessa chiedesse la reale applicazione della legge sulla bigenitorialità che si troverebbe improvvisamente metà del tempo con i figli e l’altra metà a disposizione, mentre avrebbe uno strumento utilissimo di coinvolgimento reale del padre, cosa che si guarda bene dal fare. Vuoi essere padre? Se accetti di divenire mamma uomo, o mammo, ne hai diritto. Se vuoi essere un padre maschile, no.

Come mai viene salutato ed applaudito da tutti i politici ed i media un politico gay che ottiene paternità tramite una maternità surrogata in America (illegale da noi), mentre il rientro avvenuto pochi giorni fa di un padre con la figlia rapita dalla madre e scomparsa in uno Stato sudamericano, alla fine di un lunghissimo processo di ricerca tramite polizia internazionale, non si è nemmeno venuto a sapere? Due tipi di padri, di cui uno femminilizzato e l’altro che ha messo in discussione lo strapotere della madre sui figli. Addirittura, la presenza di un bambino in una coppia omosessuale maschile viene applaudita nel caso di coppie ricche, giacché nell’immaginario collettivo i cambi di pannolini di quei bambini, le poppate, verranno poi verosimilmente curate da una tata femmina. Assai più accettabile.

Non serve citare tutti i tributi del mondo gay alla maternità, alla femminilità, al femminile, alla donna, non serve citare il riconoscimento alla donna dello status di vittima del maschio, di vittima del maschilismo, della accettazione prona alle bugie sulla unica dicotomia donna vittima/uomo carnefice per capire che questa è una concessione di diritti condizionata al riconoscimento del potere femminile e della sua sacralità esclusiva nel campo della famiglia e delle relazioni interpersonali. Ammettiamolo: il mondo gay, o LGBTI, è da sempre in totale affinità col femminismo e le questioni femminili e non si è MAI mosso per alcuna istanza maschile o paterna, confermando il falso mito secondo il quale solo la donna è vittima di discriminazione di genere. Nessun rappresentante o componente di movimenti LGBT è mai stato presente alle iniziative o le manifestazioni per i diritti dei padri, nessun organo ufficiale o rappresentate si è mai mosso o sbilanciato per la causa, né ha mai partecipato a convegni, dibattiti e incontri sulla bigenitorialità; è invece puntualmente presente in ogni manifestazione femminista, attivo in ogni istanza a favore della donna. Strano? No, vero.

I partiti politici che sostengono questa campagna sui “diritti civili” sono gli stessi che da anni consacrano la donna come vittima del maschile, dell’uomo, e la eleggono Santa sempre e comunque, assolvendola nei suoi delitti, rendendola più uguale degli altri tramite abominevoli Convenzioni ratificate a suon di retorica. E sono gli stessi che piegano il mondo gay, che dovrebbe essere il massimo dell’anticonformismo, ad una ignobile sottomissione conformista e conservatrice, il culto della Mamma Madonna, con un geniale colpo di mano, includendoli nella categoria degli oppressi in quanto gay, per realizzare un’asse potentissimo di femminilizzazione dei diritti e del potere (che, sia ben chiaro, contestiamo nella sua natura e per i suoi contenuti sessisti e non per la presenza femminile).

Dunque, né la maternità surrogata, né la stepchild, né tantomeno le unioni civili aiuteranno mai l’uomo nel riconoscimento dei suoi diritti. Anzi, direi che proprio la fame del Potere di presidiare diritti ideologizzandoli rivela l’inganno; un anarchico come me non poteva non cogliere le varie coincidenze sospette che sorgono inevitabilmente quando il Potere si interessa delle questioni dei diritti umani, giacché il favore più grande che Esso dovrebbe fare al popolo, se davvero gli stessero a cuore, sarebbe di cessare di esistere in quanto Potere e divenire rappresentanza democratica. Ciò detto, ogni volta che il Potere si mobilita per i diritti dei non potenti, tra l’altro in questa maniera così dirompente, accanita e sanguinosa da mettere a repentaglio un intero Governo, per me gatta ci cova. O non è disinteressato, o i cosiddetti non potenti in realtà lo sono.

 

Ma vediamo nel dettaglio perché e su quali presupposti, a mio avviso, trovo allarmante ciò che sta accadendo:

Maternità surrogata e utero in affitto:

E’ ovvio che la quantificazione, la monetizzazione, la pretesa di compenso di un “atto di amore” (come retoricamente si tinge di rosa la questione) verso un figlio, verso la nostra specie e poi verso gli adulti, ordine inverso dei soggetti rispetto a come viene posta la questione, apre scenari agghiaccianti: sia dal punto di vista “capitalistico” che soprattutto relazionale e sociale. Se una gravidanza può fruttare centinaia di migliaia di euro, perché dovrei farla gratis per la mia famiglia? Se un soggetto terzo me la paga fior di quattrini, perché mio marito o il mio compagno o compagna non dovrebbe fare lo stesso? Nove mesi di “lavoro” fruttano 50, 100 mila euro, perché sprecare gravidanze altrimenti redditizie per consumo personale? Perché non fare di un dono della natura un business e subordinarlo al pagamento? E soprattutto, finalmente ecco spiegato perché, sia in fase separativa che familiare posso pretendere a buon titolo di essere proprietaria in quanto madre di alcuni bambini, e posso chiedere indennizzi o prebende in forma di assegni di mantenimento e privilegi verso il marito che non ha partorito. Ed ecco una nuova forma di sessismo: la natura mi ha dotato di utero, nella coppia la procreazione avviene per necessità tra due soggetti di cui uno attivo ed uno in totale situazione di partecipazione esterna e subordinata, (come se fosse una colpa del maschio non avere tale privilegio) e questo mi da la possibilità di ritenermi padrona. Non è sessismo? In quanto donna ho una possibilità naturale e ne faccio una forma di potere. Dov’è la differenza con il fallocentrismo?

Ecco, la possibilità di tramutare in reddito una risorsa di natura (necessaria tra l’altro al proseguimento della specie) porterà inevitabilmente ad un collasso. Il valore monetario della gravidanza (pericolosamente somigliante allo squilibrio sessuale nella prostituzione, dove il desiderio maschile viene usato come arma per costringerlo a pagare bollandolo poi da un animale), crea una situazione di potere e ricatto anche nella coppia e nella famiglia. Ti ho creato un valore di x migliaia di euro, ripagamelo. Tristemente, mentre scriviamo queste righe, scorgiamo sempre più una affermazione di messaggi già ampiamente messi in pratica. Il diritto di essere pagata per una funzione naturale che appartiene alla coppia. E’ un po’ come se, a parti inverse, il compagno o il marito vendessero alla futura madre il proprio liquido seminale.

Vale la pena di notare che moltissimi padri vivono questo momento con estrema fiducia nella compagna, come custode di nuova vita comune e che verrà paritariamente condivisa, salvo poi vedersi estromessi successivamente e vedere quella fiducia tradita.

Il compagno della donatrice:

Grande assente dalle discussioni. Nessuno ne parla. Colui il quale si trova accanto alla affittuaria o donatrice, che si auspica vivrà o dovrebbe vivere la gravidanza della propria compagna in maniera partecipata. Dovrebbe forse viverla con distacco in quanto commerciale? Fregarsene dei propri sentimenti o delle fatiche della moglie? Convivere con una gravidanza senza affezionarsi? Si domanda mai qualcuno che tipo di percorso psicologico deve affrontare questa figura genitoriale anche se non biologica? Ovviamente, no. E’ uomo. Si parla di distacco della donna dal bambino, di relazione madre figlio nei nove mesi, ma di quello maschile mai. Come si concilia l’attenzione che si richiede al compagno alla gravidanza, il valore anche solo della voce del “padre” attraverso la pancia, la presenza di percezioni sensoriali multiple da parte del feto dell’ambiente circostante inclusa la presenza maschile con il tagliarlo completamente fuori dal dibattito sui diritti? Ed infine, questa gravidanza surrogata porterà di sicuro sconvolgimenti affettivi e pratici nella famiglia; non se ne fa anche lui carico? Forse dovrebbe accampare anche lui diritti economici? Eresia!!!! Sarebbe sfruttamento del corpo delle donne. E con che strumenti, se l’uomo non se la sentisse, potrebbe evitare di trovarsi in situazioni faticose psicologicamente, una volta riconosciuto il valore monetario? Impedire alla donna un lucro, una realizzazione professionale? Ed in ultimo, qualcuno parla mai dell’attaccamento figlio-uomo durante i nove mesi di gravidanza, quando si parla di distacco dalla madre e delle possibilità future di intrattenere relazioni con il figlio donato o venduto?

Separazioni:

La legge sull’affido condiviso 54/2006 sancisce la bigenitorialità come condizione imprescindibile per il corretto sviluppo psicofisico dei bambini; lo ha sancito il nostro Stato dopo anni di studi, che nel tempo sono poi proseguiti, ed è internazionalmente riconosciuta come Golden Standard. La dualità della presenza genitoriale è condizione fondamentale ed ove non si verifica è scientificamente provato che aumentino i casi di disadattamento sociale.  Tale legge compie oggi 10 anni di sistematico riconoscimento solo formale sulla carta delle migliaia di sentenze separative ma di totale disapplicazione nella realtà, nelle modalità stabilite dalla giurisprudenza e nella prassi giuridica; nel  98% dei casi i figli vengono posti presso la madre che diviene “collocataria”, figura inesistente nella legge ed invenzione dei Tribunali, con un ritorno clamoroso del confino forzato del padre ad una condizione di visitatore con tempi fortemente sbilanciati, in media 4 giorni al mese. Se prima del 2006 il padre aveva diritto di visita (praticabile anche solo come opzione, se voglio li vedo altrimenti no), con la 54 si è ribaltato il principio ed è il figlio ad avere diritto di ricevere cure da entrambi i genitori, che acquisiscono un dovere di presenza attiva, addirittura coercibile per legge. Il motivo di tale distorsione, o disapplicazione della legge è chiarissimo. I figli, la genitorialità, l’educazione, sono cose di donne. A nulla valgono le farneticazioni di certi ambienti filofemministi che tentano di far apparire tale condizione come una imposizione maschilista alla donna, che definiscono relegata ai ruoli di cura suo malgrado. Non uno di tali movimenti, né altri, si sono mai battuti per la reale applicazione della legge, NESSUN ricorso viene mai presentato in Tribunale da parte di madri per rinuncia alle condizioni sbilanciate a loro favore e ripristino dei corretti dettami di legge, con ovvia rinuncia ai privilegi monetari e di supremazia derivanti. Ricordiamo che, secondo studi inconfutabili di innumerevoli associazioni, Enti, Commissioni e varie realtà (tra cui Federazione Nazionale Bigenitorialità, Stati Generali della Giustizia Familiare, GESEF, ADIANTUM, Associazione Crescere Insieme), un bambino su tre perde la frequentazione continuativa col padre per ostacoli facilmente frapposti dal genitore collocatario. Quando una legge prescrive la bigenitorialità e nel 98% delle sentenze viene poi regolamentata una collocazione presso la madre ed una frequentazione fortemente sbilanciata, si può affermare che è inapplicata se non umiliata.

Questa situazione è fortemente voluta dagli ambienti femministi e dai movimenti pro donna (quindi sessisti) che addirittura additano il padre come potenziale stupratore, pedofilo ed abusante; tali ambienti hanno sempre avversato la legge 54 e sono i responsabili della loro disapplicazione (con presenza massiccia nelle stanze dei bottoni dei Tribunali), compresi i centri antiviolenza, correi spesso nelle false accuse (fenomeno in crescita, con punte dell’80% in fase separativa). E questi ambienti spadroneggiano negli  stessi movimenti e partiti oggi protagonisti del decreto Cirinnà e di tutto il dibattito. Si sono forse rincitrulliti? No, ovviamente. Potrebbe questa situazione venire mutata dalle unioni civili o dalla stepchild adoption? No, ovviamente. Anzi, verrebbe cementata. Come? Ad esempio, equiparando le unioni civili al matrimonio ed ereditandone tutte le storture separative. Anzi, possiamo dire che l’urgenza nell’agenda politica di tali provvedimenti è proprio per presidiare le modalità di gestione di un aspetto sociale che altrimenti non sarebbe controllabile.

Stepchild adoption:

Il punto centrale della stepchild è il riconoscimento giuridico di una situazione che di fatto già può esistere, con APPARENTE e dichiarata finalità di riconoscere diritti al bambino, prevalentemente in caso di morte del genitore naturale, o comunque la possibilità di decidere delle sue sorti di fronte alla legge da parte di un nuovo partner. Non si parla di bambini senza genitori ma di bambini che un genitore che lo accudisce lo hanno già. La stepchild adoption riguarda quindi la possibilità di adottare il figlio naturale o biologico del partner, quale che sia la forma di convivenza, in regime di matrimonio o di unione civile, ed APPARENTEMENTE quale che sia l’orientamento sessuale o l’appartenenza al genere degli interessati. Ovviamente prevede l’inesistenza di potestà genitoriale di altro soggetto oltre al compagno, sia la madre o il padre biologico, naturale o di fatto. Ad esempio, posso adottare il figlio del mio compagno se ha solo lui la potestà genitoriale. Questo è un punto fondamentale, ricordiamolo. Ciò si verifica o per inesistenza da sempre (figli riconosciuti da un solo genitore o nati da fecondazione artificiale) o per decadenza (perdita della potestà genitoriale totale o parziale per svariati motivi, non sempre necessari e spessissimo strumentali) o per morte.

Dicevamo “apparentemente” qualsiasi genere o sesso perché poi, per ovvie ragioni, non è assolutamente uguale, giacché una madre può riconoscere un figlio da sola ed essere già in origine l’unica ad avere la potestà genitoriale, decidere delle sorti del figlio e condividerle di fatto con il/la nuovo/ compagno/a, cosa che un uomo non può fare, a meno che la madre non vi rinunci espressamente; ricordiamo infatti che mentre una madre può non riconoscere il proprio figlio e lasciarlo alle autorità sociosanitarie, il padre non può imporre il proprio riconoscimento o gli può invece venire imposto e se non concesso dalla madre o da un Tribunale, non avrà mai tale possibilità decisionale autonoma. I padri in questa situazione in Italia sono pochissimi, per cui anche qui possibilità praticamente inesistente. Quindi, i casi sono in realtà differenti.

Nel caso di stepchild etero (unione tra un uomo e una donna, ricordiamo già possibile senza il bisogno di una nuova legge), una coppia potrebbe avere figli da precedenti relazioni e desiderare il riconoscimento del nuovo partner come soggetto di tutela per il figlio (a patto di inesistenza dell’altro genitore). L’unica possibilità che approvo, se non fosse per un piccolo particolare che condivide con la stepchild al femminile: la potestà genitoriale (nell’ignoranza della pubblica opinione che si agita tanto per i diritti della persona e del bambino e non vede la trave nell’occhio) quando viene negata o ne viene richiesta la revoca, ciò avviene sempre nei confronti del padre. Nella maggioranza dei casi, e qui sta il problema, la revoca o il mancato riconoscimento non avviene per fatti dannosi al bambino ma per una pretesa onniscienza della madre che decide arbitrariamente se il padre sia adatto o inadatto ad essere padre o ad occuparsi del figlio. Se già questo accade con una frequenza allarmante, immaginiamo quanto potrebbe acuirsi questa piaga se come conseguenza vi fosse la possibilità di “sostituire” legalmente il padre in corsa, ovvero se ci fosse il riconoscimento formale di una pratica abominevole già ampiamente diffusa, la sostituzione degli affetti per revoca unilaterale.

Nel caso di stepchild al femminile (unione tra due donne) basterebbe avere un figlio non riconosciuto dal padre per poterlo far adottare dalla nuova compagna. Non serve elencare le varie possibilità che ha una donna per rimanere incinta senza coinvolgere un padre o impedire il riconoscimento di esso, e neppure serve citare la facilità con la quale una madre può ottenere la revoca della potestà genitoriale del padre, prime fra tutte le false accuse di violenza familiare o di abusi sessuali (percentuali altissime in Italia).

Nel caso di stepchild al maschile (unione di due uomini), il bambino potrebbe avere la potestà genitoriale solo del padre, e questo nel nostro Paese avviene rarissimamente, quasi esclusivamente per morte della madre. Quindi, un figlio di coppia etero, rimasto orfano di madre o con revoca della potestà della madre, con un padre che cambia l’orientamento sessuale dichiarato. Un caso, in Italia, davvero remoto per credere che davvero tutta la Politica si mobiliti in questa maniera.

Delle tre opzioni elencate è quella di due padri ad essere deficitaria, almeno nei fatti, visto che i Servizi Sociali ed il Tribunale dei Minorenni non si sognerebbero mai di intervenire nel caso di convivenza materiale di minori con due donne o con una coppia etero ma lo farebbe immediatamente nel caso di due uomini. In ogni caso, visto che la opzione “etero” è già di fatto possibile, la bagarre politica proviene dal riconoscimento del diritto di adozione dello stepchild per le coppie omo, ossia lesbiche o gay, per grossa approssimazione. Ovvero, due donne o due uomini conviventi con figli. Ma come abbiamo visto, l’opzione “femminile” è già anch’essa ampiamente possibile, anche se non riconosciuta legalmente. Come fare, dunque, per intervenire in maniera pro donna anche nel campo della adozione al maschile, oltre alla femminilizzazione delle condizioni? E come prendere due piccioni con una fava?

Con la maternità surrogata!

Tale possibilità, precorsa addirittura dagli eventi durante la discussione politica dei provvedimenti, è la vera scappatoia per sdoganare il lato commerciale della faccenda. Con le unioni civili (neanche necessarie ma tanto più in loro presenza)  basta la presenza di una donna incinta, riconoscere il figlio da parte del “beneficiario” ma non riconoscerlo come madre, concludere la eventuale convivenza ed ecco che la maternità surrogata vietata da noi viene aggirata con uno sberleffo. Pagata in nero o regalata poco cambia. Pratica ben nota e già assai diffusa. Ciò che manca è la possibilità per due padri di avere la potestà genitoriale dello stesso figlio. Proposito che la legge si prefigge di raggiungere. Perché? Perché quella dei “diritti civili” è una occasione troppo ghiotta per lasciarsela sfuggire, un enorme alibi, per sdoganare ben altri concetti. E per il principio che è meglio allearsi che combattere, si entra nella regolamentazione con ideologie ben rodate, come più sopra descritto. Diritti, si, ma a modo nostro.

 Chi è dunque il grande escluso dalla partita? Ma l’uomo! Né femminilizzato, né sostituito, né surrogato, né denigrato. Il portatore sano del lato maschile della vita. Colui che deve chiedere il permesso per essere accettato nel consesso familiare.


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